I rischi climatici mettono il turbo alla finanza “verde”

Rita Annunziata
22.3.2021
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Negli ultimi anni, l'attenzione per le tematiche ambientali e i rischi legati ai cambiamenti climatici hanno messo il turbo alla finanza “verde”. Ma gli strumenti finanziari oggi disponibili non sono ancora privi di rischi. Per Banca d'Italia è indispensabile un sistema di dati, metodologie e principi condivisi

Secondo i dati raccolti dalla Global sustainable investment alliance e rilanciati da un nuovo occasional paper di Banca d'Italia, nel 2018 oltre 30mila miliardi di dollari erano impiegati in investimenti sostenibili, in crescita del 34% rispetto al 2016

Occhio ai rischi degli score esg e dei green bond: soltanto l'adozione di tassonomie dettagliate e riconosciute a livello internazionale, potrà permettere agli investitori di investire consapevolmente i propri capitali secondo criteri di sostenibilità

La crescente attenzione degli investitori per le tematiche ambientali e i rischi interrelati ai cambiamenti climatici, oltre alle ingenti risorse necessarie a finanziare la transizione verso un'economia a basse emissioni, mettono il turbo alla finanza “verde”. Secondo i dati raccolti dalla Global sustainable investment alliance e rilanciati da un nuovo occasional paper di Banca d'Italia, nel 2018 oltre 30mila miliardi di dollari erano impiegati in investimenti sostenibili, in crescita del 34% rispetto al 2016. Una massa pari a un terzo degli attivi globali in gestione e che ha visto acquisire popolarità, negli ultimi anni, diverse tipologie di strumenti finanziari. Che non sono però privi di rischi. Anche per l'ambiente.

Score esg: quanto sei affidabile?


Uno di questi sono gli “score esg”. Si tratta di punteggi elaborati dai data provider sulla base di informazioni evinte da documenti pubblici, questionari, banche dati, notizie o altre fonti, la cui aggregazione fornisce agli investitori due tipologie di informazioni: la capacità dell'impresa di far fronte ai rischi relativi alle tre lettere dell'acronimo (environmental, social e governance) e la capacità di cogliere nuove opportunità tramite prassi virtuose. Si tratta di una delle metriche più popolari, ma che presenta numerose criticità. “Innanzitutto, le modalità con cui i singoli fattori sono valutati e poi aggregati negli score complessivi rimangono per lo più opache, rendendo difficile giudicare, al di là del punteggio complessivo, le effettive qualità e, s e g dell'attività in questione”, si legge nell'analisi di Bankitalia.
Inoltre, secondo i ricercatori, l'arbitrarietà nella scelta, nel trattamento e nell'aggregazione dei dati “determina significative incoerenze tra i punteggi ottenuti da diversi provider, evidenziando i limiti nell'applicazione di tali punteggi nelle decisioni d'investimento”. Un contesto che finisce per accrescere il rischio del cosiddetto “greenwashing”, un neologismo inglese utilizzato per indicare la strategia di comunicazione mediante la quale imprese, organizzazioni e istituzioni politiche costruiscono un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, fuorviando potenziali clienti e investitori allo scopo di “attrarre capitali sui mercati”, spiega l'istituto guidato da Ignazio Visco.

Dai green bond ai climate-aligned bond


Ma per finanziare singoli progetti sostenibili, le imprese ricorrono anche all'utilizzo del debito (sia in forma di prestiti sia di emissioni obbligazionarie), come i “green bond”. Anch'essi non privi di rischi, sul fronte del greenwashing. Sebbene esistano infatti dei criteri di verifica per l'utilizzo dei fondi in ottica “verde”, spesso gli investitori non hanno la possibilità di accedere a tali informazioni o di monitorare l'andamento del progetto prefissato. Inoltre, “i green bond non sono finalizzati a ridurre in via generale l'impatto ambientale di chi li emette”, spiegano i ricercatori. In altre parole, le imprese emittenti potrebbero parallelamente incrementare la propria “impronta” ambientale su altri ambiti o dare un boost alle proprie emissioni atmosferiche. Finendo per non garantire nemmeno un basso livello di rischi climatici. Certo, precisa Bankitalia, stanno scendendo intanto in campo anche altri strumenti “specificatamente disegnati per combinare obiettivi climatici con altri di sostenibilità”, come i sustainability-linked bond, i climet-aligned bond o i transition bond. Ma la loro diffusione resta ancora limitata.
Cosa fare, dunque, per reindirizzare i capitali privati realmente in chiave sostenibile? “Diverse istituzioni nazionali e sovranazionali stanno promuovendo l'elaborazione di tassonomie che siano di riferimento per i mercati. Tra il 2018 e il 2020 una tassonomia armonizzata delle attività sostenibili è stata proposta dal gruppo di esperti promosso dalla Commissione europea, che ha individuato, al momento per la sola parte che riguarda i cambiamenti climatici, dei criteri oggettivi per poter definire un'attività d'impresa come sostenibile dal punto di vista ambientale”, spiegano i ricercatori. Poi concludono: “Soltanto l'adozione di tassonomie dettagliate e riconosciute a livello internazionale, potrà permettere agli investitori che lo desiderano di investire consapevolmente i propri capitali secondo criteri di sostenibilità”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.
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