La fine del carbone in Asia? BlackRock & Co lavorano per chiudere le centrali
4.8.2021
Tempo di lettura: 5'
L'Asian Development Bank, Prudential, Citi, HSBC e BlackRock stanno mettendo a punto un piano per chiudere le centrali a carbone nei Paesi asiatici, tra i principali investitori nel combustibile fossile. Il piano prevede la creazione di partnership pubblico-private per acquistare gli impianti e chiuderli gradualmente nei prossimi 15 anni, molto prima del loro esaurimento
Cina, India, Indonesia, Giappone e Vietnam stanno investendo nell’80 per cento delle nuove centrali a carbone previste nel mondo e sono responsabili del 75 per cento della capacità di carbone esistente
L’Asian Development Bank, Prudential, Citi, HSBC e BlackRock lavorano a un piano per accelerare la dismissione degli impianti, prima del loro esaurimento
Comprare per chiudere: è lo schema dietro all'iniziativa di alcune tra le più grandi istituzioni finanziarie al mondo per mettere fine all'era del carbone in Asia.
Prudential, Citi, HSBC e BlackRock, guidate dall'Asian Development Bank, stanno lavorando a un piano in vista della prossima conferenza sul clima COP26, che si terrà a Glasgow nel novembre 2021. Piano che prevede l'acquisto e la progressiva dismissione dei principali impianti a carbone nei Paesi asiatici per ridurre l'impatto della fonte di energia responsabile di circa un quinto delle emissioni di gas serra al mondo.
Prudential, Citi, HSBC e BlackRock, guidate dall'Asian Development Bank, stanno lavorando a un piano in vista della prossima conferenza sul clima COP26, che si terrà a Glasgow nel novembre 2021. Piano che prevede l'acquisto e la progressiva dismissione dei principali impianti a carbone nei Paesi asiatici per ridurre l'impatto della fonte di energia responsabile di circa un quinto delle emissioni di gas serra al mondo.
Gli investimenti dei Paesi asiatici nel carbone
Nonostante gli impegni presi a livello globale di azzerare le emissioni entro il 2060 ed eliminare le centrali a carbone, la Cina, insieme ad altri Paesi del sud-est asiatico, continua a investire nel combustibile fossile più dannoso per l'ambiente. Secondo il rapporto Do Not Revive Coal del think tank Carbon Tracker, Cina, India, Indonesia, Giappone e Vietnam stanno investendo nell'80 per cento delle nuove centrali a carbone previste nel mondo e sono responsabili del 75 per cento della capacità di carbone esistente, a fronte di una domanda globale in aumento del 4,5 per cento nel 2021, secondo i dati dell'Agenzia internazionale dell'energia.
Ma il carbone è sempre meno redditizio sia per gli investitori sia per i governi. Secondo il rapporto, in Cina e in India l'energia ottenuta da fonti rinnovabili sarà in grado di superare quella prodotta a carbone entro il 2024. Un obiettivo che in Giappone e in Vietnam dovrebbe realizzarsi già entro il 2022, quando l'utilizzo del carbone diventerà antieconomico rispetto all'energia solare ed eolica.
L'iniziativa dell'Asian Development Bank arriva mentre le banche, su pressione dei grandi investitori, rifiutano di finanziare nuove centrali a carbone per rispettare gli obiettivi sul clima: un calo dell'elettricità da carbone dal 38 al 9 per cento della produzione globale entro il 2030 e allo 0,6 entro il 2050.
Ma il carbone è sempre meno redditizio sia per gli investitori sia per i governi. Secondo il rapporto, in Cina e in India l'energia ottenuta da fonti rinnovabili sarà in grado di superare quella prodotta a carbone entro il 2024. Un obiettivo che in Giappone e in Vietnam dovrebbe realizzarsi già entro il 2022, quando l'utilizzo del carbone diventerà antieconomico rispetto all'energia solare ed eolica.
L'iniziativa dell'Asian Development Bank arriva mentre le banche, su pressione dei grandi investitori, rifiutano di finanziare nuove centrali a carbone per rispettare gli obiettivi sul clima: un calo dell'elettricità da carbone dal 38 al 9 per cento della produzione globale entro il 2030 e allo 0,6 entro il 2050.
Come funziona il piano
Il gruppo prevede di creare partnership pubblico-private per comprare gli impianti e chiuderli gradualmente nei prossimi 15 anni, molto prima del loro esaurimento. Un tempo che permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione o di trovare un nuovo lavoro e agli Stati di passare a fonti di energia rinnovabili.
“Acquistando una centrale a carbone con una prospettiva di 50 anni di vita e facendo cessare la sua attività entro 15 anni, possiamo tagliare fino a 35 anni di emissioni di carbonio”, ha detto alla BBC Ahmed M. Saeed, vicepresidente dell'Asian Development Bank per l'Asia orientale, il sud-est asiatico e il Pacifico.
Secondo questo meccanismo, i finanziamenti raccolti darebbero vita a due differenti strutture. La prima sarebbe dedicata all'acquisto e gestione delle centrali a carbone esistenti a costi inferiori rispetto a quelli di mercato: le centrali genererebbero così rendimenti simili a quelli attuali, con un margine di profitto più ampio, ma per meno tempo. La seconda struttura sarebbe invece dedicata agli investimenti nelle energie rinnovabili e nello stoccaggio dell'energia prodotta dai nuovi impianti, attraendo finanziamenti per conto proprio.
Le development bank si assumerebbero il rischio maggiore, acquisendo il debito non garantito e accettando rendimenti inferiori.
Un primo acquisto, secondo questo schema, potrebbe realizzarsi già nel 2022. Ma restano ancora da definire alcuni dettagli sulle modalità per incentivare i proprietari delle centrali a carbone a vendere e sul futuro degli impianti una volta chiusi. Un ruolo chiave potrebbero giocarlo anche i crediti di carbonio, strumenti negoziabili che funzionano secondo un meccanismo di compensazione: un'azienda che con la sua attività produce emissioni può ottenere un credito equivalente a una tonnellata di anidride carbonica non emessa grazie a un progetto che ha un impatto positivo sull'ambiente.
“Acquistando una centrale a carbone con una prospettiva di 50 anni di vita e facendo cessare la sua attività entro 15 anni, possiamo tagliare fino a 35 anni di emissioni di carbonio”, ha detto alla BBC Ahmed M. Saeed, vicepresidente dell'Asian Development Bank per l'Asia orientale, il sud-est asiatico e il Pacifico.
Secondo questo meccanismo, i finanziamenti raccolti darebbero vita a due differenti strutture. La prima sarebbe dedicata all'acquisto e gestione delle centrali a carbone esistenti a costi inferiori rispetto a quelli di mercato: le centrali genererebbero così rendimenti simili a quelli attuali, con un margine di profitto più ampio, ma per meno tempo. La seconda struttura sarebbe invece dedicata agli investimenti nelle energie rinnovabili e nello stoccaggio dell'energia prodotta dai nuovi impianti, attraendo finanziamenti per conto proprio.
Le development bank si assumerebbero il rischio maggiore, acquisendo il debito non garantito e accettando rendimenti inferiori.
Un primo acquisto, secondo questo schema, potrebbe realizzarsi già nel 2022. Ma restano ancora da definire alcuni dettagli sulle modalità per incentivare i proprietari delle centrali a carbone a vendere e sul futuro degli impianti una volta chiusi. Un ruolo chiave potrebbero giocarlo anche i crediti di carbonio, strumenti negoziabili che funzionano secondo un meccanismo di compensazione: un'azienda che con la sua attività produce emissioni può ottenere un credito equivalente a una tonnellata di anidride carbonica non emessa grazie a un progetto che ha un impatto positivo sull'ambiente.