Imprese: climate change in cima alle agende dei board, anche in Italia

Andrea Bono: “Abbiamo registrato un’impennata dei danni derivanti dalle catastrofi naturali pagati dal settore assicurativo e sotto-assicurativo: siamo passati da una media di sinistri inferiore ai 40 miliardi di dollari a una media vicina ai 100 miliardi”
Ai dati attuali, 800 milioni di persone sono a rischio a causa dell’innalzamento del livello del mare, 1,7 miliardi di persone vivranno ondate di calore estreme e, in termini economici, si stima una contrazione del pil del 25% al 2100
A confermare questa inversione di tendenza anche Giulia Genuardi, head of sustainability planning di Enel Group, che evidenzia come le aziende si siano mosse per anni sulla “soft law” (come i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite) ma non sulla “hard law”. Di conseguenza, l'attuale evoluzione normativa le “incuriosisce” ma “le preoccupa pure”. Il che richiederebbe, secondo Genuardi, la formulazione di un quadro chiaro e comparabile da questo punto di vista. “Si tratta di un tema complesso, perché in realtà la giurisprudenza sta già in un certo modo rendendo vincolanti tutti quei principi che apparentemente non sono vincolanti”, osserva Marta Cenini di Dla Piper e professoressa associata di diritto civile presso l'università dell'Insubria. Ricordando inoltre che oggi anche gli statement delle aziende stanno assumendo una nuova veste.
“Il tema della responsabilità ambientale non è più soltanto il tema tradizionale della responsabilità civile da danno ingiusto, ma riguarda uno spettro più ampio: c'è un tema legato alle class action (i contenziosi ambientali vengono spesso avviati da migliaia di persone e non da un singolo soggetto), ci sono i temi societari (che riguardano la responsabilità dei board per azioni che in qualche modo violano gli impegni sulla sostenibilità) e infine c'è un tema legato alle dichiarazioni pubbliche”, spiega Cenini. Nel momento in cui un'azienda dichiara di voler raggiungere determinati obiettivi, in altre parole, non si tratta più di una “semplice dichiarazione” senza alcun effetto vincolante ma è essa stessa “fonte di responsabilità”. Almeno nel caso in cui le affermazioni non siano chiare, risultino false o troppo ambiziose, o non vengano rispettate.
Tornando al quadro complessivo, secondo Veronica Scotti (chairperson public sector solutions di Swiss Re) oggi siamo “fuori target in maniera sostanziale”: 800 milioni di persone sono a rischio a causa dell'innalzamento del livello del mare, 1,7 miliardi di persone vivranno ondate di calore estreme e, in termini economici, si stima una contrazione del pil del 25% al 2100. “La buona notizia è che stiamo facendo tanto, soprattutto in Europa. Ma al momento non basta. Bisogna agire con soluzioni di sistema, riconoscendo innanzitutto che oggi il 55% del pil mondiale dipende da ecosistemi e biodiversità in buone condizioni di salute ma il 20% da ecosistemi e biodiversità in gravi condizioni di declino. E poi lavorare con regulator e policy maker, specie sulla definizione di regole, tassonomie e standard; lavorare in partnership settoriali e intersettoriali per avanzare best-practices; e puntare sulla trasparenza, per creare un clima di dialogo con gli stakeholder”.