Cambiamento climatico: un'alluvione sui bilanci delle imprese

Rita Annunziata
27.4.2021
Tempo di lettura: '
Secondo una nuova analisi della School of management del Polimi, un grado in più di temperatura tra il 2009 e il 2018 ha avuto un impatto su fatturato e marginalità delle imprese italiane del -5,8 e del -3,4%. Solo nell'ultimo anno di rilevazione, si parla di mancati ricavi per 133 miliardi

Sviluppato un database che incrocia le informazioni economico-finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 con i dati metereologici di temperatura, piovosità e irraggiamento solare dal 1950

L’aumento della temperatura di un grado centigrado in Italia nell’arco dei dieci anni considerati ha determinato una perdita di redditività per le piccole imprese pari al -4%, a fronte del -5,3% del fatturato

La geografia delle contrazioni vede al primo posto il centro Italia (-10,6% di fatturato e -8,5% di ebitda), seguito dal nord est (-10% e -4,2%) e dal nord ovest (-4,5% e -6,8%). Più resistenti all’urto il sud e le isole

Mentre l'attenzione globale continua a rimanere focalizzata sulle conseguenze dell'emergenza pandemica sul rallentamento della crescita economica e sul rischio recessione, la gestione del cambiamento climatico si prepara a intaccare a sua volta il benessere del tessuto imprenditoriale italiano. Con un vero e proprio “temporale” su fatturato e marginalità. Secondo una nuova analisi dell'Osservatorio climate finance della School of management del Politecnico di Milano, che ha coinvolto un campione di oltre un milione di aziende nell'arco di dieci anni (2009-2018), un grado di temperatura in più ha determinato una contrazione media delle due variabili rispettivamente del -5,8 e del -3,4%. Un crollo che, solo nell'ultimo anno di rilevazione, ha generato mancati ricavi per 133 miliardi di euro.
“Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico-finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati metereologici di temperatura, piovosità e irraggiamento solare dal 1950, per trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico”, osserva Vicenzo Butticè, vicedirettore dell'Osservatorio. “Finora la relazione tra rischi climatici e variabili economiche è stata studiata primariamente attraverso modelli macroeconomici, ma sono limitate le evidenze sulle singole imprese. Ed è su questo gap della letteratura e della ricerca che si è innestato l'inizio dello studio dell'Osservatorio. Che intende posizionarsi come un punto di riferimento a livello nazionale per l'analisi dell'impatto del rischio climatico sulle aziende, ma anche essere un luogo fisico per condividere esperienze e best practice tra diversi attori economici”, aggiunge il direttore Roberto Bianchini nell'ambito dell'evento digitale di presentazione dello studio.

Grandi imprese più “resilienti”, ma non abbastanza


Secondo i ricercatori, dunque, l'aumento della temperatura di un grado centigrado in Italia ha determinato una perdita di redditività per le piccole imprese pari al -4%, a fronte del -5,3% del fatturato. Più “resilienti” sul versante della marginalità le aziende di grandi dimensioni (-3,6%), nonostante una contrazione di ricavi e domanda quasi tre volte superiore (-14,6%). Quanto ai settori, a subire l'impatto più acuto della crisi climatica sono le costruzioni (con un crollo del fatturato del -16,2% e dell'ebitda del -6,8%), la finanza (-11,8% e -5,9%) e le estrazioni (-10,4% e -7,6%). L'information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno conosciuto invece un eguale calo del fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità ben differente (rispettivamente pari al -6,8%, -4,6% e -3%). Sul versante opposto agricoltura e trasporti con entrambi gli indicatori entro il -3%, accompagnati da manifatturiero (-5,2% di fatturato e -2,4% di ebitda) e retail (-4,5% e -3,1%). La geografia delle contrazioni vede poi al primo posto il centro Italia (-10,6% di fatturato e -8,5% di ebitda), seguito dal nord est (-10% e -4,2%) e dal nord ovest (-4,5% e -6,8%). Più resistenti all'urto il sud e le isole, che riportano rispettivamente una contrazione dell'1 e del 2,3% dell'ebitda e del 4,3 e del 3,1% del fatturato.
“La gestione delle conseguenze del cambiamento climatico e le strategie di mitigazione rappresentano la maggiore sfida che le economie mondiali dovranno affrontare nel corso nei prossimi anni”, continua Bianchini. “Ad esempio, l'analisi mostra come un'alluvione possa costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0,9%, che sale all'1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni. Anche l'emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell'offerta o della propria catena di approvvigionamento”.

Banca d'Italia: “Un'alluvione normativa”


Intanto, la regolamentazione in materia di sostenibilità continua la propria evoluzione. A partire dalla Tassonomia “verde”, che “mira a promuovere un linguaggio comune per imprese e investitori alla ricerca di investimenti sostenibili”, spiega Cristina Bracaloni, divisione intermediari finanziari della Consob. “Inoltre, richiede alle imprese già soggette alla rendicontazione non finanziaria di divulgare indicatori chiari di prestazione specificatamente focalizzati sul clima, basati sulla quota del fatturato o delle spese in conto capitale o operative associate ad attività economiche allineate ai criteri della tassonomia”, aggiunge. Per non dimenticare poi l'ultimo pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea lo scorso 21 aprile. “Riguardo alla tassonomia, viene pubblicato finalmente un primo set di criteri per definire quanto un'attività economica contribuisca in maniera sostanziale al cambiamento climatico. Con questi, la Commissione intende coprire un buon 40% delle società quotate, responsabile di quasi l'80% delle emissioni dirette di gas a effetto serra in Europa”, conclude Bracaloni.

“Siamo all'inizio di un processo che ci vedrà impegnati nei prossimi anni, in cui anche il confronto con l'accademia diventerà importante”, interviene Michele Lanotte, direttorato vigilanza e regolazione di Banca d'Italia. “E ci troviamo di fronte a una variabile, quella del tempo, che gioca un ruolo fondamentale. Nelle analisi con cui andiamo a verificare la probabilità di default di un'azienda, ragioniamo con un orizzonte temporale di un anno, mentre gli scenari di natura climatica si muovono su orizzonti molto più lunghi, anche di 10 anni. Fare previsioni affidabili, inizia a diventare complicato”. Di conseguenza, aggiunge, dal punto di vista della regolamentazione bancaria lo sforzo principale che si sta compiendo è cercare di capire come considerare i fattori esg (environmental, social, governance) come imput da inglobare nelle procedure di risk management, con un focus sulla componente climatica. “Questo comporta la richiesta per gli operatori di pubblicare una serie di informazioni”, spiega. Poi conclude: “Il che significa anche una revisione e una riorganizzazione della loro struttura interna, perché dovranno raccogliere dati che fino a oggi non avevano la stessa rilevanza”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.
La redazione vi consiglia altri articoli

Cosa vorresti fare?