Cambiamento climatico: un'alluvione sui bilanci delle imprese

Sviluppato un database che incrocia le informazioni economico-finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 con i dati metereologici di temperatura, piovosità e irraggiamento solare dal 1950
L’aumento della temperatura di un grado centigrado in Italia nell’arco dei dieci anni considerati ha determinato una perdita di redditività per le piccole imprese pari al -4%, a fronte del -5,3% del fatturato
La geografia delle contrazioni vede al primo posto il centro Italia (-10,6% di fatturato e -8,5% di ebitda), seguito dal nord est (-10% e -4,2%) e dal nord ovest (-4,5% e -6,8%). Più resistenti all’urto il sud e le isole
Grandi imprese più “resilienti”, ma non abbastanza
Secondo i ricercatori, dunque, l'aumento della temperatura di un grado centigrado in Italia ha determinato una perdita di redditività per le piccole imprese pari al -4%, a fronte del -5,3% del fatturato. Più “resilienti” sul versante della marginalità le aziende di grandi dimensioni (-3,6%), nonostante una contrazione di ricavi e domanda quasi tre volte superiore (-14,6%). Quanto ai settori, a subire l'impatto più acuto della crisi climatica sono le costruzioni (con un crollo del fatturato del -16,2% e dell'ebitda del -6,8%), la finanza (-11,8% e -5,9%) e le estrazioni (-10,4% e -7,6%). L'information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno conosciuto invece un eguale calo del fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità ben differente (rispettivamente pari al -6,8%, -4,6% e -3%). Sul versante opposto agricoltura e trasporti con entrambi gli indicatori entro il -3%, accompagnati da manifatturiero (-5,2% di fatturato e -2,4% di ebitda) e retail (-4,5% e -3,1%). La geografia delle contrazioni vede poi al primo posto il centro Italia (-10,6% di fatturato e -8,5% di ebitda), seguito dal nord est (-10% e -4,2%) e dal nord ovest (-4,5% e -6,8%). Più resistenti all'urto il sud e le isole, che riportano rispettivamente una contrazione dell'1 e del 2,3% dell'ebitda e del 4,3 e del 3,1% del fatturato.
Banca d'Italia: “Un'alluvione normativa”
Intanto, la regolamentazione in materia di sostenibilità continua la propria evoluzione. A partire dalla Tassonomia “verde”, che “mira a promuovere un linguaggio comune per imprese e investitori alla ricerca di investimenti sostenibili”, spiega Cristina Bracaloni, divisione intermediari finanziari della Consob. “Inoltre, richiede alle imprese già soggette alla rendicontazione non finanziaria di divulgare indicatori chiari di prestazione specificatamente focalizzati sul clima, basati sulla quota del fatturato o delle spese in conto capitale o operative associate ad attività economiche allineate ai criteri della tassonomia”, aggiunge. Per non dimenticare poi l'ultimo pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea lo scorso 21 aprile. “Riguardo alla tassonomia, viene pubblicato finalmente un primo set di criteri per definire quanto un'attività economica contribuisca in maniera sostanziale al cambiamento climatico. Con questi, la Commissione intende coprire un buon 40% delle società quotate, responsabile di quasi l'80% delle emissioni dirette di gas a effetto serra in Europa”, conclude Bracaloni.
“Siamo all'inizio di un processo che ci vedrà impegnati nei prossimi anni, in cui anche il confronto con l'accademia diventerà importante”, interviene Michele Lanotte, direttorato vigilanza e regolazione di Banca d'Italia. “E ci troviamo di fronte a una variabile, quella del tempo, che gioca un ruolo fondamentale. Nelle analisi con cui andiamo a verificare la probabilità di default di un'azienda, ragioniamo con un orizzonte temporale di un anno, mentre gli scenari di natura climatica si muovono su orizzonti molto più lunghi, anche di 10 anni. Fare previsioni affidabili, inizia a diventare complicato”. Di conseguenza, aggiunge, dal punto di vista della regolamentazione bancaria lo sforzo principale che si sta compiendo è cercare di capire come considerare i fattori esg (environmental, social, governance) come imput da inglobare nelle procedure di risk management, con un focus sulla componente climatica. “Questo comporta la richiesta per gli operatori di pubblicare una serie di informazioni”, spiega. Poi conclude: “Il che significa anche una revisione e una riorganizzazione della loro struttura interna, perché dovranno raccogliere dati che fino a oggi non avevano la stessa rilevanza”.