Vino, invecchiare come un supertuscan


Il mercato dei fine wine italiani è in salute?
Negli ultimi anni i vini italiani hanno saputo farsi riconoscere e legittimare dal mercato e oggi se ne raccolgono i frutti. Veniamo da due anni – in particolare il 2020 - in cui il vino italiano di qualità ha restituito rendimenti sopra la media. Inoltre è aumentato considerevolmente il numero di transazioni. Tutto ciò dimostra che c’è grande interesse. Dopo Bordeaux e Borgogna, viene l’Italia.
È possibile colmare il gap rispetto alla Francia?
Il gap è difficile da colmare. Molti vini francesi sono nati con la volontà di sovrastare gli altri vini del mondo sotto il profilo di prezzo. Per esempio Haut-Brion alla fine del Settecento dopo il grande incendio di Londra, aprì un ristorante inserendo nella carta dei vini il proprio. Costava il doppio del secondo vino più costoso. Quando c’è una volontà così forte di posizionamento è difficile colmare il gap. Inoltre oggi in Italia, a differenza di quanto accade in Bordeaux, i margini non vengono capitalizzati a livello primario dalle aziende. Piuttosto l’apprezzamento è dovuto ai passaggi di mano tra i commercianti. In altre parole in Italia c’è una scarsità che non è capitalizzata ma che è canalizzata in un giro di commercio che fa crescere il valore e dunque il prezzo dei vini più pregiati.
Quali sono gli attributi di valore di un vino pregiato?
In linea generale la scarsità - intesa sia come scarsità di produzione che di tempo – è il primo attributo di valore. A questa si aggiunge la longevità. L’azienda rilascia sul mercato un vino che al momento del rilascio non è al suo picco di degustazione, ma è al suo minimo di valutazione di prezzo. Chi lo compra in quel momento e lo tiene in cantina in media per 5/6 anni capitalizzerà sia un profilo sensoriale più adatto a quel tipo di vino sia il suo potenziale di apprezzamento.
Quanto conta il brand?
Per quanto riguarda il vino italiano il brand non è tanto della cantina quanto della regione. La Toscana detiene, per esempio, quasi la metà di tutte le transazioni. Questo è dovuto a quella che chiamerei una distillazione dei retaggi del passato grazie ai supertuscan, che ormai hanno 50 anni ma sono sempre molto attuali e contemporanei anche come concetto di comunicazione. Poi ci sono i piemontesi che fanno quasi interamente l’altra metà. L’8% che rimane sono tutti gli altri. In questo caso il brand vincente è quello del produttore.

Ma il marchio non è tutto
Credo che proprio per definizione della parola ‘investimento’ si debba andare a cercare le cantine emergenti, ed è quello che con Oeno facciamo. La parte di scouting di quelle che noi chiamiamo rising star è fondamentale. Si tratta di cercare quei vini che oggi offrono un prezzo d’acquisto moderato, ma hanno delle possibilità di crescita molto alte. Poi è chiaro, come succede spesso quando si fanno investimenti finanziari, che maggiore è la cifra spendibile più è facile accedere a rendimenti più alti non solo in senso assoluto, ma anche percentuale. Bottiglie molto rare hanno crescite verticali, nonostante abbiano già prezzi molto alti. Penso a Romaneè Conti che nel 2018, nonostante costasse 20 mila euro, ha fatto un +30% su base annua.
Quali sono i trend in Italia?
Una prima constatazione da fare è che ad oggi il mercato non si è sufficientemente polverizzato. I Supertuscan contano per più della metà del mercato a livello di transazioni. Nel 2021, per esempio, cinque annate diverse del Tignanello di Antinori occupano i primi cinque posti dei vini più transati. Si tratta di un vino che non gode di particolare scarsità, ma è universalmente riconosciuto ed è una vera e propria blue chip, che cresce in dipendenza dell’annata del vino stesso, in stile Borgogna. Un altro trend è infatti proprio quello del diffondersi del concetto bordolese dell’investimento in vino, ovvero quello di acquistare vini che non solo siano godibili fin dall’inizio ma che abbiano anche capacità di essere longevi. C’è poi da evidenziare una bella ripresa del Barolo alla luce di una sempre maggiore focalizzazione sulle menzioni geografiche aggiuntive. Gli investitori sono attratti dalla combinazione di vendemmie dichiarate di alta qualità e scarsità data da quella specifica menzione geografica aggiuntiva.
Emerge una dualità tra toscani e piemontesi
Se il Piemonte, tracciando un parallelo, è Borgogna perché è frazionato e parcellizzato in maniera molto simile, la Toscana, a partire proprio dall’approccio alla viticoltura più da house-style che da single vineyard, è simile a Bordeaux. I Supertuscan come anche i Bolgheri - penso al Masseto, al Masserio, al Paleo - sono quei vini che, forti del loro brand, hanno attirato e attirano gli investitori. Tuttavia anche in Toscana, sul modello piemontese, iniziano a comparire dei single vineyard che hanno attirato molti investitori. Penso al Brunello di Montalcino “Vigna del Suolo” di Argiano, che si è aggiudicato il premio come migliore vino rosso d’Italia con l’annata 2016.
A proposito di migliori vini d’Italia, ha dei vini italiani da investimento da consigliare?
A mio dire un’ottima blue chip è il Barolo Borgogno, sia con i suoi cru (Fossati, Liste e Cannubi), ma anche con un rising star come il Derthona, più precisamente lo Scaldapulce, che è il Timorasso della zona. Senza dubbio un vino che ha grandissime potenzialità è l’Amarone Mattorana di Zimè, insieme al Castellari di Castellina, con i Sodi di S.Nicolò. Dopo avere ricevuto un punteggio di 98 da Wine Spectator, l’annata 2016 è cresciuta di quasi il 30%. Fronte rising star sia Allegrini nel Valpolicella, con La Poja, sia Allegrini a Bolgheri, con il Dedicato a Walter del Poggio al Tesoro, sono vini dalle ottime prospettive. Infine come cantina emergente da segnalare anche Federico Graziani, che produce un ottimo Etna.
98 su 100 si direbbe un buon punteggio. Quanto conta il rating sull’apprezzamento di un vino?
Più che per i Bordeaux. Un vino assaggiato en-primeur di Bordeaux, di un determinato Château, di una determinata annata può essere spinto in alto da un punteggio quasi a tre cifre, ma tale rating può essere ridimensionato in corso di affinamento di questo vino. Sui vini Italiani, non essendoci ufficialmente dei vini en-primeur, i punteggi vengono dati al rilascio del vino e possono fortemente costituire un driver sulla crescita di prezzo del vino. Quando c’è un hype focalizzato su un punteggio forte, il mercato cerca di assorbire sempre più vino e di stoccarlo. Questo succede anche quando viene dichiarata un’annata eccezionale, come lo è stata, per esempio, il 2016.
Quali sono le considerazioni da tenere a mente quando si investe in vino?
Non fare di testa propria. L’investitore fai-da-te è molto rischioso oltre che meno redditizio sotto molto punti di vista. La prima ragione è che è difficile riconoscere un prezzo di mercato ad un vino che non si sa come è stato conservato. Acquistare tramite un intermediario è in questo senso una garanzia che il vino è stato “cucinato” in una cantina, la cui regolarità di umidità, temperatura, assenza di vibrazioni e luce permettono al vino di sbocciare. La seconda è che spesso si tratta di un acquirente mascherato con certe preferenze, spesso non compatibili con il concetto stesso di diversificazione, elemento fondamentale per un investimento di successo. Infine, solo tramite un professionista che abbia veramente l’idea di come navigare il mercato e di quello che, non solo esiste oggi ma anche di quello che ci aspetta domani, sia in termini di qualità delle vendemmie che in termini di evoluzione di stile e qualità di determinate cantine, si possono raggiungere gli obiettivi prefissati.
