Il capolavoro dimenticato (in cucina) e i tarli autenticatori

20.2.2020
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Chi non amerebbe la seducente storia di un capolavoro perduto in cucina? E poi, come stabilire se il ritrovamento è autentico? Se, inoltre, la scoperta avvenisse in Italia, cosa accadrebbe? A questa, e ad altre questioni, risponde il consueto dialogo fra un avvocato e una storica dell'arte
Prologo: il capolavoro dimenticato in cucina e il suo acquirente
Una notizia che ha suscitato molta attenzione nel mercato dell'arte lo scorso autunno è stata la vendita presso una casa d'aste regionale francese di un dipinto su legno attribuito a Cenni di Pepo (detto Cimabue), Cristo deriso (25,8 x 20,3 cm) per l'astronomica cifra di 24,18 milioni di euro, commissioni di acquisto incluse.
Pare sia stata la prima opera attribuita a Cimabue mai offerta in asta e risulta essere stata “scoperta” pochi mesi prima della data dell'asta nella casa recentemente venduta di una signora novantenne di Compiègne, dove era appesa alla parete della cucina.
Nel fare l'inventario dei beni mobili della casa, la perita-estimatrice incaricata si è imbattuta in questo piccolo dipinto, che le è apparso subito di buona qualità ed in ottimo stato di conservazione e lo ha sottoposto al Cabinet Turquin di Parigi. Quest'ultimo ha attribuito l'opera a Cimabue, ritenendo anche che si tratti di un polittico, di cui due componenti sarebbero state acquistate dalla Frick Collection di New York nel 1950 (Flagellazione di Cristo) e dalla National Gallery di Londra nel 2000 (Madonna e bambino in trono tra due angeli).
L'acquirente del capolavoro dimenticato in cucina è un italiano. Ma...
A suscitare ulteriore attenzione è stata la notizia che l'acquirente, un noto antiquario italiano che ha agito per conto di clienti americani, ha chiesto una licenza di esportazione, ma il 20 dicembre lo Stato francese ha temporaneamente bloccato l'esportazione. Entro 30 mesi la Francia dovrà trovare i soldi necessari per acquistare il dipinto allo stesso prezzo di aggiudicazione. In mancanza, il dipinto potrà uscire dal territorio francese per essere consegnato agli acquirenti finali. Una questione sorge quasi spontanea. Cosa sarebbe successo se il dipinto fosse stato scoperto nella cucina di una casa italiana?
Cimabue in cucina, la parola a Giuseppe Calabi
Se il ritrovamento fosse avvenuto in Italia
In Italia lo Stato ha la potestà di negare un attestato di libera circolazione (ed una licenza di esportazione, se l'opera è destinata fuori dal territorio dell'Unione Europea) senza dover formulare una proposta di acquisto che rifletta il prezzo di aggiudicazione, oltre alle commissioni dovute alla casa d'aste.
Lo Stato potrebbe limitarsi a negare l'esportazione definitiva di un'opera di un autore non più vivente di età superiore a 70 anni e la conseguenza di questo diniego sarebbe che l'opera è automaticamente “notificata”, ossia dichiarata di interesse culturale, con conseguente limitazione perpetua dei diritti del proprietario e del valore economico dell'opera, che potrà essere solo venduta sul mercato domestico (con una riduzione del possibile prezzo di acquisto di circa due terzi).
Lo Stato italiano ha la facoltà (ma non l'obbligo) di disporre il cosiddetto “acquisto coattivo” di un'opera per la quale sia stato chiesto un attestato di libera circolazione.
In Francia invece...
L'acquisto coattivo avviene per il valore dichiarato nella richiesta di esportazione presentata dal privato, il quale può rinunciare all'esportazione solo se comunica la propria rinuncia prima della notifica del decreto di acquisto coattivo. In Francia (come in Inghilterra), il controllo all'esportazione appare molto più bilanciato: gli interessi del proprietario subiscono una limitazione solo temporanea.
Infatti, lo Stato francese ha un termine sufficientemente lungo (30 mesi) per formulare una proposta di acquisto dell'opera per destinarla ad una collezione pubblica, anche sollecitando finanziamenti da parte di privati: in Francia il mecenatismo è da sempre stato sostenuto da interventi mirati del legislatore che consentono generose riduzioni di imposte fino al 90% delle somme versate per acquistare “tesori nazionali”.
La questione del certificato di esportazione
Nel caso in cui lo Stato francese non abbia un budget ovvero non riesca a trovare un finanziamento per l'acquisto di un'opera di cui abbia bloccato l'esportazione, il certificato di esportazione dovrà essere rilasciato. Nel caso in cui lo Stato formuli una proposta di acquisto, il privato può anche cambiare idea e rifiutarsi di vendere, ma in quel caso per tre anni non potrà chiedere l'emissione di un nuovo certificato di esportazione. Quindi, nel caso del Cimabue, gli acquirenti finali dovranno aspettare 30 mesi e potranno farsi consegnare l'opera solo se lo Stato francese non abbia trovato 24,18 milioni di euro per fare una offerta concorrente.
Una vertiginosa riduzione di valore
In Italia, l'ipotetico proprietario di una tavoletta attribuita a Cimabue interessato ad esportarla per poterla consegnare ad un acquirente straniero avrebbe verosimilmente subito un diniego di esportazione ed una vertiginosa riduzione di valore del proprio dipinto (due terzi di 24 milioni!). Del resto come si potrebbe contestare l'interesse culturale di un'opera dell'artista toscano considerato il progenitore della pittura occidentale?
Ma che indagine deve essere condotta per poter concludere ragionevolmente che una tavoletta appesa ad una parete di una casa di provincia sia attribuibile a Cimabue e giustificare una spesa di 24 milioni di euro, soprattutto se si tratta di finanza pubblica?
Sharon Hecker
L'emozione che suscita la notizia di una scoperta di un'opera d'arte potenzialmente importante in una cucina ha qualcosa di magico che è difficile frenare sia nel pubblico, che nel mercato.
Tuttavia, un acquirente (lo Stato o un privato) vorrebbe avere tutte le carte in ordine prima di aggiudicarsi l'opera, per abbassare il più possibile rischi di errori di attribuzione e falsi. Nel caso in esame, poco dopo la scoperta The Art Newspaper ha rimarcato che l'opera resta “ancora da essere vista da importanti studiosi e curatori di musei specializzati in dipinti italiani [dell'epoca] per poter approvare l'attribuzione”.
The Guardian ha notato che tutti amano una buona storia di un capolavoro perduto scoperto in un posto improbabile come un attico o una cucina, ma si è chiesto perché domande “scomode”, per esempio sulla provenienza, non siano state poste.
Un artista testardo
Pare che Cimabue, soprannome che potrebbe alludere alla sua testardaggine (“testa di bue”), fosse anche perfezionista. Come diceva Vasari, era “sì arrogante, e sì disdegnoso, che si per alcuno li fosse a sua opera posto alcun fallo, o difetto, o elli da se l'avessi veduto; che, come accade molte volte, l'artefice pecca per difetto della materia, in che adopra; o per mancamento ch'è nello strumento con che lavora, immantinente quell'opra disertava, fossi cara quanto volesse”.
Sappiamo che il "terreno Cimabue” è particolarmente scivoloso. Pochissime opere conosciute come autografe, nessun'opera firmata, numerose attribuzioni errate, alcune durate per secoli. Pure Vasari aveva erroneamente affermato che Cimabue aveva dipinto la pala d'altare della Madonna Rucellai in S. M. Novella che oggi è attribuita a Duccio, per elevare lo status della sua amata Firenze e minimizzare quello di Siena, patria di Duccio.
L'altra opera detta di appartenere al polittico in questione, la Flagellazione alla Frick, fu lungamente attribuita a Duccio e assegnata a Cimabue solo nel 2000. Il caso ripropone un problema ricorrente: non ci sono standard per la due diligence precedente l'acquisto. Normalmente ci si aspetta di vedere tre step: esame stilistico, studio sulla provenienza, e analisi scientifiche.
Lo studio dell'autenticità del capolavoro dimenticato passa dai tarli
Il catalogo d'asta descrive un esame stilistico comparativo. Ma che cosa è successo all'opera durate gli 800 anni prima di arrivare nella cucina dove è stata scoperta? Gli esami scientifici si basano solo su immagini a infrarossi per “autenticare” il lavoro tramite dei disegni preparatori trovati sul pannello considerati certamente “di Cimabue”.
Sono stati condotti altri esami scientifici, come la dendrocronologia per datare il pannello in pioppo o l'analisi di sezioni trasversali della vernice per studiare le strutture degli strati e confrontarli con gli altri pannelli? “Basta seguire i tunnel realizzati dai tarli”, dice il mercante/esperto Turquin, sottolineando che il polittico è stato segato al centro, esponendo le tracce secolari fatte da tarli mangiatori di legname. Tutti e tre i pannelli hanno schemi simili di fori di tari. “È lo stesso pannello di pioppo”, aggiunge Turquin. Speriamo che i tarli siano dei bravi autenticatori.

Dettaglio del dipinto ligneo attribuito a Cimabue