Badiucao, il “Banksy” cinese che fa paura a Xi Jinping

12.11.2021
Tempo di lettura: 5'
Vivere vent'anni senza avere idea di Tienanmen. Poi scoprirlo, e rinunciare alla carriera di avvocato per costruire una memoria collettiva, pagandone le conseguenze. Ha inaugurato a Brescia “La Cina non è vicina”, BADIUCAO – Opere di un artista dissidente. Imperdibile per collezionisti e cittadini. I motivi, nelle parole dell'artista stesso, della curatrice Elettra Stamboulis, di Francesca Bazoli (presidente Brescia Musei) e del sindaco Emilio Del Buono
Pechino, 4 giugno 1989. I carri armati aprono il fuoco contro i manifestanti di piazza Tienanmen. L'esito finale delle proteste pacifiche iniziate il 15 aprile è una carneficina. I soldati verranno premiati con degli orologi da polso, poi prontamente ritirati: di quei fatti non dovrà esserci memoria.
Brescia, 12 novembre 2021. Uno di quegli orologi, scampato alla razzia e fugacemente apparso in un catalogo d'asta, campeggia su carta dietro il vetro di un quadretto nel Museo di Santa Giulia. Al posto del cinturino, due strisce dipinte col sangue. Lo stesso materiale organico replica la forma del segnatempo nei tanti altri quadretti che compongono l'installazione Watch. L'autore è Badiucao, protagonista nel capoluogo di provincia lombardo con la mostra “La Cina non è vicina”, BADIUCAO – Opere di un artista dissidente inaugurata dal Comune di Brescia con la Fondazione Brescia Musei.
Brescia, 12 novembre 2021. Uno di quegli orologi, scampato alla razzia e fugacemente apparso in un catalogo d'asta, campeggia su carta dietro il vetro di un quadretto nel Museo di Santa Giulia. Al posto del cinturino, due strisce dipinte col sangue. Lo stesso materiale organico replica la forma del segnatempo nei tanti altri quadretti che compongono l'installazione Watch. L'autore è Badiucao, protagonista nel capoluogo di provincia lombardo con la mostra “La Cina non è vicina”, BADIUCAO – Opere di un artista dissidente inaugurata dal Comune di Brescia con la Fondazione Brescia Musei.
«In Cina la gente non ha voce, non esiste discussione pubblica. In poche parole: non esiste un processo democratico. In Europa invece il dissenso si può esprimere. Nel momento stesso in cui ciò si può fare, vuol dire che si può mettere alla prova il potere politico», racconta lo stesso Badiucao (Cina, 1986).
Nel 1989, l'artista ha solo tre anni. Cresce nella città di Shanghai, dove si iscrive a giurisprudenza, nella totale inconsapevolezza dei lati più oscuri della storia contemporanea del suo paese. Nel 2007 vede però fortuitamente The Gate of Heavenly Peace, un girato clandestino sulle proteste di Piazza Tienanmen. È la svolta esistenziale: non sarà più un brillante avvocato, ma un artista in lotta per la libertà di espressione.

Se l'arte è una forma di esercizio del potere, il potere stesso la teme. Badiucao vive in esilio in Australia, è diventato cittadino di quel paese che pure è così legato per questioni economiche al Dragone.

Pechino però non lo lascia in pace: lo stesso progetto espositivo bresciano ha preso il via fra le minacce del governo cinese (fortunatamente inascoltate grazie al sindaco Emilio Del Buono e alla Fondazione Brescia Musei presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov).

La mostra, splendidamente allestita dalla curatrice Elettra Stamboulis (che lo stesso artista definisce «la mia eroina»), è densa, sintetica, colorata. Una visione rosso fuoco delle istanze democratiche di una parte di popolo che non si arrende al pugno di ferro di un sistema dittatoriale, una critica serrata al governo cinese. L'artista si augura che essa possa «servire per comprendere anche quanto il popolo dell'ex celeste impero – non solo al di fuori della Cina, ma anche al suo interno – sia stato e sia audace, capace, orgoglioso», mai intimorito di «parlare apertamente contro il governo cinese», pagandone le conseguenze sulla sua pelle.
L'esposizione inizia con una netta dichiarazione identitaria: la “stanza d'artista” di Badiucao. C'è il ritratto del suo maestro Ai Weiwei, un letto da studente irto di 4000 matite cinesi appuntite: l'artista non è mai comodo, dorme pungolato dalla sua stessa creatività. Alle pareti, ritratti di famiglia: Xi Jingping che sposa una donna con il volto di coronavisrus, Xi Jingping che allatta un cucciolo di coronavirus. Un lavandino, una parete di specchi cui sono appese le maschere che indossava prima di svelare la sua identità (di qui il suo soprannome di “Banksy cinese”). Un monitor dove scorrono i suoi tweet e le minacce che riceve (l'account dell'artista è il suo canale di comunicazione privilegiato, seguito da 80.000 persone). Si prosegue con installazioni multi e mixed media, neon art, tele, dipinti, disegni e carboncini dalla squisita fattura.
Nel 1989, l'artista ha solo tre anni. Cresce nella città di Shanghai, dove si iscrive a giurisprudenza, nella totale inconsapevolezza dei lati più oscuri della storia contemporanea del suo paese. Nel 2007 vede però fortuitamente The Gate of Heavenly Peace, un girato clandestino sulle proteste di Piazza Tienanmen. È la svolta esistenziale: non sarà più un brillante avvocato, ma un artista in lotta per la libertà di espressione.

Il medico che scoprì il covid, poi morto della stessa malattia dopo essersi rifiutato di firmare una dichiarazione in cui lo si definiva "Nemico della patria". Courtesy Fondazione Brescia Musei e l'artista.
Se l'arte è una forma di esercizio del potere, il potere stesso la teme. Badiucao vive in esilio in Australia, è diventato cittadino di quel paese che pure è così legato per questioni economiche al Dragone.

Foto ©Teresa Scarale
Pechino però non lo lascia in pace: lo stesso progetto espositivo bresciano ha preso il via fra le minacce del governo cinese (fortunatamente inascoltate grazie al sindaco Emilio Del Buono e alla Fondazione Brescia Musei presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov).

Foto ©Teresa Scarale
La mostra, splendidamente allestita dalla curatrice Elettra Stamboulis (che lo stesso artista definisce «la mia eroina»), è densa, sintetica, colorata. Una visione rosso fuoco delle istanze democratiche di una parte di popolo che non si arrende al pugno di ferro di un sistema dittatoriale, una critica serrata al governo cinese. L'artista si augura che essa possa «servire per comprendere anche quanto il popolo dell'ex celeste impero – non solo al di fuori della Cina, ma anche al suo interno – sia stato e sia audace, capace, orgoglioso», mai intimorito di «parlare apertamente contro il governo cinese», pagandone le conseguenze sulla sua pelle.
L'esposizione inizia con una netta dichiarazione identitaria: la “stanza d'artista” di Badiucao. C'è il ritratto del suo maestro Ai Weiwei, un letto da studente irto di 4000 matite cinesi appuntite: l'artista non è mai comodo, dorme pungolato dalla sua stessa creatività. Alle pareti, ritratti di famiglia: Xi Jingping che sposa una donna con il volto di coronavisrus, Xi Jingping che allatta un cucciolo di coronavirus. Un lavandino, una parete di specchi cui sono appese le maschere che indossava prima di svelare la sua identità (di qui il suo soprannome di “Banksy cinese”). Un monitor dove scorrono i suoi tweet e le minacce che riceve (l'account dell'artista è il suo canale di comunicazione privilegiato, seguito da 80.000 persone). Si prosegue con installazioni multi e mixed media, neon art, tele, dipinti, disegni e carboncini dalla squisita fattura.
Di «una grande qualità artistica» parla la curatrice, evidenziando «una capacità di lavorare con qualsiasi materiale, di creare nessi fra lavori» e di una «genealogia artistica molto ben individuata in Ai Weiwei». Elettra Sttamboulis definisce Badiucao «un artista post traumatico», nel senso che «quel trauma che ha vissuto una generazione non lo si può sradicare se non si fa un'operazione di memoria condivisa. La prima istanza di Badiucao è chiedere al suo paese di riscrivere la propria storia, il coraggio di guardare a chi è e da dove viene».
La presidente della Fondazione Brescia Musei Francesca Bazoli sottolinea l'importanza, per un sito antico come Brescia, di «frequentare l'arte contemporanea proprio in virtù dei nostri 2000 anni di storia dell'arte. Basti pensare al dialogo in corso di Vezzoli e Isgrò con la nostra città. L'arte contemporanea è un periscopio che ci consente di indagare quali sono le correnti più profonde che sottendono alla vita odierna, è uno strumento di gestazione della libertà sconosciuto ad altri strumenti».

Badiucao considera Brescia la sua «seconda città». Quasi commosso racconta di non essere «mai stato tanto supportato». Ringrazia tutti, dice che «si è trattato di un lavoro di squadra straordinario: tantissimi incagli hanno cercato di fermarci, non ultime le minacce. Ma Brescia, da leonessa qual è, non si è lasciata intimorire».

«I confini sono nazionali, i diritti umani universali», commenta il sindaco Emilio Del Buono. Ma «dal 1989 i diritti umani stanno regredendo. Fra questi figura la libertà di espressione, opinione, manifestazione. Molti stati contestano l'universalità dei diritti umani. È un tema potentissimo che anche in Europa non è sufficientemente avvertito, e che diventerà l'istanza del XXI secolo. Chi può farlo capire è il linguaggio dell'arte: arriva a chiunque, al ragazzo, al nonno, al ricco, al povero. Dobbiamo restituire valore al concetto di universalità dei diritti umani. Oggi in occidente è più pericoloso un artista che un giornalista». Questo perché «fuori dei propri confini per un giornalista è più difficile raccontare vicende; mentre non lo è per un artista, il cui linguaggio è decorrelato dalla cultura del territorio». Quella di Brescia «non è fredda ospitalità, ma compartecipazione fraterna in un cammino che è uguale per tutti».

La mostra, supportata anche dal Parlamento Europeo e da Amnesty International (ma da nessuno sponsor privato), è l'evento al centro del Festival della Pace. Sarà visitabile gratuitamente e su prenotazione fino al 28 novembre 2021, proseguirà poi a pagamento fino al 13 febbraio 2022.
La presidente della Fondazione Brescia Musei Francesca Bazoli sottolinea l'importanza, per un sito antico come Brescia, di «frequentare l'arte contemporanea proprio in virtù dei nostri 2000 anni di storia dell'arte. Basti pensare al dialogo in corso di Vezzoli e Isgrò con la nostra città. L'arte contemporanea è un periscopio che ci consente di indagare quali sono le correnti più profonde che sottendono alla vita odierna, è uno strumento di gestazione della libertà sconosciuto ad altri strumenti».

Winnie The Pooh, una delle vittime eccellenti della censura culturale di Pechino
Badiucao considera Brescia la sua «seconda città». Quasi commosso racconta di non essere «mai stato tanto supportato». Ringrazia tutti, dice che «si è trattato di un lavoro di squadra straordinario: tantissimi incagli hanno cercato di fermarci, non ultime le minacce. Ma Brescia, da leonessa qual è, non si è lasciata intimorire».

Dall'installazione Watch, 2021, realizzata a Brescia. Foto ©Teresa Scarale
«I confini sono nazionali, i diritti umani universali», commenta il sindaco Emilio Del Buono. Ma «dal 1989 i diritti umani stanno regredendo. Fra questi figura la libertà di espressione, opinione, manifestazione. Molti stati contestano l'universalità dei diritti umani. È un tema potentissimo che anche in Europa non è sufficientemente avvertito, e che diventerà l'istanza del XXI secolo. Chi può farlo capire è il linguaggio dell'arte: arriva a chiunque, al ragazzo, al nonno, al ricco, al povero. Dobbiamo restituire valore al concetto di universalità dei diritti umani. Oggi in occidente è più pericoloso un artista che un giornalista». Questo perché «fuori dei propri confini per un giornalista è più difficile raccontare vicende; mentre non lo è per un artista, il cui linguaggio è decorrelato dalla cultura del territorio». Quella di Brescia «non è fredda ospitalità, ma compartecipazione fraterna in un cammino che è uguale per tutti».

Carrie Lam, governatrice di Hong Kong
La mostra, supportata anche dal Parlamento Europeo e da Amnesty International (ma da nessuno sponsor privato), è l'evento al centro del Festival della Pace. Sarà visitabile gratuitamente e su prenotazione fino al 28 novembre 2021, proseguirà poi a pagamento fino al 13 febbraio 2022.