The Others Art Fair, buongiorno ai collezionisti di domani

«“Questa è la nostra prima opera”: quando me lo dicono, non nascondo di provare una certa emozione. Oltre al pubblico con una grande capacità di spesa, ci siamo posizionati anche per il pubblico dei curiosi, di coloro che ancora non sanno di essere collezionisti». A parlare è Lorenzo Bruni, critico e curatore indipendente, direttore da tre anni della torinese The Others Art Fair, giunta alla sua XI edizione nel 2022.
Questa fiera dedicata al nuovo, al non ancora istituzionalizzato, ha registrato un notevole successo di pubblico, accorso numeroso dal 3 al 6 novembre, «intenso e costante», superando i livelli del 2019. «Hanno tutti captato un’atmosfera rilassata, accogliente, non snob», del resto la mascotte dell’evento era Pacman, icona pop dell’omonimo archeo videogioco anni ’80. «Pacman è stata la terza parola chiave della XI edizione della fiera, dopo labirinto e dialogo. Richiama l’idea della competizione, ma in maniera ironica. Vogliamo depotenziare l’idea della competizione costante che attanaglia la società occidentale». E negli stand del Padiglione 3 di Torino Esposizioni si respirava la vivacità di una fiera fresca, non ancora istituzionalizzata, i cui temi erano (e sono) il dialogo intergenerazionale, quello tra uomo e nuove tecnologie, il rapporto tra oriente e occidente, la performance e la sperimentazione artistica, il femminile, il corpo, il linguaggio.
The Others Art Fair, il mercato e le origini
Il mercato ha apprezzato? «Molto. È andato bene, con numerose vendite, per lo più dai 500 ai 20.000 euro, anche se non è una regola allo stesso modo di altre fiere (es. Affordable Art Fair, ndr). Abbiamo lavorato a stretto contatto con tutti gli spazi. E la comunicazione è stata indovinata, a partire dalla nostra webtv nata nel 2019».
Come mai nasce una fiera come The Others? Ce n’era bisogno? «L’esperienza di The Others nasce 12 anni fa, dall’intuizione di Roberto Casiraghi e Paola Rampini (già fondatori di Artissima nel 1994; in copertina con Lorenzo Bruni, ndr), dall’esigenza di ripensare il modello fiera, il rapporto con il pubblico. Ma soprattutto dalla necessità di creare uno spazio alternativo, non convenzionale, in cui fossero protagonisti i giovani, gli sperimentatori, gli enti non profit fondati da giovani artisti che non vedevano il mercato come un nemico (al contrario dei loro omologhi negli anni ’60): piuttosto sentivano l’esigenza di rimodulare il mercato in maniera non gerarchizzata». Ripensare le gerarchie è servito al direttore per capire «chi fossero diventati “gli altri” nel frattempo. Tre anni fa ho voluto amplificare alcuni aspetti della fiera: il mondo era cambiato. Al di là degli enti non profit e delle gallerie commerciali di ricerca, ho espresso interesse nei confronti delle residenze d’artista, nell’ultimo decennio vero e proprio motore dell’arte». In definitiva, «è là che gli artisti producono le loro opere».
Nel solco di questo approccio, Luigi Bruni ha dato anche spazio alle preziose case editrici che fanno edizioni d’arte, agli artisti che cambiano sede di volta in volta a seconda del lavoro, «non li abbiamo ghettizzati, abbiamo mischiato tutto. Ciò che conta sono i progetti. Il labirinto dell’edizione 2022 non era traduzione del perdersi ma del ritrovarsi, non opponiamo centro e periferia, ci sono tanti centri». Non è la fruizione il fine principale della fiera, «siamo una piattaforma di scambio, fra artisti e pubblico, fra diverse culture e nazionalità, fra generazioni. Abbiamo nel nostro DNA quello di essere site specific, di offrire cose che si possono vedere solo qui (l’artista Marco Raparelli ha realizzato per l’occasione un’opera su un muro della fiera, ndr), non come nelle normali fiere dove si fruisce di tracce, frammenti di accadimenti avvenuti altrove». Qualche esempio di dialogo? «Mi viene in mente il lavoro di San Sebastiano Contemporary (Palazzolo Acreide – Siracusa) in cui sono state messe in dialogo due giovani pittrici, una iraniana una argentina, con l’archistar italiana Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Oppure quello della peruviana Bloc Art, anch’essa presente con un interessante lavoro intergenerazionale, ma fra artiste giovani, ventenni versus trentenni».
Fra le gallerie milanesi, interessante la proposta di StayOnBoard (curatore Nicola Bigliardi, fondatrice Clelia Di Serio). Temi dello stand, il sacro e la denuncia socio-politica di Albina Yaloza (Ucraina 1978); l’istante nelle fotografie e azioni pittoriche di Giulio Cassanelli (Bologna 1979); il dialogo fra natura e tecnologia di Gunter Pusch (Germania, 1962); le istanze solidali ed ecologiche del nostro tempo di William West (Inghilterra, data di nascita ignota). A richiamare i collezionisti, la video-installazione a soffitto Fabrik Stationem.
Quattro i premi assegnati dai mecenati alla fine della kermesse: Operæ per l’arte contemporanea ex aequo all’opera "Draft #1" (2022) degli artisti Zeroottouno (Fabbrica EOS, Milano), e a "Stallion Stamina" (2021) dell'artista Malte Linnebjerg (Stereo Exchange, Copenhagen). Enrico Smerilli (CRAG) con l’opera “Serie Balloon” (2016), è risultato vincitore del Premio Zenato Academy. La vincitrice della residenza d’artista di un mese, proposta dal Comitato Piero D’Amore, è stata Letizia Scarpello (Lamb). La Behnoode Foundation ha assegnato un premio di acquisizione a Anna Capolupo (VGO Associates).
Premio Zenato Academy