Barbie Musa, 6 opere d’arte (più una) tutte ante 2023

Teresa Scarale
Teresa Scarale
24.7.2023
Tempo di lettura: 3'
Fonte d’ispirazione per generazioni di artisti, la bambola più celebre è tornata come mai a essere un’ossessione pop. Qui i lavori d’arte che ne hanno segnato la carriera, da Sara Zaher a Andy Warhol

Lasciando per un attimo da parte gli esperimenti di decostruzione, torniamo alla Barbie tutta intera. Ovvero a Barbara Millicent Roberts (che è il suo nome per intero). Nata a opera dell’imprenditrice Ruth Handler nel 1959, la bambola più cool di tutte è diventata in breve tempo una icona pop impossibile da ignorare. Con la sua estetica iperfemminile (oggi denominata Barbiecore) è diventata una protagonista quasi filosofica dei dibattiti su bellezza, femminismo, potenza del commercio ludico. Ma soprattutto, si è imposta come musa per gli artisti dalla seconda metà del XX secolo in poi.

Le 7 opere d’arte più celebri ispirate a Barbie  

Andy Warhol: Barbie o BillyBoy*? 


Andy Warhol, Barbie, Portrait of BillyBoy* (1986)

Non si può non partire con il papà della pop art. Che Andy Warhol fosse ossessionato dalle celebrità, è noto. Le sue opere raffigurano alcuni dei volti che hanno dato una faccia al XX secolo, da Marilyn Monroe e Jackie O. alla Regina Elisabetta II e Muhammad Ali. E sul finire della sua vita, nel 1986, rivolge la sua attenzione a Barbie. O meglio: al designer suo amico BillyBoy* (1960), una delle sue muse, che però gli negava costantemente di essere ritratto. Fino a che un giorno, stanco delle insistenze di Andy, gli disse che se tanto ci teneva a dipingerlo, avrebbe dovuto fare il ritratto di Barbie. E così Warhol fece, chiamando però il quadro BillyBoy* e non Barbie. 

Non solo Andy Warhol, le altre opere d’arte ispirate a Barbie

Un mondo di giochi: David Levinthal 


David Levinthal, Untitled from the series Barbie (1997) © 1997, David Levinthal. Collection of the Smithsonian American Art Museum, Washington, D.C.

Il fotografo americano David Levinthal (1949) ha costruito la sua carriera fotografando bambole e giocattoli scenograficamente disposti sul set, creando vignette d'atmosfera che potrebbero essere scambiate per fotogrammi di film o per la vita reale. Grazie a queste scene teatrali, Levinthal è in grado di affrontare qualsiasi tema, che si tratti di cultura pop o eventi storici, di razzismo o politica. Nella serie "Barbie", il fotografo ha adoperato la bambola come modella fashion, impeccabilmente vestita e in posa come una modella reale per una campagna pubblicitaria sulle riviste di moda. Tramite queste immagini, Levinthal vuole sottolineare il modo in cui le donne e il loro corpo sono stati e sono oggettivizzati commercialmente, soprattutto nel dopoguerra.

Beau Dunn 


Beau Dunn, Barbie #3 (2012). Courtesy of the artist

L'attrice, modella e artista di Los Angeles, si interessa da tempo alla Barbie, sia per il suo status di oggetto da collezione sia per il suo forte simbolismo culturale (come Sheila Pree Bright, sotto). La sua ironica serie fotografica Plastic, presenta una serie di Barbie ultra-femminili, presentate in modo impeccabile, sia vintage che contemporanee. Le opere aprono un dialogo tra la Barbie come giocattolo per bambini e la costante richiesta da parte della società attuale di apparire perfetti. Le fotografie sono nate dalle esperienze vissute dalla stessa Dunn che, crescendo a Los Angeles, ha sentito sulla sua stessa pelle la pressione di avere un “corpo perfetto e un guardaroba perfetto”.

Sheila Pree Bright  


Sheila Pree Bright, Untitled 14 from “Plastic Bodies” (2003)

Nella sua serie Plastic Bodies, la fotografa Sheila Pree Bright rende labile il confine tra essere umano e bambola. Fonde le immagini delle Barbie con quelle di donne reali, mettendo a fuoco la pressione che sulle donne esercitano gli standard di bellezza, in particolare quelli della cultura bianca. Nella cultura contemporanea, la perfezione – benché sia un obiettivo irraggiungibile – deve essere continuamente perseguita, e il corpo delle donne diventa sempre più l’imitazione di quello della bambola, piuttosto che il contrario. La sua opera esplora l'insidia della perfezione e invita a riflessioni complesse sull’impatto delle rappresentazioni femminili idealizzate nei mass media.

Sara Zaher 


Sara Zaher, Barbie Died For My Sins (2019)

Anche l’artista originaria del Cairo e attualmente residente a New York, si serve di Barbie come veicolo per dibattere su ciò che la bambola rappresenta e sulle connesse questioni sociali, culturali e politiche. La stessa Zaher rivela che il suo lavoro è «incentrato sul sovvertimento di icone familiari per creare una nuova narrazione. Volevo attribuirle (a Barbie, ndr) un senso di relatività o umanità, come figura capace di sacrificio, redenzione e reinvenzione». Se molti artisti sottolineano il modo in cui Barbie incarna l'oggettificazione delle donne, Zaher vede invece in Barbie un'opportunità di cambiamento. Con ironia e irriverenza.

Sarah Williamson – ArtActivistBarbie 


ArtActivistBarbie è stata attiva su Twitter per più di quattro anni, comparendo nei musei e nelle gallerie – vestita con abiti da Barbie – con cartelli di protesta tenuti in alto da bastoncini di lecca-lecca che criticavano il mondo dell'arte in quanto dominato dagli uomini. L’idea nasce da Sarah Williamson, docente presso l'Università di Huddersfield nel Regno Unito. Il progetto costituiva inizialmente un tentativo di coinvolgere i suoi studenti in questioni sociali; esperimento che poi si rivelò un successo e che quindi la Williamson decise di continuare. Sfidando l'idea che Barbie sia intrinsecamente una rappresentazione di standard di bellezza irraggiungibili e frivoli, Williamson è stata in grado di creare una narrazione in cui Barbie è un'attivista.

Andrea MacCafferty 


Andrea McCafferty, Barbie 1965 – The End of the Affair #2 (2019)

Utilizzando una replica della Barbie del 1965 (la prima ad avere le gambe snodabili), l’artista crea scene e narrazioni intriganti, che ricordano il cinema e la televisione di quegli anni. Nella serie The End of the Affair, titolo tratto da un romanzo degli anni Cinquanta, Barbie sfoggia un carré très chic e un cappotto bordato di pelliccia, come in un film drammatico. La scelta del bianco e nero ne accentua il vago senso di mistero (MacCafferty utilizza però anche il colore per gli altri con la Barbie). L’accuratezza delle scene e la qualità cinematografica delle immagini evocano alcuni lavori di Cindy Sherman.

Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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