Homo Faber a Venezia: il bello è il contrario del male

L’umanesimo salverà la tecnologia? “È un’affermazione superata. Creare antagonismo tra mestieri d’arte e tecnologia è fuorviante e riduttivo. Il tech resta uno strumento. Aiuta gli artigiani a comunicare, a salvare tempo prezioso, a renderli più consapevoli nei confronti dei mezzi a loro disposizione”. Spazza subito via ogni ombra di dubbio Alberto Cavalli, direttore della Michelangelo Foundation*, l’ente che, insieme con la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, ha dato vita a Homo Faber, l’evento che dal 10 aprile e fino al 1° maggio 2022 a Venezia, nella suggestiva cornice dell’isola di San Giorgio, presso la Fondazione Giorgio Cini, celebra le eccellenze dei mestieri dell’artigianato artistico. O dell’arte artigiana.

Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
4000 i metri quadri di esposizione, per un totale di 15 mostre, 22 curatori, 850 manufatti. Gli artigiani sono 400, provenienti da 40 paesi del mondo. 110 i diversi mestieri d’arte rappresentati. È la seconda edizione della manifestazione, biennale, dopo la pausa forzata della pandemia. Il primo appuntamento si era tenuto nel 2018. L’ospite d’onore dell’edizione 2022 è il Giappone, protagonista delle creazioni di tutte le nazionalità presenti. Uno splendido dialogo interculturale segno del tratto che ci accomuna: essere umani.
Homo Faber 2022, courtesy Open Care.
Il vero nemico dell’artigianato non è la tecnologia. “È l’ignoranza”, prosegue Cavalli, “che nega alle persone la consapevolezza della differenza fra un prodotto nato da un processo lungo, attento, appassionato, e un altro che di seducente ha solo l’apparenza, perché in realtà tradisce un passato oscuro, finalità legate a semplice marketing da discarica e un’assoluta nullità dal punto di vista dell’originalità e dell’autenticità”. Homo Faber, nome latino e vocazione internazionale, rivela lo stretto dialogo fra umanesimo e tecnologia, già chiaro ai nostri antenati quando dicevano “nulla ars sine scientia”, nessuna arte può esserci senza scienza. L’homo faber, l’uomo rinascimentale artefice del proprio destino, deve essere in grado di abbracciare le tecnologie senza diventarne succube. “La schiavitù tecnologica, se c’è, è legata all’incompetenza”.
Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
La scelta di fare Homo Faber a Venezia si deve alla vocazione costitutivamente internazionale della città, “senza mura, fatta a mano. Talmente fragile che sarebbe dovuta scomparire molto tempo fa, come i mestieri d’arte”. L’esposizione nasce per “celebrare tutto quello che le mani dell’uomo sanno fare, meglio di qualunque macchina o automa surrogato della nostra umanità. Dobbiamo creare insieme un futuro più umano. Più umano significa migliore. Occorre preservare ciò che in quanto uomini ci rende speciali. Siamo gli unici esseri viventi in grado di trasformare creativamente il mondo, a noi compete la trasformazione consapevole della materia”.
Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
Plasmare i materiali significa anche sapersene prendere cura. Essere in grado di preservare le forme sempre nuove che la bellezza assume. Per dire, fra gli stand dell’evento ce n’è uno che si occupa di restaurare preziose bambole giapponesi del periodo Edo (1603-1868): è quello di Open Care, fiore all’occhiello dell’eccellenza italiana del restauro. Vediamo sotto ai nostri occhi le mani sapienti della restauratrice Elena Paola i tessuti e i ricami prendere nuova luce.
Homo Faber 2022, courtesy Open Care
Si chiede Alberto Cavalli: “Perché restaurare, quando ci sono prodotti nuovi, perché custodire? Perché accendere la candela quando c’è l’elettricità? Perché la poesia, se c’è la prosa? Perché siamo umani. Cerchiamo ogni giorno le forme della bellezza che ci corrispondono. I maestri artigiani e i ‘tesori viventi’ giapponesi qui presenti ci raccontano la concentrazione in un mondo distratto, il valore di un oggetto fatto per restare con noi”.
Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
Homo Faber rifugge la dissipazione della produzione. Il direttore della Michelangelo Foundation si augura che “alla fine ci siano stupore e speranza. Stupore per le tecniche, i materiali, le declinazioni che gli artigiani hanno dato al loro talento. Speranza che le giovani generazioni abbiano ancora il desiderio di mettersi alla prova. E che il mondo abbia voglia di ascoltare la loro voce attraverso l’artigianato. Il bello è l’opposto del male, non del brutto. Il presupposto della conservazione della bellezza e del valore che essa incorpora è etico”.
Homo Faber 2022, foto © Teresa Scarale
Non ama le dicotomie, la Michelangelo Foundation. Alberto Cavalli ritiene che anche la differenziazione fra arte e artigianato sia obsoleta. Lo si comprende attraversando la grande installazione che il regista e artista Bob Wilson ha creato in quella che fu la piscina Gandini, trasformata in un palcoscenico sabbioso in cui vivono alcune figure teatrali e archetipiche. Ci si arriva dopo aver attraversato un corridoio buio in cui brillano di luce bluastra alcuni oggetti provenienti direttamente dalla sua collezione privata e da alcune sue produzioni, in una esperienza immersiva che vibra delle note di John Cage.
A volte la fragilità diventa l’arma che la bellezza ha per salvarsi.
Bob Wilson per Homo Faber 2022, Fondazione Giorgio Cini, Venezia. Foto © Teresa Scarale
*Fondata da Johann Rupert, fondatore e ceo del gruppo svizzero del lusso Richemont.