Da Web1 a Web3, centralizzazione vs decentralizzazione

Giulio Bozzo
7.10.2022
Tempo di lettura: 1'
Una prima rivoluzione web c'è già stata: dalla fruizione si è passati alla creazione di contenuti. Ora siamo nel mezzo della terza. Cosa vuol dire?

In principio fu il web1 (da metà degli anni ’80 agli inizi del 2000) che permetteva agli utenti di navigare in una serie di pagine unite tra loro da collegamenti ipertestuali senza ulteriori elementi visivi o sezioni di commenti. Gli utenti erano perciò destinatari passivi delle informazioni. Possiamo perciò definire il web1 come l’era della sola lettura (read only). 

Il web2, dai primi anni 2000 ad oggi, ha stravolto completamente la posizione dell’utente che da osservatore passivo è diventato il soggetto principale su cui si basa l’intera economia di internet. 

Gli utenti possono quindi creare, condividere, pubblicare contenuti su internet e sui vari social media esistenti. In questo ecosistema però sono presenti degli intermediari tra fornitori e consumatori come Google, Meta, Spotify, Amazon che fungono da aggregatori di dati centralizzati catturando quasi tutto il valore sotto forma di dati e denaro. 

Oggi senza queste piattaforme la pubblicità dei nostri prodotti sarebbe ridotta all’osso. Pensate se il lavoro di anni di posizionamento/branding di un’azienda su Instagram potesse scomparire in un secondo: questo è quello che può succedere su piattaforme centralizzate.


Cos'è il web3 rispetto a web1 e web2

Il web3, grazie alla tecnologia blockchain, è la nuova generazione di internet. 

L’obiettivo degli operatori del settore è spostare il potere dalle big tech verso il singolo utente. 

Le parole chiave di questa nuova era sono: decentralizzazione (i dati non sono incamerati in un singolo server centralizzato ma archiviati su dispositivi distribuiti in tutto il mondo), fiducia (quando archiviamo i dati su server centralizzati ci affidiamo completamente a quella determinata azienda che però può vendere i nostri dati per un ritorno economico e politico come successo con lo scandalo Cambridge Analytica. 

Tramite blockchain possiamo ottenete un’identità auto sovrana grazie ai wallet digitali come Metamask che fungono da contenitore delle nostre identità e proprietà digitali), disintermediazione (le transazioni e interazioni sulla blockchain avvengono senza l’approvazione di una terza parte fidata per essere completate) e interoperabilità (questi wallet digitali possono essere portati su ogni piattaforma di internet in modo interoperabile). 

In sintesi, il web3 ridistribuisce il potere dalle big tech verso il singolo individuo.


Risolvere problemi

L’applicazione della tecnologia blockchain al settore dell’arte permette di risolvere i seguenti problemi:


- Tracciabilità delle transazioni

- Pricing di un’opera d’arte

- Royalties per gli artisti nel mercato secondario


L’applicazione degli NFT al settore dell’arte digitale permette di garantire:

- Autenticità di un’opera d’arte (oggi più del 50% delle opere in circolazione sono false o di errata attribuzione)

- Collezionismo dell’arte digitale.

Opinione personale dell’autore
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Laureato in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Genova, studia Arte, Valorizzazione e Mercato all’Università IULM di Milano.
Nel 2019 cura "Digital Collage Art: la surrealtà tra ieri ed oggi" a Palazzo Rosso, Genova.
A gennaio 2021 fonda Reasoned Art, startup società benefit dedicata alla crypto arte, di cui è CEO.
Nel 2021, cura e organizza "Reasoned Art on the Street", la prima mostra decentralizzata e distribuita di crypto arte in Italia.
Esperto del mondo NFT, blockchain e Web3, ha preso parte a numerosi talk, workshop e seminari organizzati da università, enti e istituzioni, per divulgare le potenzialità dell’arte digitale all’interno della prossima rivoluzione culturale.
Nel 2022, è stato inserito tra i 30 Under 30 di Forbes Italia.

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