Banksy senza diritti, per l'Euipo il Flower Thrower è nullo

1.6.2021
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Costa caro l'anonimato all'artista di Bristol. L'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) ha dichiarato nullo un suo marchio. Poteva farlo?
L'iconico “Flower Thrower” di Banksy non è più un marchio registrato dell'Unione europea: a sancirlo l'Ufficio dell'Unione per la proprietà intellettuale (Euipo) che, con decisione dello scorso 14 settembre, ha dichiarato la nullità del marchio raffigurante la celebre immagine del lanciatore di fiori. Com'era prevedibile, il provvedimento ha fatto non poco rumore: qualcuno l'ha frettolosamente etichettato come una pronuncia isolata e, come tale, non troppo significativa; qualcun altro, all'opposto, ha intonato peana e ha preconizzato l'impossibilità per lo street artist inglese di tutelare adeguatamente l'intero corpus delle proprie opere. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo e, anticipando che il provvedimento, in sé considerato, è del tutto condivisibile e coerente con le premesse da cui muove, tentiamo dunque di darne una lettura “oggettiva” e scevra da pregiudizi.
Il casus belli è una domanda di nullità avverso il marchio di proprietà di Pest Control Office Limited (società indirettamente riferibile a Banksy) depositata, nel marzo 2019, da tal Full Color Black Limited, un'azienda londinese attiva nella produzione di biglietti di auguri raffiguranti il “Flower Thrower”, icona della non violenza (non a caso l'opera era apparsa per la prima volta, nel 2005, su un muro situato a Gerusalemme).
A sostegno del proprio assunto la ricorrente deduce la malafede dell'artista, che avrebbe depositato il marchio senza una reale intenzione di utilizzarlo per contraddistinguere i prodotti rivendicati (in funzione, cioè, “distintiva”, come prescrive la normativa europea).
Il vero scopo della registrazione, da parte dell'artista, sarebbe stato invece quello di garantire una qualche tutela ai propri lavori, non potendo Banksy fare affidamento su quella offerta dal diritto d'autore, che avrebbe richiesto di rivelare la propria identità: come noto, chi si celi dietro il nome d'arte “Banksy” non è dato sapere (e questo alone di mistero, per lo meno nei primi tempi, ha contribuito ad accrescere la fortuna, anche commerciale, dell'artista).

A sostegno del proprio assunto la ricorrente deduce la malafede dell'artista, che avrebbe depositato il marchio senza una reale intenzione di utilizzarlo per contraddistinguere i prodotti rivendicati (in funzione, cioè, “distintiva”, come prescrive la normativa europea).
Il vero scopo della registrazione, da parte dell'artista, sarebbe stato invece quello di garantire una qualche tutela ai propri lavori, non potendo Banksy fare affidamento su quella offerta dal diritto d'autore, che avrebbe richiesto di rivelare la propria identità: come noto, chi si celi dietro il nome d'arte “Banksy” non è dato sapere (e questo alone di mistero, per lo meno nei primi tempi, ha contribuito ad accrescere la fortuna, anche commerciale, dell'artista).
Banksy, Flower Thrower, 2005, Gerusalemme. Secondo l'Euipo Banksy non ha alcun diritto commerciale su questa immagine
A supporto di questa tesi, Full Color Black Limited deduce che lo street artist – da sempre permissivo nei confronti di una riproduzione delle proprie opere da parte di terzi, per fini non di profitto – a fronte di un marchio registrato nel 2014 ha avviato la commercializzazione di prodotti recanti il lanciatore di fiori solo nel 2019, successivamente all'instaurazione del giudizio di nullità sul relativo marchio, quando Bansky, effettivamente, ha aperto un negozio alquanto singolare: chiuso al pubblico, ma con esposizione di “prodotti a marchio” acquistabili online.
Osserva, ancora, la ricorrente che la domanda di marchio sarebbe stata presentata per monopolizzare l'opera in questione per un tempo indefinito, in aperto spregio dei principi che governano il diritto d'autore, che, contrariamente al marchio (rinnovabile in perpetuo), concedono diritti di sfruttamento economico limitati nel tempo: settant'anni successivi alla morte dell'autore. Ancorchè suggestiva, a nostro avviso la tesi non è fondata, in quanto è fatto notorio che vi sono diverse opere d'arte (in quanto tali, oggetto di copyright) depositate anche come marchio, con buona pace della normativa di settore.
Il nodo da sciogliere, pertanto, risiede altrove: la registrazione del marchio “Flower Thrower” è stata richiesta per “aggirare” la disciplina di legge sul diritto d'autore? Bansky (e, per esso, Pest Control Office Limited) ha dunque agito in malafede?
È stata proprio la malafede il grimaldello giuridico che ha consentito all'Euipo di scardinare la tenuta del marchio. Le argomentazioni degli advisor di Banksy non sono state ritenute convincenti; al contrario, l'Ufficio ha evidenziato numerose circostanze indici della malafede dell'artista. A dire il vero, un assist in tal senso è stato fornito dallo stesso Banksy, il quale aveva pubblicamente rivelato di aver escogitato lo stratagemma dell'apertura del “temporary shop” al preciso scopo di evitare la decadenza del marchio per mancato uso: agli atti, infatti, figurava un articolo di giornale sul quale, piuttosto ingenuamente, Bansky affermava: “Sometimes you go to work and it's hard to know what to paint, but for the past few months I've been making stuff for the sole purpose of fulfilling trademark categories under EU law”.
Osserva, ancora, la ricorrente che la domanda di marchio sarebbe stata presentata per monopolizzare l'opera in questione per un tempo indefinito, in aperto spregio dei principi che governano il diritto d'autore, che, contrariamente al marchio (rinnovabile in perpetuo), concedono diritti di sfruttamento economico limitati nel tempo: settant'anni successivi alla morte dell'autore. Ancorchè suggestiva, a nostro avviso la tesi non è fondata, in quanto è fatto notorio che vi sono diverse opere d'arte (in quanto tali, oggetto di copyright) depositate anche come marchio, con buona pace della normativa di settore.
Il nodo da sciogliere, pertanto, risiede altrove: la registrazione del marchio “Flower Thrower” è stata richiesta per “aggirare” la disciplina di legge sul diritto d'autore? Bansky (e, per esso, Pest Control Office Limited) ha dunque agito in malafede?
È stata proprio la malafede il grimaldello giuridico che ha consentito all'Euipo di scardinare la tenuta del marchio. Le argomentazioni degli advisor di Banksy non sono state ritenute convincenti; al contrario, l'Ufficio ha evidenziato numerose circostanze indici della malafede dell'artista. A dire il vero, un assist in tal senso è stato fornito dallo stesso Banksy, il quale aveva pubblicamente rivelato di aver escogitato lo stratagemma dell'apertura del “temporary shop” al preciso scopo di evitare la decadenza del marchio per mancato uso: agli atti, infatti, figurava un articolo di giornale sul quale, piuttosto ingenuamente, Bansky affermava: “Sometimes you go to work and it's hard to know what to paint, but for the past few months I've been making stuff for the sole purpose of fulfilling trademark categories under EU law”.
Alla luce di quanto precede (e, più in generale, di quanto dedotto e provato dalle parti) l'Ufficio – richiamando i principi in tema di malafede già espressi nelle decisioni SKY (C-371/18) e STYLO & COTON (C-104/18) – ha qualificato il comportamento di Banksy e di Pest Control Office Limited come contrario alla buona prassi e avente come scopo quello di “ottenere un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni del marchio”, come tale travolto da nullità.
Giustizia è fatta? Per quanto rilevato in precedenza - e, in particolare, per come l'artista ha “gestito” l'utilizzo del lanciatore di fiori – l'epilogo pare più frutto di un autogol che altro. E tuttavia la decisione, sul piano strettamente giuridico, è ineccepibile (prova ne è il fatto che lo stesso Banksy ha rinunciato ad impugnarla nel termine assegnatogli).
Per lo street artist di Bristol la pronuncia costituisce un precedente indubbiamente scomodo: nell'impossibilità di tutelare le sue opere a mezzo del diritto d'autore (perché ciò lo obbligherebbe ad uscire allo scoperto, rivelando la propria identità e tradendo il suo mantra: “copyright is for losers”), per il futuro resta, per Bansky, la difficoltà di reagire nei confronti dello sfruttamento delle proprie opere a fini commerciali invocando la tutela accordata per i marchi, in quanto – pronuncia in commento a parte – l'artista ha sempre dichiarato: “Banksy has never produced greetings cards, mugs or photo canvases of his work”.
Una retromarcia s'impone. Per la prima volta, Banksy è all'angolo: saprà uscirne?
Giustizia è fatta? Per quanto rilevato in precedenza - e, in particolare, per come l'artista ha “gestito” l'utilizzo del lanciatore di fiori – l'epilogo pare più frutto di un autogol che altro. E tuttavia la decisione, sul piano strettamente giuridico, è ineccepibile (prova ne è il fatto che lo stesso Banksy ha rinunciato ad impugnarla nel termine assegnatogli).
Per lo street artist di Bristol la pronuncia costituisce un precedente indubbiamente scomodo: nell'impossibilità di tutelare le sue opere a mezzo del diritto d'autore (perché ciò lo obbligherebbe ad uscire allo scoperto, rivelando la propria identità e tradendo il suo mantra: “copyright is for losers”), per il futuro resta, per Bansky, la difficoltà di reagire nei confronti dello sfruttamento delle proprie opere a fini commerciali invocando la tutela accordata per i marchi, in quanto – pronuncia in commento a parte – l'artista ha sempre dichiarato: “Banksy has never produced greetings cards, mugs or photo canvases of his work”.
Una retromarcia s'impone. Per la prima volta, Banksy è all'angolo: saprà uscirne?