Il cielo è (Bill) Viola sopra Milano

«Ciò che non è pietra è luce». È un verso del poeta messicano Octavio Paz (1914-1998). Lo riprende Bill Viola (New York, 1951) nel descrivere una delle opere presenti nella sua ultima mostra, aperta a Palazzo Reale di Milano dall’ultimo fine settimana di febbraio e curata da sua moglie Kira Perov. Il videoartista di origini italoamericane (suo nonno era nato in provincia di Varese) è oggi una delle figure più pregnanti dell’arte contemporanea. Agli inizi degli anni ’70, già preso dalla fascinazione dell’acqua e del blu catodico, trascorre 18 mesi seminali a Firenze, lavorando per art/tapes/22, uno dei primi centri italiani di produzione di videoarte. L’acqua – spesso presente nelle sue opere come elemento di rinascita e catarsi – è legata a un suo trauma infantile: all’età di sei anni infatti Bill rischia di annegare in un lago, ma suo zio lo mette in salvo. Qualche tempo dopo, a scuola, sarà nominato “Capitano della squadra TV”, venendogli assegnato il compito di spostare un televisore dalla luce bluastra su un carrello da un’aula all’altra per le lezioni. In Italia, (ri)scopre il Rinascimento, l’arte classica e l’iconografia cristiana antica. Classicismo, Rinascimento, Barocco, mistica cristiana, orientale e buddhista – senza tralasciare il sufismo – sono costanti delle sue opere, che non smettono però di restare intimamente laiche.
Il direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina, durante la presentazione della mostra: «La presenza dell’arte antica nell’arte di Bill Viola non è un mero fatto iconografico. Ne sceglie i formati, fa riferimento al trittico, alle predelle, alle stanze affrescate, ma principalmente ne richiama il movimento, quello che i grandi maestri del passato ricreavano facendo “gonfiare i panni”. Lo slow motion di Bill Viola è ciò che Cartier Bresson avrebbe definito il suo punctum, la sua essenza. La videoarte di Bill Viola è nel solco di Nam June Paik, Bob Wilson, Peter Greenaway, Shirin Neshat, Amos Gitai. O dell’italiano Studio Azzurro».
Secondo l’assessore alla cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, l’estetica di Bill Viola guadagna negli spazi di Palazzo Reale «prospettive inedite e irrituali». Del resto, «quello di Bill Viola è un lavoro che parte sempre dallo spazio, dall’architettura», aggiunge Valentino Catricalà, coautore (con Kira Perov) del catalogo.
Palazzo Reale non è un white cube dell’arte contemporanea, è un luogo ricco di storia e di arte; quello architettonico è un elemento fondamentale: prende sempre sensi emotivi diversi a seconda dello spazio in cui è installata l’opera. Inoltre l’immagine video, per dirla con Kira Perov, «è fugace, inaffidabile, visivamente approssimativa e instabile», un mezzo che «offre l’esperienza e la contemplazione dell’impermanenza. Per quanto stabile pensiamo sia il nostro ambiente, tutto cambia nel tempo». Lo stesso mondo digitale è «un mondo visivo, non materiale, la sua esistenza dipende da influssi elettrici, ricorda la nostra fragilità».
Il visitatore della mostra ha bisogno di tempo per la riflessione: «Si entra in una dimensione diversa, che permette all’osservatore di riflettere su quello che gli si sta rivelando. Gli elementi dell’acqua e del fuoco sono spesso utilizzati da Bill per rappresentare la transizione, sia dalla vita alla morte, sia da questa all’altra vita».
Il confine fra illusione e realtà sfuma man mano che ci si perde nell’acqua e nei suoi riflessi, nell’acqua che scende e poi scorre verso l’alto, nel fuoco che si trasforma in acqua e nell’acqua che diviene la soglia più importante della nostra vita, esprimendo la speranza della rinascita, secondo la filosofia che «la nascita non è un inizio, la morte non è una fine».
Le opere di Bill Viola gradualmente avvolgono l’osservatore in un mondo interiore di riflessione e di auto riflessione: aspetto che rende preferibile una visita per conto proprio all’esposizione. Del resto, secondo lo stesso Viola, «la crisi odierna del mondo industrializzato è una crisi del nostro mondo interiore, non del mondo esterno. Si focalizza sull’individuo e su quella confusa mescolanza di sentimenti, segnali e messaggi che ci circondano». Fino al 25 giugno 2023.