Venture capital, investimenti in Italia tornano indietro di due anni

La frenata del settore, mostrata dall’Osservatorio Venture Capital Monitor, arriva dopo anni di crescita sostenuta: potrebbe seguire una nuova fase di crescita più moderata, con valutazioni più realistiche
“Minori fundraising delle società di venture capital, ed investimenti meno redditizi, possono spiegare il calo riscontrato nell’ultimo anno”, ha dichiarato a We Wealth Cristiano Bellavitis, assistant professor presso la Whitman School of Management
Dopo un quarto trimestre già in forte calo, il volume degli investimenti in startup italiane da parte dei fondi venture capital interni e stranieri si è ridotto a 158 milioni di euro nel primo trimestre del 2023, con un calo del 63% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il dato sull'ammontare investito è sostanzialmente stabile rispetto all'ultimo trimestre del 2022 (171 milioni), ad essere crollato in modo evidente, però, è il numero delle operazioni: 49 round contro gli oltre 90 del periodo precedente. E' quanto si apprende dai dati dell’Osservatorio Venture Capital Monitor, nato dalla collaborazione tra Aifi e Liuc – Università Cattaneo.
In particolare, “sono venuti meno soprattutto i big deal” che in passato avevano sostenuto le cifre investite in startup nazionali, ha sottolineato la professoressa Anna Gervasoni, direttore generale dell'Aifi – Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt.
Il dato negativo del venture italiano ha seguito la tendenza generale di raffreddamento osservata anche a livello europeo, ha commentato nel corso della presentazione Matteo Bonfanti, Key Partner Venture Capital di Kairos Partners Sgr; tuttavia, ha aggiunto, uno sguardo di medio periodo mostra dati comunque incoraggianti – tenendo conto che ci si confrontava con risultati record per l'Italia. Anche per questo, Bonfanti ha sottolineato che non si possa parlare di una crisi del venture capital, sulla base di un'osservazione allargata agli ultimi anni. La fase di riassestamento, comunque, potrebbe portare a valutazioni più realistiche per le società non quotate che negli ultimi due anni avevano fatto un po' riflettere (“Revolut è stata valutata 30 miliardi, contro i 3 miliardi di Unicredit”).
Dello stesso avviso anche Luca Pagetti, Head of Startup Growth Financing Department presso Intesa Sanpaolo Innovation Center: “Non vedo una fuga dalla asset class, anche se presumo che il caso di Svb abbia portato un tema di rischiosità percepita che non si addice al contesto italiano ed europeo”, anche perché “le valutazioni delle startup italiane sono più prudenti rispetto a quelle del mondo anglosassone”.
La domanda, a questo punto, è più legata al futuro: se gli investimenti in startup torneranno in tempi brevi ai livelli osservati quando le politiche monetarie erano ultra-espansive, o se questo sia l'inizio di un trend più moderato.
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Venture capital, il peso della stretta monetaria
“Minori fundraising delle società di venture capital, ed investimenti meno redditizi, possono spiegare il calo riscontrato nell’ultimo anno”, ha dichiarato a We Wealth Cristiano Bellavitis, assistant professor presso la Whitman School of Management (Syracuse University, stato di New York). L'aumento dei tassi d'interesse operato dalle banche centrali potrebbe aver avuto un ruolo rilevante nel raffreddamento degli investimenti dei fondi di venture capital, ha dichiarato il professore, primo autore di uno studio che aveva indagato proprio le relazioni fra tassi e questo comparto finanziario (“Monetary policy and venture capital markets”) .
“La politica monetaria, da un lato, rende investimenti in fondi di venture capitale meno appetibili, per esempio per fondi pensionistici: fino a pochi mesi le obbligazioni societarie rendevano poco o niente, mentre ora i Treasury americani rendono il 4%. Nel 2021 i fondi pensionistici dovevano aumentare il rischio per trovare rendimenti ed investivano in private equity, ora possono andare su obbligazioni più sicure diminuendo il rischio”. Avendo alle spalle meno fundraising, i fondi “devono diminuire gli investimenti in società tecnologiche”, ha affermato il professor Bellavitis.
In secondo luogo, come osservato anche sulle azioni tecnologiche quotate, l'aumento dei tassi aumenta il discount rate dei futuri flussi di cassa, riducendo le valutazioni delle imprese. “Società tecnologiche con ritorni sugli investimenti a lungo periodo, hanno visto le loro valutazioni abbassarsi”, ha affermato Bellavitis ricordando, a titolo d'esempio, come Allianz X abbia abbassato le valutazioni della challenger bank N26 del 68% rispetto a un anno fa, mentre la quotazione in Borsa della società, che pareva imminente, è stata rimandata.
“Questo contesto in cui le Ipo sono più difficili da portare a termine, e quando vengono implementate i mercati hanno valutazioni più basse, rende gli investimenti di venture capital meno redditizi”, anche perché la quotazione in Borsa è proprio uno dei momenti in cui i fondi di venture capital possono monetizzare il proprio investimento. “In ogni caso i tassi odierni, storicamente, sono nella norma”, ha affermato Bellavitis, “si troverà un nuovo equilibrio e forse è anche meglio per il mercato in quanto gli investimenti saranno più oculati e più redditizi, ed effettuati in un contesto macroeconomico più stabile”.
Se i tassi si dovessero rivelare “alti più a lungo”, quali implicazioni possiamo immaginare per questo comparto? Al netto delle incertezze proprie dei trend tecnologici e finanziari “all’orizzonte ci sono tecnologie molto interessanti quali intelligenza artificiale, quantum computing, green energy, DNA editing, robotica. Quindi gli investimenti in venture capital saranno sicuramente molto interessanti”, ha affermato il professor Bellavitis, “anzi, in periodi in cui ci sono pochi investimenti, i ritorni sull’investimento aumentano”.