Scardovi: così scommetto sull’Italia con la mia Hope

Pieremilio Gadda
Pieremilio Gadda
16.12.2021
Tempo di lettura: 5'
Claudio Scardovi, economista, imprenditore e manager di lungo corso ha lanciato Hope, un “superfondo” privato che investirà in pmi non quotate, real estate e infrastrutture, lungo la Penisola. Un progetto sui private market, conforme ai pir alternativi e accessibile anche ai piccoli investitori. In questa intervista a We Wealth racconta le prossime mosse

Il nuovo progetto di Claudio Scardovi permette di democratizzare l’accesso ai mercati privati, con investimenti a partire da 1000 euro.

Una piccola quota di private equity nel portafoglio delle famiglie italiane può aumentare la redditività attesa, la diversificazione del rischio complessivo e le capacità di difesa dall’inflazione.

C’è un’azienda del Nord, fatturato da 300 milioni di euro, molto corteggiata da diversi private equity, a cui ha sempre detto ‘no, grazie’, che ci ha contattato proprio nei giorni scorsi perché vorrebbe lavorare con noi. E intanto abbiamo ricevuto molte mail di privati che chiedono di investire. Presto sarà possibile”.

L’aneddoto raccontato da Claudio Scardovi negli uffici di Hope Spa, in un prestigioso palazzo di via Manzoni, a Milano, è emblematico dell’interesse suscitato dalla sua ultima avventura prima ancora di entrare nel vivo della raccolta: da parte degli investitori, come delle aziende che vogliono crescere, supportate da un partner, ma svincolandosi da certe dinamiche tipiche del private equity “classico”. 

“Noi non chiediamo il drag along (o patto di trascinamento: una clausola per la quale il socio di maggioranza, in questo caso il private equity, ha il diritto di trascinare nella vendita anche il socio di minoranza, cioè l’imprenditore che ha ceduto le sue quote ndr): il nostro obiettivo è supportare l’azienda, portarla in Borsa con l’imprenditore. Resta un progetto dell’imprenditore e questo approccio da operating partner, di chi non vuole fare un’operazione speculativa fine a se stessa, ma dare anche supporto manageriale e industriale, piace molto”. 

Facciamo un passo indietro. Claudio Scardovi è un nome molto noto nell’industria dei servizi finanziari: economista, manager e imprenditore (Intervaluenet.com, Vertex), un passato con ruoli chiave nella consulenza strategica (Oliver Wyman, AlixPartners), investment banking (Lehman Brothers e Nomura) e private equity (Advent International) e una lunga esperienza di insegnamento universitario, ancora in corso alla Sda Bocconi e all’Imperial College di Londra. 

La sua nuova creatura si chiama Hope, Holding di partecipazioni economiche, è una Spa e Società Benefit (cioè un’azienda che integra il perseguimento del profitto con lo scopo di esercitare un impatto positivo sulla società). Il 31 agosto ha ottenuto la prima licenza Sicaf retail, autorizzata da Banca d’Italia. Si tratta di una società d’investimento a capitale fisso, che investirà sul mercato italiano in aziende non quotate e in asset reali (infrastrutture tech-green e progetti di rigenerazione e sviluppo urbano) e sarà accessibile anche ai risparmiatori privati, con quote a partire da 1.000 euro.

Questa è solo una delle caratteristiche distintive del progetto, che ha già visto salire a bordo una quarantina di soci: ci sono banche Unicredit, Amundi-Credit Agricole, Banca Generali (Gruppo Generali), Bnl Bnp Paribas, Banco Bpm e Bper, Mediolanum, Kairos, Reiffeisen e alcune banche popolari (Ragusa e Pop. Puglia e Basilicata), tutte impegnate nel collocamento; e poi, family office – le famiglie Manuli, Seragnoli, Stevanato, Dallara, oltre ad Urbano Cairo e Mauro Del Rio – accanto a player come Cnp Partners: insieme hanno capitalizzato inizialmente Hope Spa per circa 15,7 milioni di euro e contribuiranno direttamente e indirettamente alla raccolta di capitale a supporto dei futuri investimenti. 

Il collocamento, condizionato all’approvazione del prospetto da parte di Consob, dovrebbe partire ad inizio 2022, con un obiettivo di raccolta iniziale di 500 milioni di euro. “Siamo autorizzati a raccogliere fino a 10 miliardi. Un terzo di quella cifra sarebbe un buon risultato”, commenta Scardovi. È stata ipotizzata anche una successiva quotazione su Borsa Italiana, nel segmento Miv. Se ne parlerà tra fine 2022 e la prima metà del 2023. “Questo renderà molto più liquido l’investimento da parte dei nostri azionisti”, ricorda il manager, “che, potranno comprare e vendere le loro quote anche sul mercato secondario”.

Nel Cda, oltre allo stesso Scardovi, in qualità di ad, siedono figure di altissimo standing: dal presidente Stefano Caselli, prorettore per gli Affari Internazionali e ordinario di Economia all’Università Bocconi a Lucrezia Reichlin, ordinario di Economia alla London Business School e fondatrice di Now-Casting Economics, accanto ad Alessandra Manuli, Mauro del Rio, Nunzio Luciano e Francesco De Giglio

Gli altri aspetti peculiari di questo “superfondo” focalizzato sull’Italia, rispetto a strumenti di private equity tradizionale, è che il capitale dei soci è subito messo a disposizione della società, e sarà impiegato via via che i comitati d’investimento sono due, uno presiede alle decisioni sulle pmi, l’altro è focalizzato sui progetti dedicati alle “città sostenibili” identificano le opportunità su cui investire. Al contrario, i private equity tipicamente funzionano con un meccanismo “a chiamata”, più premiante, perché in fase di raccolta l’investitore si impegna per una certa somma, ma poi il bonifico avviene solo al momento dell’investimento vero e proprio nelle società, pro quota. 

“Il target di rendimenti attesi tipico del private equity è certamente più elevato rispetto a quello relativo a investimenti in titoli di Stato e in prodotti di liquidità corrente, ma ovviamente con un profilo di rischio di per se più spinto. La nostra idea è che una piccola quota di private equity nel portafoglio delle famiglie italiane ne aumenti la redditività attesa, la diversificazione del rischio complessivo e le capacità di difesa dall’inflazione”, assicura Scardovi. Altra differenza: la sicaf non ha scadenza, i fondi di private equity sì. “E noi useremo poca leva finanziaria, realizzeremo una gestione prudenziale della tesoreria, faremo diversificazione: il nostro, infatti, è un fondo multi-strategy, perché investiremo sia sul capitale di rischio di imprese non quotate, con un fatturato mediamente attorno ai 20-30 milioni di euro, sia su progetti di real estate e infrastrutture”.

Hope si presenta, inoltre, come piattaforma d’investimento Pir alternative: il portafoglio d’investimento rispetterà i requisiti previsti dal legislatore per avere accesso ai benefici fiscali (esenzione dalle tasse sul capital gain e sulle imposte di successione). La gestione del “cassetto fiscale”, per il monitoraggio delle posizioni, sarà offerta da Allfunds, attraverso una soluzione dedicata in architettura aperta.

“L’obiettivo di Hope”, commenta Scardovi, “è contribuire al rilancio dell’economia dell’Italia, per riguadagnare competitività e attrattività e creare benessere e valore sostenibile per noi e per le nuove generazioni”.


Direttore del magazine We wealth direttore editoriale della redazione di We Wealth. Nato a Brescia, giornalista professionista, è laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano. Nel passato ha coordinato la redazione di Forbes Italia e Collabora anche con l’Economia del Corriere della Sera e Milano Finanza.

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