Private equity pronto a chiudere il miglior anno di sempre

29.7.2021
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Dopo un 1° semestre record, il mercato del private equity globale si prepara a generare deal per 1.000 miliardi di dollari entro la fine dell'anno. Una nuova analisi di Bain & Company spiega perché
In sei mesi il private equity globale ha segnato deal da 539 miliardi di dollari, contro i 543 miliardi in media del periodo tra il 2016 e il 2020
Il 2021 si avvia a diventare il miglior anno della storia del settore, con un valore complessivo dei deal che potrebbe toccare i 1.000 miliardi
Hugh MacArthur: “La nostra sfera di cristallo è sfocata come quella di tutti gli altri, ma i venti sembrano favorevoli. C’è ancora molto margine di crescita”
Certo, lo scorso anno il mercato del private equity rivelava già una solidità fuori dalle attese, sulla scia anche degli stimoli governativi. Ma come ammette Hugh MacArthur, responsabile a livello globale dell'attività di private equity di Bain & Company, prevedere che avrebbe avuto il potenziale di “far saltare la copertina dai libri dei record” era inimmaginabile. Stando a una nuova analisi dell'azienda di consulenza globale, il settore si avvia infatti a chiudere il miglior anno di sempre, con un valore complessivo dei deal che potrebbe sfondare il tetto dei mille miliardi di dollari entro i prossimi cinque mesi. Il che significherebbe triplicare le proprie dimensioni in dieci anni.
Sebbene sia “sempre pericoloso elaborare previsioni sulla base della prima metà dell'anno”, avverte MacArthur, i numeri lasciano ben intendere come “ci sia ancora molto margine di crescita”. In sei mesi il private equity globale ha infatti segnato deal da 539 miliardi di dollari, contro i 543 miliardi in media del periodo tra il 2016 e il 2020. “Se il trend dovesse continuare e il valore, sull'intero 2021, dovesse toccare quota 1.000 miliardi di dollari, il mercato supererebbe nettamente il precedente record di 804 miliardi di dollari stabilito nel 2006, quando il settore ha raggiunto il picco prima della crisi finanziaria globale”, spiega l'esperto.

Un altro aspetto da considerare, aggiunge, è che il boom del mercato sia legato non tanto al numero (in crescita del 16%) delle singole operazioni quanto al valore medio dei deal (in crescita del 48% da 718 milioni di dollari a 1,1 miliardi di dollari). Nessun settore merceologico è escluso, ma a primeggiare resta il comparto tecnologico con un accordo di buyout su tre. Un numero, precisa MacArthur, che “tende comunque a sottostimare l'appetito degli investitori di private equity per la tecnologia”, se si considera che esclude sottosettori a essa legati come il fintech, i servizi tech enabled e l'It sanitario.
Sulla scia positiva sono anche le public exit, specie nel Nord America. Qualora il trend proseguisse nel secondo semestre, il valore delle exit globali potrebbe sfiorare i 1.000 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto ai 521 miliardi del picco del 2014. La raccolta dei fondi ha invece toccato i 631 miliardi nei primi sei mesi dell'anno, preparandosi ad avvicinarsi ai 1.300 miliardi a fine anno. Il boom ha riguardato soprattutto i fondi di buyout, venture e growth, mentre i fondi secondari, distressed e immobiliari calavano. Importante anche il livello di concentrazione, con nove fondi “mega” (con più di cinque miliardi di dollari di asset) che hanno raccolto 120,4 miliardi di dollari al 30 giugno 2021.
“Ovviamente non c'è modo di sapere se la seconda metà del 2021 rispecchierà la prima, ma ci sono un paio di implicazioni chiave per gli investitori nei numeri che abbiamo visto finora”, osserva MacArthur. “Innanzitutto, nonostante la robusta attività da gennaio, continuiamo a vedere prove di una domanda repressa”. Il numero di operazioni (a differenza del valore), spiega, è stato inferiore ai livelli storici dello scorso anno. E sebbene il ritmo delle trattative sia aumentato nel primo semestre e il mercato sia sulla buona strada per “consegnare circa 3.700 offerte entro la fine del 2021” si tratta di una cifra ancora al di sotto delle 4.000 annuali cui l'industria è abituata. “La nostra sfera di cristallo è sfocata come quella di tutti gli altri, ma i venti sembrano favorevoli – conclude – Le forze che hanno guidato la straordinaria attività del primo semestre non mostrano segni di indebolimento. A meno che qualcosa non cambi, è probabile che lo slancio continui”.
Sulla scia positiva sono anche le public exit, specie nel Nord America. Qualora il trend proseguisse nel secondo semestre, il valore delle exit globali potrebbe sfiorare i 1.000 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto ai 521 miliardi del picco del 2014. La raccolta dei fondi ha invece toccato i 631 miliardi nei primi sei mesi dell'anno, preparandosi ad avvicinarsi ai 1.300 miliardi a fine anno. Il boom ha riguardato soprattutto i fondi di buyout, venture e growth, mentre i fondi secondari, distressed e immobiliari calavano. Importante anche il livello di concentrazione, con nove fondi “mega” (con più di cinque miliardi di dollari di asset) che hanno raccolto 120,4 miliardi di dollari al 30 giugno 2021.
“Ovviamente non c'è modo di sapere se la seconda metà del 2021 rispecchierà la prima, ma ci sono un paio di implicazioni chiave per gli investitori nei numeri che abbiamo visto finora”, osserva MacArthur. “Innanzitutto, nonostante la robusta attività da gennaio, continuiamo a vedere prove di una domanda repressa”. Il numero di operazioni (a differenza del valore), spiega, è stato inferiore ai livelli storici dello scorso anno. E sebbene il ritmo delle trattative sia aumentato nel primo semestre e il mercato sia sulla buona strada per “consegnare circa 3.700 offerte entro la fine del 2021” si tratta di una cifra ancora al di sotto delle 4.000 annuali cui l'industria è abituata. “La nostra sfera di cristallo è sfocata come quella di tutti gli altri, ma i venti sembrano favorevoli – conclude – Le forze che hanno guidato la straordinaria attività del primo semestre non mostrano segni di indebolimento. A meno che qualcosa non cambi, è probabile che lo slancio continui”.