Private equity: perché conviene anche ai wealth manager

16.3.2022
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I fondi di private equity, nelle stime di Bcg, arriveranno a raddoppiare il patrimonio in gestione entro il 2025. Fornendo una fonte alternativa di ricavi anche ai wealth manager
Gli investitori individuali, entro il 2025, allocheranno asset 2,4 volte maggiori rispetto a oggi su questa asset class. Solo i risparmiatori italiani arriveranno a detenere nei fondi di private equity 13,5 miliardi di euro
Edoardo Palmisani, Bcg: “Espandendo i loro servizi nell’offerta private equity, banche e wealth manager potranno alleviare parte della pressione sui margini che stanno vivendo in questo momento sui prodotti più tradizionali”
Gli investimenti di private equity si preparano a sfondare il tetto degli 11mila miliardi di dollari entro il 2025. Sulla spinta anche degli investitori individuali che, nelle stime di Boston consulting group, arriveranno ad allocare su questa asset class ben 1.200 miliardi. Un'opportunità, nel loro caso, per diversificare il portafoglio. Ma anche, quando si parla di banche e wealth manager, per “alleviare parte della pressione sui margini che stanno vivendo in questo momento sui prodotti più tradizionali”. Almeno nelle parole di Edoardo Palmisani, managing director e partner di Bcg.
Secondo lo studio “The future is private. Unlocking the art of private equity in wealth management” condotto in collaborazione con iCapital, a contribuire maggiormente a questo balzo saranno soprattutto i clienti cinesi e americani. Quanto all'Europa, invece, i risparmiatori italiani arriveranno a detenere nei fondi di private equity 13,5 miliardi di euro entro il 2025. Anche perché, spiegano i ricercatori, le revisioni normative sulle soglie minime d'investimento per la clientela individuale e i progressi tecnologici stanno progressivamente spalancando i cancelli d'ingresso ai mercati privati.
“Oggi banche e wealth manager hanno l'opportunità di facilitare l'accesso degli investitori individuali al private equity”, spiega Palmisani. “Così facendo, potranno aiutare gli investitori a diversificare maggiormente i propri portafogli e migliorare significativamente il loro potenziale di rendimento”. Ma d'altro canto, come anticipato in apertura, potranno anche “alleviare parte della pressione sui margini che stanno vivendo in questo momento sui prodotti più tradizionali”. Un'opportunità che, secondo Marco Bizzozero (head of international di iCapital) alcuni gestori hanno già iniziando a cogliere. Facendo dei mercati privati “una priorità strategica fondamentale”.
I fondi di private equity, secondo Bcg, hanno garantito rendimenti netti superiori di almeno il 3% rispetto ai principali indici internazionali in un arco di 5, 15 e 20 anni. Inoltre, vantando una scadenza media di 10 anni, sarebbero maggiormente in grado di affrontare crisi e periodi di stress finanziario. Certo, avvertono i ricercatori, i ticket minimi d'investimento restano elevati (tra 5 e 10 milioni) ma alcune startup stanno tentando di “democratizzarne” l'accesso. Per esempio, supportando proprio i wealth manager affinché uniscano patrimoni di più clienti per raggiungere tali soglie minime di sottoscrizione. Ma anche consentendo agli utenti di acquistare e scambiare quote di fondi mettendo sul piatto dai 20mila dollari in su.
“Per gestire al meglio l'opportunità, banche e wealth manager dovranno definire un approccio sistematico al private equity per ridurre le barriere che storicamente hanno limitato l'accesso degli investitori individuali”, avverte tuttavia Giovanni Covazzi, principal di Bcg e co-autore dello studio. “In primis definendo modalità di accesso a fondi di alta qualità a livelli di investimento con soglie minime accessibili, insieme a un'esperienza semplificata e fortemente digitalizzata in ogni fase del ciclo di vita dell'investimento per limitare la complessità degli attuali processi di gestione, dalla sottoscrizione alla gestione delle capital call”. In questo contesto, conclude, “soluzioni tecnologiche di mercato, potenzialmente in partnership con fintech, potranno supportare l'offerta a scala di questa asset class”.
I fondi di private equity, secondo Bcg, hanno garantito rendimenti netti superiori di almeno il 3% rispetto ai principali indici internazionali in un arco di 5, 15 e 20 anni. Inoltre, vantando una scadenza media di 10 anni, sarebbero maggiormente in grado di affrontare crisi e periodi di stress finanziario. Certo, avvertono i ricercatori, i ticket minimi d'investimento restano elevati (tra 5 e 10 milioni) ma alcune startup stanno tentando di “democratizzarne” l'accesso. Per esempio, supportando proprio i wealth manager affinché uniscano patrimoni di più clienti per raggiungere tali soglie minime di sottoscrizione. Ma anche consentendo agli utenti di acquistare e scambiare quote di fondi mettendo sul piatto dai 20mila dollari in su.
“Per gestire al meglio l'opportunità, banche e wealth manager dovranno definire un approccio sistematico al private equity per ridurre le barriere che storicamente hanno limitato l'accesso degli investitori individuali”, avverte tuttavia Giovanni Covazzi, principal di Bcg e co-autore dello studio. “In primis definendo modalità di accesso a fondi di alta qualità a livelli di investimento con soglie minime accessibili, insieme a un'esperienza semplificata e fortemente digitalizzata in ogni fase del ciclo di vita dell'investimento per limitare la complessità degli attuali processi di gestione, dalla sottoscrizione alla gestione delle capital call”. In questo contesto, conclude, “soluzioni tecnologiche di mercato, potenzialmente in partnership con fintech, potranno supportare l'offerta a scala di questa asset class”.
