Aziende, il mini-bond è un prestito su misura
7.7.2020
Tempo di lettura: 5'
Le aziende italiane, messe a dura prova dal coronavirus, stanno esplorando strumenti di finanza alternativa, tra cui i mini-bond: titoli di debito a medio-lungo termine emessi da società non quotate
Il bisogno (di credito) aguzza l'ingegno. E così le aziende italiane, messe a dura prova dal coronavirus, stanno esplorando strumenti di finanza alternativa, tra cui i mini-bond: titoli di debito a medio-lungo termine emessi da società non quotate, sottoscritti da investitori istituzionali privati (in private placement) o dal mercato.
Il sesto Osservatorio sui mini-bond della School of Management del Politecnico di Milano, che monitora le emissioni di società non finanziarie per importi sotto i 50 milioni di euro, rileva che le emittenti-tipo del 2019 sono state aziende dei settori industriale e manifatturiero, del Nord Italia, con fatturato tra 2 e 50 milioni. Le emissioni nel 2019 sono state 207, per un controvalore di 1.183 milioni. Nel secondo trimestre 2020 sono state 40, per un controvalore di 180 milioni, contro i 264 milioni dello stesso periodo del 2019, spiega Giancarlo Giudici, professore associato del Politecnico di Milano e curatore dell'Osservatorio.
Gli operatori restano ottimisti, nonostante il coronavirus. “Le aziende che stavano emettendo mini-bond hanno concluso le operazioni e chi invece aveva progetti di medio-lungo periodo ha momentaneamente rinviato le emissioni. Altre hanno chiesto alle banche i prestiti garantiti, ma vista la lentezza nell'erogazione e la necessità di liquidità immediata, hanno optato per i mini-bond”, dice Giudici. Lo confermano Banca Finint e Frigiolini & Partners Merchant, i due arranger del maggior numero di emissioni di mini-bond nel 2019 (fonte: Politecnico di Milano).
“Diverse aziende hanno emesso mini-bond nono- stante l' emergenza. Come Banca Finint abbiamo concluso un paio di operazioni per un importo di 20 milioni tra febbraio e aprile di quest'anno e a fine maggio ne abbiamo chiusa una terza”, racconta Simone Brugnera, responsabile area mini-bond di Banca Finint. Gli fa eco Leonardo Frigiolini, fondatore e ad di Frigiolini & Partners Merchant: “Nel primo trimestre 2020 abbiamo raddoppiato il nostro fatturato anno su anno”. Anche Anna Marucci, responsabile listing dei mercati obbligazionari di Borsa Italiana, conferma una pipeline interessante.
Gli operatori restano ottimisti, nonostante il coronavirus. “Le aziende che stavano emettendo mini-bond hanno concluso le operazioni e chi invece aveva progetti di medio-lungo periodo ha momentaneamente rinviato le emissioni. Altre hanno chiesto alle banche i prestiti garantiti, ma vista la lentezza nell'erogazione e la necessità di liquidità immediata, hanno optato per i mini-bond”, dice Giudici. Lo confermano Banca Finint e Frigiolini & Partners Merchant, i due arranger del maggior numero di emissioni di mini-bond nel 2019 (fonte: Politecnico di Milano).
“Diverse aziende hanno emesso mini-bond nono- stante l' emergenza. Come Banca Finint abbiamo concluso un paio di operazioni per un importo di 20 milioni tra febbraio e aprile di quest'anno e a fine maggio ne abbiamo chiusa una terza”, racconta Simone Brugnera, responsabile area mini-bond di Banca Finint. Gli fa eco Leonardo Frigiolini, fondatore e ad di Frigiolini & Partners Merchant: “Nel primo trimestre 2020 abbiamo raddoppiato il nostro fatturato anno su anno”. Anche Anna Marucci, responsabile listing dei mercati obbligazionari di Borsa Italiana, conferma una pipeline interessante.
I mini-bond permettono alle aziende di diversificare le fonti finanziarie. Frigiolini lo spiega con una metafora: “È meglio avere due pozzi cui attingere (banca e mercato) anziché uno soltanto. In questo modo, l'azienda non ha un rapporto di sudditanza con la banca, ma è libera di decidere quale forma di finanziamento adottare”. Inoltre, i mini-bond, permettono di allungare la duration del debito rispetto alle banche, avendo una scadenza media attorno a cinque anni, fa notare Giudici. Al contempo sono meno invasivi dell'equity, perché il finanziatore non diventa socio dell'azienda. Un altro vantaggio dei mini-bond è la personalizzazione. “È più flessibile del finanziamento bancario, perché costruito su misura dell'impresa o del progetto finanziato. La personalizzazione costa di più, come un abito sartoriale”, precisa Anna Gervasoni, direttrice generale di Aifi.
I costi dipendono da: assistenza dello studio legale, arranger dell'operazione, certificazione del bilancio, eventuali rating e quotazione in Borsa. “I costi dei consulenti variano a seconda della dimensione e della tipologia di operazione. Il costo principale è associato alla cedola”, spiega Brugnera. I primi mini-bond di 7-8 anni fa erano molto costosi, con tassi attorno al 7,5%, ricorda Frigiolini. Ora nella maggior parte dei casi sono compresi tra il 3,5% e il 6% (fonte: Politecnico di Milano). Costa meno aderire a pluribond o basket bond, dove si crea una sorta di “immunità di gregge finanziaria”, per dirla con Frigiolini, per cui i costi si spalmano su più aziende.
I mini-bond comportano dopo l'emissione anche dei costi per produrre bilanci certificati, eventuali rating e comunicarli agli investitori. “Se da un lato questo presuppone un impegno aggiuntivo da parte dell'azienda, nel lungo periodo porta a una migliore capacità di attrarre talenti e affrontare le sfide necessarie allo sviluppo”, sottolinea Marucci.
Inoltre, il mini-bond “consente un sostanziale miglioramento dell'immagine aziendale, con conseguenze positive in termini di opportunità commerciali e finanziarie, oltre a rappresentare un ottimo strumento per managerializzare la società e dotarla di metodi di pianificazione economico-finanziaria evoluti”, spiega Brugnera. In quest'ottica, costi e adempimenti aggiuntivi posso- no essere considerati investimenti per conoscere il mercato, in vista di operazioni più complesse, come il private equity o la quotazione in Borsa. In questo senso, “il mini-bond costituisce una forma leggera di private equity, che non mette in discussione l'assetto proprietario dell'azienda”, evidenzia Giudici, oltre che un'occasione di “apprendimento culturale per l'emittente”, conclude Frigiolini.