Aifi, il battito del venture capital italiano

Teresa Scarale
Teresa Scarale
19.2.2020
Tempo di lettura: 3'
Alle Ogr di Torino l'Aifi ha tastato il polso del venture capital italiano attraverso i suoi finanziamenti nelle startup. Presentando numeri e strategie

L'annual report 2019 del venture capital italiano rivela che sono stati 650 i milioni investiti nelle startup italiane lo scorso anno. Per un totale di 236 round

In particolare i business angel italiani hanno iniettato nel sistema 53 milioni di euro. "Cifra non piccola per questa tipologia di investimenti", dice la Gervasoni

Molto importante l'attività svolta dai fondi di technology transfer nell'ambito della piattaforma Itatech

Il venture capital italiano nel 2019 ha raccolto 650 milioni di euro di investimenti. E in particolare i business angel italiani (contributo Iban) hanno iniettato nel sistema 53 milioni di euro per un totale di 88 round, cifra non piccola per questa tipologia di investimenti. Gli investimenti di venture capital e corporate venture capital si sono attestati sui 366 milioni di euro, per un totale di 95 round. 230 milioni poi sono andati stati investimenti di syndication (cordate) venture capital, corporate venture capital & business angel, per 53 round.

Anna Gervasoni illustra l'annual report 2019 del venture capital italiano nella seconda parte della giornata del forum VentureUp alle Ogr di Torino. Con lei sul palco, Massimo Lapucci (segretario generale Fondazione Crt), Guido De Vecchi (executive managing director Intesa Sanpaolo Innovation Center), Carla Patrizia Ferrari (cfo Compagnia di San Paolo) e Silvia Candiani (country general manager Microsoft Italia). Presente con un videomessaggio invece Lorenzo Ortona (console generale d'Italia a San Francisco).

 
Quello che emerge dagli interventi è che occorre adesso far incontrare le startup al di fuori del mondo universitario. "Le grandi aziende italiane devono giocare la loro partita per entrare nel futuro. Intesa Sanpaolo mette a disposizione per il territorio 40 miliardi di euro. La questione non è solo aggregare le idee, ma far si che gli investimenti istituzionali arrivino là dove ce n'è più bisogno". A parlare è Carla Letizia Ferrari.
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"L'asset class del venture capital può e deve diventare appetibile". La stessa Ferrari aggiunge poi che "la Compagnia si avvale di tutte le leve, inclusa l'erogazione. Quella che permette di superare 'la prima valle della morte'". Le startup italiane non possono restare indietro nemmeno alla luce delle sfide che pone la transizione climatica. Per questo devono essere in grado anche di intercettare i fondi europei del new green deal.

Vi è poi l'importante attività svolta dai fondi di technology transfer nell'ambito della piattaforma Itatech, i quali stanno finanziando la ricerca accademica e i centri di eccellenza italiani. Si tratta di investimenti veri, non a fondo perduto, hanno una logica di ritorno. Sono fondi di equity, quasi equity, debito: tante leve diverse per tutto l'universo delle startup. Ai fondi, Itatech accompagna idee per la ricerca innovativa. Il processo di selezione è molto accurato: su 150 imprese ad oggi la piattaforma ne ha selezionate otto.
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Courtesy Aifi
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Courtesy Aifi
Silvia Candiani aggiunge che senza la tecnologia non si può crescere, "investire in tecnologia permette di spendere meno in altri comparti e di avere vantaggi competitivi sugli altri". Massimo Lapucci invece insiste sul tema delle competenze e della formazione, mentre Guido De Vecchi plaude al mix di pubblico e privato.
Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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