Deflussi ai massimi dal 2016 per gli Etf azionari europei

Le imprese europee potrebbero presto andare incontro a revisioni al ribasso sulle prospettive dei profitti decisamente peggiori a quelle delle controparti quotate a Wall Street
Ad agosto gli exchange-traded fund (Etf) dedicati all'azionario europeo hanno registrato i più gravi deflussi mensili dal luglio 2016, con una fuoriuscita da 7,7 miliardi di dollari
Le azioni europee stanno perdendo attrattiva agli occhi degli investitori, con l'arrivo sempre più probabile di una recessione e le nuove difficoltà all'orizzonte sul fronte energetico. Le prospettive di crescita del Vecchio Continente, dunque, risultano oggi più complicate rispetto a quelle delle altre grandi aree economiche.
Ad agosto gli exchange-traded fund (Etf) dedicati all'azionario europeo hanno registrato i più gravi deflussi mensili dal luglio 2016, con una fuoriuscita da 7,7 miliardi di dollari, hanno mostrato i dati compilati da BlackRock, il più grande asset manager globale. Si tratta di un sentimento di sfiducia che si pone in contrasto con i movimenti osservati sugli Etf a livello mondiale, i quali hanno mostrato un piccolo segnale positivo: gli afflussi netti complessivi sono aumentati di 2,5 miliardi dollari rispetto a luglio, a 49,4 miliardi di dollari. Ad aver guadagnato terreno, in particolare, sono gli Etf azionari dedicati al mercato statunitense, che ad agosto hanno ricevuto afflussi netti di capitali per 30,2 miliardi di dollari, in forte crescita dai 12,6 miliardi di luglio.
L'aspettativa degli investitori è stata quella di un ulteriore rafforzamento del dollaro dovuto a una Fed più restrittiva della sua controparte europea e, soprattutto, di una minore esposizione del mercato americano al rischio energetico rappresentato dai ricatti di Mosca. Questo scenario metterebbe le imprese americane sotto una migliore luce per quanto riguarda l'andamento degli utili.
Al contrario, le imprese europee potrebbero presto andare incontro a revisioni al ribasso sulle prospettive dei profitti decisamente peggiori. Questo rischio è tenuto in particolare considerazione anche tenendo conto che gli indici azionari europei vedono al proprio interno una maggiore concentrazione di banche, società energetiche e industrie: tutti settori che potrebbero risentire maggiormente della recessione e della crisi energetica rispetto alle società tecnologiche e healthcare che in maggior misura influenzano l'andamento dell'indice americano (e che nei mesi scorsi avevano già perso molto terreno in Borsa).
La Banca centrale europea, che per lungo tempo ha cercato di temporeggiare sul rialzo dei tassi per evitare di soffocare l'economia europea, sembra essersi definitivamente convertita a una nuova fase con l'ultimo rialzo da 75 punti base: il più ampio di sempre per l'Eurozona. Nuovi interventi sui tassi seguiranno nelle prossime “due, tre o quattro” sedute, ha anticipato la presidente della Bce, Christine Lagarde. La lotta contro l'inflazione, per quanto ancora in larga parte “importata” a causa della svalutazione dell'euro e dei rincari energetici, imporrà una stretta che difficilmente si rivelerà indolore per l'economia e per le imprese europee. Nell'ultimo mese al 9 settembre (a seduta ancora aperta), l'indice azionario di riferimento europeo, lo Stoxx 600, ha ceduto il 3,7%; una performance comunque superiore a quella dell'S&P 500.
Altro dato che potrebbe indicare un'inversione di tendenza è costituito dagli afflussi netti, da 1,4 miliardi di dollari, registrati ad agosto dai fondi obbligazionari emergenti: è il primo ritorno al segno più dallo scorso gennaio. Si tratta ancora di un segnale moderato, tuttavia, e che si è concentrato sul debito denominato in valuta forte – quello considerato meno rischioso. Una rondine che, forse, non fa primavera.