Un investitore chiamato Pirandello

14.2.2019
Tempo di lettura: 5'
Alcuni aspetti dei problemi reali delle decisioni di un investitore non sono ben descritti dal modello statico di scelta economica a cui siamo abituati. Ma quali vincoli condizionano le scelte di un individuo?
Michele spiega all'agente di polizia dell'aeroporto cos'è successo. Mentre passava sotto il metal detector davanti a lui c'era un ragazzo che ha saltato i controlli senza che nessuno, tranne Michele, se ne accorgesse. Il ragazzo ha messo il suo zaino sul rullo di gomma come tutti e lo zaino è finito nella corsia in cui gli agenti devono ricontrollare il contenuto a mano. Mentre Michele stava passando, però, ha visto che il ragazzo si è sporto e, allungando il braccio oltre il vetro divisore, ha ripreso lo zaino senza che nessuno se ne accorgesse! Michele avrebbe voluto dire qualcosa ma il giovane si è girato e lo ha guardato negli occhi con aria minacciosa: Michele si è spaventato e non è riuscito a dire niente. Poi uscendo dalla zona dei controlli si è sentito in colpa per non aver detto nulla e si è anche un po' arrabbiato con se stesso per essersi spaventato e ha avvicinato uno degli agenti per digli cos'ha visto.
A guardarla bene, questa vicenda rivela degli aspetti dei problemi reali delle decisioni di un investitore che non sono ben descritti dal modello statico di scelta economica a cui siamo abituati. Nella teoria delle decisioni, infatti, un agente sceglie cosa fare massimizzando una funzione di utilità sotto a un qualche vincolo: potremmo modellare la scelta di Michele come una decisione tra (1) avvisare l'agente e (2) non avvisarlo, dato il rischio di fare tardi per il volo, o il costo di tempo, legato alla scelta (1) e il rischio – probabilmente molto basso ma con implicazioni molto negative – di un attentato terroristico, legato alla scelta (2).
I risultati di economia comportamentale degli ultimi vent'anni ci consiglierebbero, poi, di arricchire il nostro modello di questa vicenda con alcuni bias sistematici che ci si può aspettare ragionevolmente di trovare nella scelta: avvisare l'agente potrebbe avere un'utilità intrinseca oltre al beneficio di prevenire un attentato al proprio aereo; se guadagnare due minuti gli darebbe due punti di utilità, perdere due minuti gli toglierebbe quattro punti di utilità (loss aversion); la probabilità dell'attentato – realisticamente molto piccola – è sovrastimata (over-weighting of probabilities). C'è però qualcosa di mancante in questo modo di modellare, e ha a che fare col processo attraverso il quale Michele arriva a parlare all'agente: è probabilmente nel processo che si nascondono alcune delle insidie del lavoro di chi investe sui mercati.
Cominciamo a dissezionare questa vicenda. Veder saltare i controlli al ragazzo suscita in Michele una serie di risposte emotive e comportamentali, e sembra quasi che ci siano più persone a operare successivamente dentro lo stesso individuo: c'è Michele che si spaventa, quello che desidera viaggiare sicuro, quello che si arrabbia con sé stesso per essersi spaventato, e infine quello che ritrova la fermezza di parlare col poliziotto. La decisione di avvisare la polizia non è una decisione statica, ma il risultato di un processo in relazione a un evento, della negoziazione tra una serie di goal contrastanti, e di fattori emotivi, viscerali, che si presentano in un arco di tempo. Come molte decisioni rilevanti prese nel cuore dell'azione, si adatta male alla descrizione classica di scelta.
Naturalmente, per quanto si faccia sempre un gran parlare dell'assunzione di razionalità del modello economico, la cosa più importante è che ci sia razionalità nella costruzione del modello: per certi casi il punto di vista statico sarà più che sufficiente, ma in altri potrebbe tralasciare degli aspetti rilevanti.
Nel caso di Michele, successive indecisioni riguardano obiettivi diversi e il modo in cui sono risolte ha un che d'instabile. Ci sembra ad esempio altrettanto realistica una versione della storia in cui Michele decide infine di tirare dritto, rimane un po' arrabbiato con sé stesso per non aver detto niente, e si scopre che il ragazzo ha saltato i controlli perché sono già le sei e un quarto del mattino e lui lavora alla caffetteria del terminal due ed è in ritardo. Un'altra storia credibile, basta che all'ultimo Michele non ritrovi la prontezza per reagire alla sua paura. Un modo di pensare alla scelta di Michele è descriverlo come varie persone separate, come si fa sovente in psicologia e un po' alla volta anche in economia e finanza. C'è un Michele di lungo periodo, un Michele-System 1 razionale che dato lo stimolo trova necessario parlare con un poliziotto dell'accaduto; e ci sono una serie di Michele di breve periodo, Michele-System 2 istintivi che a caldo vorrebbero darsela a gambe, o stare zitti per evitare la vergogna di sembrare razzisti.
Chi investe nei mercati ha dimestichezza con questi processi interiori e capisce intuitivamente che la propria abilità sta anche nella qualità di questi processi decisionali, nella capacità di fare prevalere la scelta giusta tra le decisioni di self (di parti di sé) contrastanti. Omettere questo aspetto dalla descrizione della decisione può farci tralasciare uno degli aspetti centrali di chi ha la capacità d'investire. Non sembra, a guardarla così, una capacità innata: chi fa sport competitivi, ad esempio, migliora nel tempo a gestire le proprie reazioni sotto pressione. Più che una questione di tecnica sembra piuttosto un'arte.
A volte il gioco tra i nostri diversi self è un gioco d'inganni, ad esempio quando dobbiamo convincerci di avere talento per un'attività per poter mantenere la motivazione a imparare e migliorare. Altre volte è il self di un momento che si deve ricordare di prendersi cura di un self futuro. C'è ad esempio chi mette dei blocchi sul proprio internet browser per impedirsi di andare su Facebook. Naturalmente il blocco può sempre essere rimosso con un click, ma il self che installa l'applicazione pensa che il self futuro non la rimuoverà, e si ricorderà invece del proposito di non andare su Facebook. Ha fiducia che dopo un lieve sbandamento, il self futuro ritroverà le staffe. E pensa probabilmente che nel tempo, presa l'abitudine a non distrarsi troppo spesso, la tentazione sarà sempre minore.
Una parte di Michele riflette anche su ciò che gli altri potrebbero concludere su di lui a causa della sua scelta. Anche nel caso dell'investimento ci sono componenti sociali: cosa fanno gli altri, cosa pensano i capi, “come glielo spiego poi ai clienti...”. A volte, questi goal sociali configgono con le preferenze personali ed è necessario del lavoro su sé stessi per portare avanti le proprie convinzioni nonostante il disaccordo con gli altri. Altre volte si vuole mantenere la costanza dell'immagine di sé. Se per esempio siamo conosciuti per rimanere calmi quando il mercato ci contraddice, rischiamo nel processo di decisione di cascare nella tentazione di tenerci posizioni in perdita troppo a lungo. Queste considerazioni sociali sono probabilmente una grossa fonte di instabilità nei processi decisionali d'investimento. Pensare al problema della scelta come a un processo in cui self diversi devono essere coordinati ci induce anche a riflettere su che tipo di feedback sia necessario avere per migliorare la “qualità computazionale” delle scelte. Dato per buono che a volte non riusciamo a fare ciò che crediamo giusto fare, potremmo forse guardare ai nostri errori con maggiore giusto distacco.
A guardarla bene, questa vicenda rivela degli aspetti dei problemi reali delle decisioni di un investitore che non sono ben descritti dal modello statico di scelta economica a cui siamo abituati. Nella teoria delle decisioni, infatti, un agente sceglie cosa fare massimizzando una funzione di utilità sotto a un qualche vincolo: potremmo modellare la scelta di Michele come una decisione tra (1) avvisare l'agente e (2) non avvisarlo, dato il rischio di fare tardi per il volo, o il costo di tempo, legato alla scelta (1) e il rischio – probabilmente molto basso ma con implicazioni molto negative – di un attentato terroristico, legato alla scelta (2).
I risultati di economia comportamentale degli ultimi vent'anni ci consiglierebbero, poi, di arricchire il nostro modello di questa vicenda con alcuni bias sistematici che ci si può aspettare ragionevolmente di trovare nella scelta: avvisare l'agente potrebbe avere un'utilità intrinseca oltre al beneficio di prevenire un attentato al proprio aereo; se guadagnare due minuti gli darebbe due punti di utilità, perdere due minuti gli toglierebbe quattro punti di utilità (loss aversion); la probabilità dell'attentato – realisticamente molto piccola – è sovrastimata (over-weighting of probabilities). C'è però qualcosa di mancante in questo modo di modellare, e ha a che fare col processo attraverso il quale Michele arriva a parlare all'agente: è probabilmente nel processo che si nascondono alcune delle insidie del lavoro di chi investe sui mercati.
Cominciamo a dissezionare questa vicenda. Veder saltare i controlli al ragazzo suscita in Michele una serie di risposte emotive e comportamentali, e sembra quasi che ci siano più persone a operare successivamente dentro lo stesso individuo: c'è Michele che si spaventa, quello che desidera viaggiare sicuro, quello che si arrabbia con sé stesso per essersi spaventato, e infine quello che ritrova la fermezza di parlare col poliziotto. La decisione di avvisare la polizia non è una decisione statica, ma il risultato di un processo in relazione a un evento, della negoziazione tra una serie di goal contrastanti, e di fattori emotivi, viscerali, che si presentano in un arco di tempo. Come molte decisioni rilevanti prese nel cuore dell'azione, si adatta male alla descrizione classica di scelta.
Naturalmente, per quanto si faccia sempre un gran parlare dell'assunzione di razionalità del modello economico, la cosa più importante è che ci sia razionalità nella costruzione del modello: per certi casi il punto di vista statico sarà più che sufficiente, ma in altri potrebbe tralasciare degli aspetti rilevanti.
Nel caso di Michele, successive indecisioni riguardano obiettivi diversi e il modo in cui sono risolte ha un che d'instabile. Ci sembra ad esempio altrettanto realistica una versione della storia in cui Michele decide infine di tirare dritto, rimane un po' arrabbiato con sé stesso per non aver detto niente, e si scopre che il ragazzo ha saltato i controlli perché sono già le sei e un quarto del mattino e lui lavora alla caffetteria del terminal due ed è in ritardo. Un'altra storia credibile, basta che all'ultimo Michele non ritrovi la prontezza per reagire alla sua paura. Un modo di pensare alla scelta di Michele è descriverlo come varie persone separate, come si fa sovente in psicologia e un po' alla volta anche in economia e finanza. C'è un Michele di lungo periodo, un Michele-System 1 razionale che dato lo stimolo trova necessario parlare con un poliziotto dell'accaduto; e ci sono una serie di Michele di breve periodo, Michele-System 2 istintivi che a caldo vorrebbero darsela a gambe, o stare zitti per evitare la vergogna di sembrare razzisti.
Chi investe nei mercati ha dimestichezza con questi processi interiori e capisce intuitivamente che la propria abilità sta anche nella qualità di questi processi decisionali, nella capacità di fare prevalere la scelta giusta tra le decisioni di self (di parti di sé) contrastanti. Omettere questo aspetto dalla descrizione della decisione può farci tralasciare uno degli aspetti centrali di chi ha la capacità d'investire. Non sembra, a guardarla così, una capacità innata: chi fa sport competitivi, ad esempio, migliora nel tempo a gestire le proprie reazioni sotto pressione. Più che una questione di tecnica sembra piuttosto un'arte.
A volte il gioco tra i nostri diversi self è un gioco d'inganni, ad esempio quando dobbiamo convincerci di avere talento per un'attività per poter mantenere la motivazione a imparare e migliorare. Altre volte è il self di un momento che si deve ricordare di prendersi cura di un self futuro. C'è ad esempio chi mette dei blocchi sul proprio internet browser per impedirsi di andare su Facebook. Naturalmente il blocco può sempre essere rimosso con un click, ma il self che installa l'applicazione pensa che il self futuro non la rimuoverà, e si ricorderà invece del proposito di non andare su Facebook. Ha fiducia che dopo un lieve sbandamento, il self futuro ritroverà le staffe. E pensa probabilmente che nel tempo, presa l'abitudine a non distrarsi troppo spesso, la tentazione sarà sempre minore.
Una parte di Michele riflette anche su ciò che gli altri potrebbero concludere su di lui a causa della sua scelta. Anche nel caso dell'investimento ci sono componenti sociali: cosa fanno gli altri, cosa pensano i capi, “come glielo spiego poi ai clienti...”. A volte, questi goal sociali configgono con le preferenze personali ed è necessario del lavoro su sé stessi per portare avanti le proprie convinzioni nonostante il disaccordo con gli altri. Altre volte si vuole mantenere la costanza dell'immagine di sé. Se per esempio siamo conosciuti per rimanere calmi quando il mercato ci contraddice, rischiamo nel processo di decisione di cascare nella tentazione di tenerci posizioni in perdita troppo a lungo. Queste considerazioni sociali sono probabilmente una grossa fonte di instabilità nei processi decisionali d'investimento. Pensare al problema della scelta come a un processo in cui self diversi devono essere coordinati ci induce anche a riflettere su che tipo di feedback sia necessario avere per migliorare la “qualità computazionale” delle scelte. Dato per buono che a volte non riusciamo a fare ciò che crediamo giusto fare, potremmo forse guardare ai nostri errori con maggiore giusto distacco.