Piazza Affari, la ritirata degli investitori stranieri

Rita Annunziata
6.8.2020
Tempo di lettura: 3'
Secondo uno studio di Unimpresa, prosegue la ritirata degli investitori stranieri dall'Italia: se nel 2015 possedevano il 51% di Piazza Affari, oggi si parla del 47%. Ma per Stefano Caselli dell'Università Bocconi non si può ancora parlare di trend. Ecco i lati positivi e negativi della medaglia

Il totale della capitalizzazione delle società per azioni è crollato di 234,59 miliardi

Gli investitori esteri hanno perso o ceduto nell'ultimo anno oltre 53 miliardi

“Fanno parte del sistema e fa bene al sistema se guardano alle nostre aziende”, commenta Stefano Caselli

Le società quotate italiane sono meno appetibili? Secondo l'ultimo rapporto del Centro studi di Unimpresa, prosegue la ritirata degli investitori stranieri: se nel 2015 possedevano il 51,74% di Piazza Affari, nel 2019 la percentuale è scesa al 48,69%, per poi crollare ulteriormente nel 2020 al 47,69%. Un dato comunque elevato che, accompagnato a un calo della capitalizzazione di oltre 100 miliardi negli ultimi 12 mesi, secondo il segretario generale Raffaele Lauro potrebbe generare il rischio di “scorribande di barbari” e il “declino definitivo dell'Italia”. We Wealth ne ha parlato con Stefano Caselli, prorettore per gli Affari internazionali presso l'Università Bocconi.
“Il dato di partenza del 51,74% è altissimo – spiega Caselli – Qualche anno fa si lamentava una mancanza di interesse dei risparmiatori italiani nei confronti delle aziende del Paese. Il fatto che siano aumentati rappresenta il lato positivo della medaglia, ma è ancora presto per parlare di trend, credo sia più un tema di riaggiustamento dei portafogli”. Secondo l'analisi di Unimpresa sui dati di Banca d'Italia, il totale della capitalizzazione delle società per azioni è crollato di 234,59 miliardi, raggiungendo la quota di 2.060,70 miliardi in 12 mesi (-10,22%). La fetta maggiore della torta è nelle mani delle famiglie, anche se in calo dal 38,13% del 2019 al 36,55% nel 2020, seguite dagli investitori stranieri con il 25,21% e dalle imprese con il 15,67%. Quanto alle spa quotate, il totale della capitalizzazione è sceso da 506,15 miliardi a 404,56 miliardi di euro. In questo caso, il primato dell'azionariato spetta agli investitori esteri (47,69%) – seguiti dalle imprese (26,96%) e dalle banche (10,87%) – anche se hanno “perso” o “ceduto” oltre 53 miliardi, pari a -21,71%.
“Il brusco calo del valore complessivo delle nostre società quotate può rappresentare, per i predatori stranieri, l'occasione di acquisti a prezzi particolarmente vantaggiosi – commenta Lauro – L'avanzata dei fondi esteri nei nostri confini, se fatta con fini squisitamente speculativi, è tuttavia un pericolo per il nostro sistema-Paese e per il made in Italy. Avremmo infatti bisogno di investimenti stabili, fatti per prospettive di lungo periodo, capaci di dare slancio alla nostra economia”. Secondo Caselli, nei confronti degli investitori esteri vige un atteggiamento sbagliato: se “fanno shopping in Italia” viene percepito in modo negativo perché le aziende finiscono nelle mani straniere, ma se si allontanano dal Paese “siamo dispiaciuti perché sembra che il nostro sistema non interessi a nessuno”. “A mio giudizio – continua – gli investitori stranieri fanno parte del sistema e fa bene al sistema se guardano alle nostre aziende. Sarebbe necessario che gli italiani facciano altrettanto e con la stessa intensità, con una presenza più aggressiva sulle principali piazze internazionali”.

“Se le percentuali relative agli investitori stranieri continuassero a scendere, diventerebbe un trend e inizierei a preoccuparmi, perché vorrebbe dire che non si tratta di un aggiustamento ma di una scelta degli investitori di sottopesare l'Italia, ma ad oggi non vedo ancora questo trend”, aggiunge Caselli. Secondo l'esperto, è necessario però che l'ammontare complessivo delle società quotate continui ad aumentare. Se questo accade, spiega, gli aggiustamenti percentuali sarebbero meno preoccupanti perché indici di un mercato sano. In caso contrario, qualora le quotazioni subissero una battuta d'arresto, il mercato italiano risulterebbe meno interessante, attrarrebbe meno capitali e la “partita per l'Italia diventerebbe più difficile”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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