Patto di stabilità, una mancata riforma peserà sui mercati

Alberto Battaglia
12.11.2021
Tempo di lettura: 5'
Un nuovo rapporto dell'European fiscal board sfida, di fatto la tesi, dei Paesi “frugali”: la riforma del Patto è necessaria

Il gruppo di esperti che assiste la Commissione europea, in un nuovo rapporto di 120 pagine, ha confermato la sua scelta di campo nel dibattito sulla riforma della governance fiscale Ue, sostenendo, fra le altre cose, che il mantenimento delle attuali regole "rende solo più probabile un repricing improvviso del rischio da parte dei mercati finanziari". Anche per questo, quello della riforma del Patto è un confronto politico che gli investitori dovrebbero seguire

E' una tesi che, ammette il presidente dello European Fiscal Board, suona "radicale" nel contesto politico ancora diviso fra "mediterranei" e "frugali".

Anche per gli esperti, siano essi economisti, analisti di agenzie di rating o anche per i politici, le regole fiscali europee sono complicate. Queste regole fissano i paletti su quanto i governi possono spendere e a quali condizioni. Per questo, le regole fiscali Ue producono effetti ad ogni livello e riguardano da vicino anche il proverbiale “uomo della strada”. Mai come adesso il consenso verso una riforma di questo castello di regole è stato tanto forte, il dibattito politico è ufficialmente riaperto e chi investe avrà tutto l'interesse a seguire che piega prenderà il nuovo Patto di Stabilità.

I vincoli di bilancio, nella mente dei Paesi del Sud Europa, sono collegati alla stagione dell'austerità che tutti, ora, sembrano rinnegare. L'arrivo della crisi Covid ha imposto la sospensione di alcune regole del Patto di Stabilità e ha aperto un più ampio spazio politico per riformare i vecchi vincoli in modo da garantire una migliore coesistenza fra crescita e sostenibilità dei debiti pubblici. Ma la stagione della concordia dettata dalla comune sciagura del Covid, almeno quando si parla di riforma del Patto di Stabilità, è già finita. Lo scorso settembre un gruppo di Paesi “frugali” guidato dall'Austria ha indicato in un documento comune che la flessibilità esistente nel Patto sarà sufficiente a gestire anche i nuovi debiti creati dalla crisi Covid. Uno studio dell'influente think-tank Bruegel uscito quasi in contemporeanea ha in qualche modo incoraggiato a moderare la portata della riforma, focalizzandosi più su apposite eccezioni per le spese green necessarie agli obiettivi climatici.

Anche il fronte di chi auspica una riforma più profonda è molto ampio. Nel dibattito in corso è tornato, con un'audacia notevole per un gruppo di tecnici, l'European Fiscal Board (Efb), nel suo ultimo rapporto annuale pubblicato il 10 novembre. In 120 pagine, il gruppo di economisti che consiglia la Commissione europea ha chiaramente sposato la tesi che il Patto di Stabilità, così com'è, contiene regole “irrealistiche” per il mondo “post pandemico” .
Riformare il quadro fiscale rimane un approccio di gran lunga migliore rispetto a piccole modifiche, discrezionali e difficili da prevedere, nell'attuazione delle regole esistenti”, ha affermato l'Efb nei punti chiave dedicati alla riforma del Patto. Ancor più interessante, nell'ottica dell'investitore, è la considerazione seguente: “una politica fiscale meno prevedibile”, dovuta alla necessità di stiracchiare nuova flessibilità dalle regole esistenti, “rende solo più probabile un repricing improvviso del rischio da parte dei mercati finanziari”. In altre parole, renderebbe più turbolenti i mercati, in particolare, possiamo prevedere, quelli dei debiti sovrani dei Paesi più indebitati come l'Italia.

Fra i concetti più arcani che l'Efb propone di accantonare dall'insieme di regole Ue ci sono, ad esempio, l'output gap (differenza fra pil effettivo e potenziale) o il ritmo fisso di riduzione del debito pubblico fino a raggiungere il 60% del Pil per un 1/20 della parte eccedente ogni anno. Allo stesso tempo, i criteri utilizzati dovrebbero rimanere misurabili, numerici e non standard qualitativi. Il noto vincolo del 3% del deficit nominale previsto dal trattato di Maastricht, ad esempio, dovrebbe rimanere attivo.

Un piano B, se la riforma non arriva prima del 2023


Secondo quanto affermato dai Paesi “frugali” nel loro documento programmatico, una riforma come quella evocata, fra gli altri, dal premier italiano Mario Draghi, non avrebbe il tempo materiale di essere concordata da qui a fine 2022. La tesi, pur non convincendo appieno l'Efb (l'ultima riforma del 2011 richiese sei mesi), rimane uno scenario probabile. In tal caso, gli esperti che assistono la Commissione auspicano che quest'ultima metta in chiaro come le regole saranno applicate nella fase successiva.

In caso contrario, “crediamo che la Commissione si troverebbe di fronte a un compito quasi impossibile, nel momento in cui le verrà chiesto di attuare regole che sono notoriamente irrealistiche in un mondo post-pandemia”, ha affermato il presidente dell'Efb, Niels Thygesen, “il risultato sarà probabilmente una deriva verso una discrezionalità più generalizzata, che difficilmente potrebbe soddisfare sia i Paesi che desiderano principalmente un ritorno a regole che le sono familiari, fermamente applicate, sia i Paesi che sono i presunti beneficiari della discrezionalità, poiché l'incertezza che circonda le loro politiche fiscali aumenterà e potrebbe diventare costosa”. Cioè far salire il loro spread e dunque il costo per emettere nuovo debito.

E' lo stesso Thygesen ad ammettere che questa presa di posizione da parte dell'Efb, fa poche concessioni a chi, come i “frugali” sostiene che le regole vadano bene così come sono: “l'approccio dell'Efb a queste sfide future può sembrare eccessivamente radicale”, ha affermato il presidente, “noi lo vediamo radicale soprattutto nel senso di tornare alle radici del perché l'Ue ha bisogno di un quadro fiscale” che “metta in secondo piano l'elaborata sovrastruttura di micromanagement fiscale” che è stata aggiunta nel corso degli anni .
Responsabile per l'area macroeonomica e assicurativa. Giornalista professionista, è laureato in Linguaggi dei media e diplomato in Giornalismo all'Università Cattolica

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