L'esorbitante privilegio di chiamarsi dollaro

Tempo di lettura: 2'
I vantaggi che derivano al biglietto verde dall'essere moneta di riserva sono diversi ed enormi. Il più importante è che questo status è ciò che permette da sempre agli Usa di non preoccuparsi se consumano più di quel che producono. Almeno sulla carta
L'esorbitante privilegio': così, già negli anni Sessanta, Valéry Giscard d'Estaing definiva i vantaggi che venivano al dollaro dall'essere moneta di riserva. Cioè a dire, mentre i 'comuni mortali'– le altre monete – avevano problemi se consumavano più di quel che producevano (disavanzi correnti), l'America poteva impunemente inanellare questi deficit con l'estero, perché tanto i dollari che defluivano per pagare le importazioni venivano poi assorbiti dalle riserve delle Banche centrali e non portavano a pressioni al ribasso sul cambio della moneta americana.
Il concetto del 'privilegio esorbitante' analizza due puzzle: il puzzle della posizione netta sull'estero, e il puzzle dei redditi netti. Il primo – quello della posizione netta – si riferisce alla differenza fra la posizione netta Usa sull'estero (netta, perché corrisponde alle attività meno le passività) e i saldi correnti accumulati degli Stati Uniti. Ambedue queste grandezze sono negative, ma la posizione netta è molto meno alta rispetto ai deficit correnti cumulati. Il secondo puzzle – quello dei redditi – sta nel fatto che, pur avendo gli Usa molte più passività che attività, quello che guadagnano sulle attività è di più di quel che pagano sulle passività: cioè, il saldo dei redditi è in avanzo. La soluzione del primo puzzle sta nel fatto che, nel tempo, le attività degli americani (per esempio, il valore delle filiali estere delle loro multinazionali) è cresciuto di più di quanto non sia cresciuto il valore degli asset americani detenuti dagli stranieri); e questo 'guadagno differenziale di capitale' ha compensato e più che compensato i disavanzi dei saldi correnti. Per quanto riguarda il secondo puzzle, l'implicazione contabile è che gli asset degli americani sull'estero – si intravede qui il collegamento con la soluzione del primo puzzle – hanno reso di più degli asset americani in mano al resto del mondo.
Il fatto che l'esorbitante privilegio permetteva e permette all'America di non preoccuparsi se consuma più di quel che produce, fu ribadito da Robert Triffin, un economista belga-americano, molto ascoltato da De Gaulle e Giscard d'Estaing. Tuttavia, già quando Triffin ne scriveva, i fatti non confortavano quella tesi: sia il saldo commerciale che il saldo corrente degli Usa erano in surplus per tutto il dopoguerra, fino al 1970: divenne negativo nel 1971 e 1972, ma poi tornò in avanzo fino al 1980. È vero, tuttavia, che da allora, e specie negli anni recenti, gli Stati Uniti hanno registrato deficit con l'estero, cioè hanno potuto continuare a consumare più risorse rispetto a quelle che producono. Un recentissimo studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research (The end of privilege: a reexamina- tion of the net foreign asset position of the United States, di Andrew Atkeson, Jonathan Heathcote e Fabrizio Perri - Working Paper 29771), riapre il dossier della posizione netta americana sull'estero.
Negli ultimi lustri – diciamo dagli anni della Grande recessione in avanti – la posizione netta ha subito un crollo impressionante, e attualmente è negativa per un importo pari al 65% circa del Pil americano. La conclusione interessante è che la ragione sta in un andamento, diverso da quello citato prima, del valore degli asset americani detenuti dagli stranieri rispetto a quello degli asset stranieri detenuti dagli americani. Paradossalmente, la 'colpa' è dell'ottimo andamento di Wall Street. Dato che il resto del mondo detiene circa il 30% della capitalizzazione della Borsa Usa, le attività americane degli stranieri sono aumentate più dell'attivo Usa sull'estero. A sua volta, la performance della Borsa americana, nell'analisi degli autori, deve più alle rendite quasi-monopolistiche delle società tecnologiche che a maggiori investimenti del settore societario. Se quest'ultima spiegazione fosse vera, allora è probabile che il deficit corrente sarebbe stato ancora maggiore di quello registrato.
(articolo tratto dal magazine We Wealth di maggio)

Cosa vorresti fare?