Lemanik, l'insostenibile peso del debito Usa

Francesca Conti
Francesca Conti
22.5.2019
Tempo di lettura: 3'
La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina è solo narrazione. A innescare la prossima crisi dell'economia globale, secondo Maurizio Novelli di Lemanik, potrebbe essere la rottura di un meccanismo di crescita basato sul continuo finanziamento estero al debito degli Stati Uniti

Nel 2018 il debito estero degli Stati Uniti ha raggiunto il 50% del Pil contro il 22% del 2007

Il 27% circa del credito Usa erogato dal sistema finanziario è subprime, contro il 24% del 2007

Secondo Novelli il problema di questo ‘modello di crescita' è che nessuno dovrebbe mai disinvestire dai mercati finanziari Usa per continuare a finanziare una crescita che non può fermarsi

“Un recupero dell'economia nella seconda parte dell'anno? Credo che sia solo una speranza dei mercati. I dati dicono ben altro”. È un monito chiaro quello di Maurizio Novelli, gestore di Lemanik. Anzi, più che un avvertimento, una constatazione basata sui dati. “Non ci sono condizioni di crescita per l'economia, mi aspetto che il deterioramento possa continuare”. Per Novelli, che ha presentato oggi a Milano il suo outlook, l'economia globale è entrata in una spirale di rischio al ribasso incentrata sul continuo bisogno di sostenere il debito degli Stati Uniti.

In pratica secondo il manager, “il mondo è impegnato a canalizzare una grossa fetta di risparmio nel debito degli Stati Uniti, per continuare a sostenere la crescita. Questo è il vero limite strutturale di un modello di sviluppo globale che non possiamo permetterci di interrompere. Se gli investitori esteri decidono di ritirarsi, è quasi certa una nuova crisi come quella del 2008”.

“I veri motivi del rallentamento economico globale, che si è accentuato tra settembre 2018 e marzo 2019, non sono da ricercare nella guerra commerciale Usa-Cina - anzi, nel 2018 l'interscambio è cresciuto del 10% - bensì nella decisa contrazione del credito al consumo negli Stati Uniti da un lato, e nelle difficoltà della Cina sul fronte della domanda interna, dall'altro”, spiega Novelli. “Questo dicono i dati macroeconomici, anche se la narrazione politica si concentra sulla guerra commerciale, a cui si può attribuire soltanto la contrazione dell'export di febbraio-marzo 2019”, sottolinea il gestore.

In realtà, i due principali motori della crescita mondiale sono in evidente difficoltà a causa del debito accumulato, perché la crescita che sono riusciti a generare negli ultimi anni è stata eccessivamente basata sull'indebitamento. Nel 2018 il debito estero degli Stati Uniti ha raggiunto il 50% del Pil contro il 22% del 2007: un ritmo di creazione di debito che secondo Novelli è insostenibile. Inoltre, per fare un paragone con gli stessi anni, se nel 2007 il 52% del Pil degli Stati Uniti, pari a 7.860 miliardi di dollari, era sostenuto da capitali provenienti dal resto del mondo, oggi la percentuale è salita al 68%, per un totale di 14.700 miliardi di dollari.

Una questione anche di qualità


Il problema riguarda anche la qualità del debito che, sottolinea Novelli, “è decisamente la peggiore di sempre”. Il 30% dei corporate bond sono high yield; il 50% dei bond con rating investment grade sono BBB (nel 2007 erano il 25%); il 27% circa del credito erogato dal sistema finanziario è subprime (nel 2007 era il 24%), i leverage loans sono raddoppiati rispetto al 2007 e sono pari al 6% del Pil Usa.

Questo meccanismo richiede un'esagerata allocazione di risparmio globale sugli asset americani (credito e equity) e sul dollaro, ed espone l'intero sistema a un'elevata concentrazione di rischio sui mercati finanziari Usa. Attualmente gli investitori esteri detengono il 50% di tutti i corporate bond Usa, il 30% dei Titoli di Stato e il 25% della capitalizzazione del mercato azionario Usa. Si tratta della più elevata allocazione di risorse dall'estero riscontrata solo nel 1928 e nel 1999: “purtroppo le coincidenze temporali non sono di buon auspicio”, aggiunge il gestore.

Un meccanismo destinato a incepparsi


“E' praticamente impossibile mantenere questo ritmo di creazione di debito per molto tempo”, chiarisce Novelli. “Il problema – continua - è che senza i debiti di Cina e Usa l'economia mondiale non riesce a crescere in modo adeguato e quando il debito raggiunge il limite di sostenibilità, l'economia rallenta e rischia di entrare in recessione”. La vulnerabilità o la forza della crescita internazionale dipende da quanto debito riesce a fare ancora il settore privato americano per sostenere i consumi mondiali. Il problema è che oggi abbiamo la percentuale più alta mai registrata nella storia dell'economia di credito di pessima qualità.

L'assorbimento di questa colossale massa di risorse finanziarie per sostenere un modello di crescita simile, comporta che i Paesi esportatori di capitale verso l'America – come l'Europa - siano condannati a crescere meno. Anziché finanziare con i loro avanzi politiche fiscali espansive o una espansione del loro debito interno per sostenere consumi e investimenti, sono costretti o preferiscono finanziare quelli americani. Il problema di questo ‘modello di crescita' - secondo Novelli - è che attualmente nessuno dovrebbe mai disinvestire, neanche parzialmente, dai mercati finanziari americani per continuare a finanziare una crescita che non può fermarsi, ma che per proseguire deve fare sempre più debito e a tassi più elevati che altrove per garantire anche un dollaro forte.

Tutti si aspettano però una ripartenza del ciclo economico, grazie a una nuova spinta sul debito di America e Cina, ma i cinesi, al contrario, proseguono nella riduzione delle posizioni sui Treasury Usa e riportano a casa le riserve valutarie per contrastare il rallentamento dell'economia. Questo meccanismo innesca una riduzione del finanziamento al debito americano e pone potenziali problemi per la tenuta del dollaro, che a questo punto deve sperare in una crisi nell'area euro per rimanere forte e continuare ad attirare capitali. Quello che sembra ora molto probabile è che la tanto attesa ripresa nella realtà non ci sarà.

“Se la crescita americana deve essere finanziata con credito sempre più speculativo, come accade ora, significa che per avere più crescita il sistema deve esporsi a un rischio sempre maggiore, ma con tassi sempre bassi. Però, tassi bassi e alto rischio di credito non durano in eterno”, conclude Novelli. “L'economia Usa non è forte come dice Trump, anzi è estremamente vulnerabile ai flussi di capitale che in questo momento sono concentrati come mai prima sugli asset americani e che difficilmente possono aumentare ulteriormente. Probabilmente il rischio di sistema non è mai stato così alto”.

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