Il lavoro domestico? Se incluso nel pil ne cambia le sorti
22.4.2022
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Il valore delle attività di cura di casa e famiglia è andato scemando nel lungo termine. Ma se si corregge il prodotto interno lordo del 2020 (in calo ovunque) ponderandolo per questa variabile, si ottiene una variazione positiva. Lo sostiene il Bureau of Economic Analysis per gli Usa. Il Pil reale, ricalcolato in questo modo, cede l'0,8% nel primo anno della pandemia, anziché il 3,4%
“Se sposi la tua cuoca fai diminuire il Pil”: il vecchio paradosso sottolinea una stramberia della contabilità nazionale.
Quando la cuoca riceveva un salario, questo veniva a far parte delle attività di mercato ed era contato nel Pil.
Ma se la cuoca diventa la sposa del suo datore di lavoro, e continua a cucinare esattamente come prima, il suo contributo esce dal Pil, che, secondo i sacri principi della contabilità nazionale, non considera il lavoro domestico.
Gli istituti di statistica, incluso l'Istat, si sono chinati sul problema da molto tempo, e periodicamente pubblicano conti 'satelliti' per valutare il quantum del lavoro domestico. Di solito, aggiungendo questo al Pil tradizionale, nel breve periodo non cambia di molto il tasso di crescita, dato che il lavoro domestico, in quota del totale, è abbastanza costante.
Le cose cambiano nel lungo periodo, dato che, come c'era da aspettarsi, la quota del lavoro non remunerato in casa è andato scemando. Molti ordinano una pizza o altro invece di cucinare, e così facendo supportano il Pil per il lavoro dei cuochi commerciali e degli addetti alle consegne. Del pari, i bambini piccoli vanno con più frequenza al nido invece di essere curati a casa, si fa più uso di lavanderie e stirerie, e via discorrendo.
Gli istituti di statistica, incluso l'Istat, si sono chinati sul problema da molto tempo, e periodicamente pubblicano conti 'satelliti' per valutare il quantum del lavoro domestico. Di solito, aggiungendo questo al Pil tradizionale, nel breve periodo non cambia di molto il tasso di crescita, dato che il lavoro domestico, in quota del totale, è abbastanza costante.
Le cose cambiano nel lungo periodo, dato che, come c'era da aspettarsi, la quota del lavoro non remunerato in casa è andato scemando. Molti ordinano una pizza o altro invece di cucinare, e così facendo supportano il Pil per il lavoro dei cuochi commerciali e degli addetti alle consegne. Del pari, i bambini piccoli vanno con più frequenza al nido invece di essere curati a casa, si fa più uso di lavanderie e stirerie, e via discorrendo.
E veniamo al 2020. Cosa è successo al lavoro domestico nell'annus horribilis della pandemia?
A priori, ci saremmo aspettati un grande balzo in avanti, con la gente che non poteva uscire di casa. E in effetti questo balzo c'è stato, e ha perfino acquisito rilevanza macroeconomica. Il Bureau of Economic Analysis americano ha aggiornato al 2020 le sue stime del lavoro domestico e del Pil così corretto, e i risultati sono stupefacenti.
Nel 2020 il Pil nominale, nella versione tradizionale, è diminuito del 2,2%, anche più di quanto successe con la Grande recessione del 2009. Ma, mentre nel 2009 il Pil corretto per il lavoro domestico aveva seguito fedelmente le tristi orme del Pil 'normale', nel 2020 si è aperta una forbice quale mai non si era vista prima; talché il Pil corretto non è affatto diminuito, ma anzi è aumentato, sia pure di poco. Insomma, il lavoro domestico in questo caso ha riscritto la storia economica degli Usa. La più grande caduta dell'economia nel dopoguerra, che doveva essere quella della crisi da coronavirus, viene buona seconda dopo quella della Grande recessione.
Certo, finora abbiamo parlato del Pil nominale, non di quello reale, dato che la metodologia di calcolo del contributo del lavoro domestico parte da grandezze nominali, e bisognerebbe fare qualche acrobazia contabile e assumere qualche ipotesi eroica per calcolare il relativo deflatore. Tuttavia, gli autori del rapporto Bea (“Accounting for Household Production in the National Accounts - An Update 1965–2020”, di Benjamin Bridgman, Andrew Craig, e Danit Kanal) non hanno rinunciato ad acrobazie e ipotesi eroiche, e hanno calcolato anche il Pil reale corretto per lavoro domestico. Quest'ultimo cede qualcosa e non evita la recessione (-0,8% nel 2020), ma questa lieve caduta è pur sempre meno forte di quella del Pil tradizionale (-3,4%), e, anche in questo caso, molto meno severa rispetto a quel che successe con la Grande recessione.
Il rapporto è molto dettagliato e segmenta l'accaduto per tipo di lavoro domestico, per genere e per coorti demografiche. I due principali contributi all'accresciuto peso del lavoro domestico vengono dall'aumento del numero di ore lavorate in casa, da una parte (e questo è comprensibile) e dal valore imputato a queste ore. Questo secondo aspetto si vale dei dati delle attività di mercato, che danno conto di un netto aumento delle remunerazioni per quel tipo di lavoro, probabilmente causato da una maggiore domanda di coloro che, pur dovendo lavorare in casa, volevano tuttavia un aiuto professionale.
Articolo tratto dal Magazine di We Wealth di aprile 2022
A priori, ci saremmo aspettati un grande balzo in avanti, con la gente che non poteva uscire di casa. E in effetti questo balzo c'è stato, e ha perfino acquisito rilevanza macroeconomica. Il Bureau of Economic Analysis americano ha aggiornato al 2020 le sue stime del lavoro domestico e del Pil così corretto, e i risultati sono stupefacenti.
Nel 2020 il Pil nominale, nella versione tradizionale, è diminuito del 2,2%, anche più di quanto successe con la Grande recessione del 2009. Ma, mentre nel 2009 il Pil corretto per il lavoro domestico aveva seguito fedelmente le tristi orme del Pil 'normale', nel 2020 si è aperta una forbice quale mai non si era vista prima; talché il Pil corretto non è affatto diminuito, ma anzi è aumentato, sia pure di poco. Insomma, il lavoro domestico in questo caso ha riscritto la storia economica degli Usa. La più grande caduta dell'economia nel dopoguerra, che doveva essere quella della crisi da coronavirus, viene buona seconda dopo quella della Grande recessione.
Certo, finora abbiamo parlato del Pil nominale, non di quello reale, dato che la metodologia di calcolo del contributo del lavoro domestico parte da grandezze nominali, e bisognerebbe fare qualche acrobazia contabile e assumere qualche ipotesi eroica per calcolare il relativo deflatore. Tuttavia, gli autori del rapporto Bea (“Accounting for Household Production in the National Accounts - An Update 1965–2020”, di Benjamin Bridgman, Andrew Craig, e Danit Kanal) non hanno rinunciato ad acrobazie e ipotesi eroiche, e hanno calcolato anche il Pil reale corretto per lavoro domestico. Quest'ultimo cede qualcosa e non evita la recessione (-0,8% nel 2020), ma questa lieve caduta è pur sempre meno forte di quella del Pil tradizionale (-3,4%), e, anche in questo caso, molto meno severa rispetto a quel che successe con la Grande recessione.
Il rapporto è molto dettagliato e segmenta l'accaduto per tipo di lavoro domestico, per genere e per coorti demografiche. I due principali contributi all'accresciuto peso del lavoro domestico vengono dall'aumento del numero di ore lavorate in casa, da una parte (e questo è comprensibile) e dal valore imputato a queste ore. Questo secondo aspetto si vale dei dati delle attività di mercato, che danno conto di un netto aumento delle remunerazioni per quel tipo di lavoro, probabilmente causato da una maggiore domanda di coloro che, pur dovendo lavorare in casa, volevano tuttavia un aiuto professionale.
Articolo tratto dal Magazine di We Wealth di aprile 2022