Industria: difficoltà di approvvigionamento per 6 aziende su 10

8.11.2021
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Il 60% delle imprese dell'industria in senso stretto e il 20% nei servizi ha incontrato difficoltà di approvvigionamento nei primi nove mesi dell'anno. Ma le attese sul 2022 restano positive
Oltre l’80% delle imprese ha registrato un aumento del costo degli input di produzione e quasi il 70% un’indisponibilità. In particolare di semiconduttori e componenti elettriche
Il 72% delle imprese dell’industria in senso stretto e il 61% di quelle dei servizi di attende di realizzare entro la fine dell’anno un fatturato pari o superiore a quello del 2019
Nei primi nove mesi dell'anno le imprese dell'industria e dei servizi hanno registrato una decisa crescita delle vendite, al punto che il 72% nel primo caso e il 61% nel secondo stimano di poter recuperare (se non superare) i livelli pre-covid entro la fine dell'anno. Eppure, difficoltà di approvvigionamento di input produttivi dalla gran parte lamentate hanno determinato non solo un innalzamento dei prezzi ma anche una dilatazione dei tempi di consegna e una riduzione dei margini di profitto. Specie nelle aziende di piccole dimensioni.
Stando a quanto emerso nel nuovo sondaggio congiunturale di Banca d'Italia che ha coinvolto le imprese dell'industria in senso stretto e dei servizi con almeno 20 addetti, a incontrare questa tipologia di difficoltà sono state circa il 60% del primo cluster e il 20% del secondo. Tra queste, più dell'80% ha indicato un incremento del costo degli input di produzione e circa il 70% un'indisponibilità. “In particolare, la carenza di semiconduttori e componenti elettriche ha riguardato circa la metà delle imprese della metalmeccanica (8% tra i rimanenti settori dell'industria in senso stretto)”, precisa Bankitalia, mentre “difficoltà legate ai ritardi nei tempi di consegna dei fornitori o a problemi logistici sono state riscontrate da circa il 70% delle imprese”.
Di conseguenza, un terzo delle aziende coinvolte nell'analisi ha riportato un aumento dei prezzi di vendita, una quota leggermente superiore parla di una dilatazione dei tempi di consegna (soprattutto nei servizi) e il 24% di una contrazione dei margini di profitto (specie tra le imprese più piccole). Appena il 5% dichiara una riduzione dell'attività produttiva. Ciononostante, oltre il 10% ritiene che i problemi legati all'acquisto di input siano stati già risolti mentre più del 20% si attende una risoluzione entro il 1° trimestre del 2022. Al punto che si stima un'ulteriore espansione delle vendite nei prossimi sei mesi, sia sul mercato interno che su quello estero.
Ricordiamo, a tal proposito, che “il positivo andamento delle vendite è stato comune a tutte le classi dimensionali e più sostenuto nell'industria in senso stretto, dove le imprese hanno anche beneficiato della ripresa delle esportazioni”, spiega l'istituto guidato da Ignazio Visco. E tale ripresa ha avuto un effetto positivo anche sulla redditività aziendale. Il 74% delle imprese crede infatti di poter chiudere l'esercizio in utile, un valore di 18 punti percentuali più elevato rispetto alla precedente rilevazione e lievemente inferiore rispetto al quadriennio precedente alla crisi pandemica. Ammonta al 16% la quota di quelle che invece prevedono di chiudere in perdita, una percentuale che sale al 20% nel tessile, abbigliamento e calzature, trasporti, magazzinaggio, comunicazione, commercio, alberghi e ristorazione. Inoltre, due terzi delle aziende hanno messo a terra i piani d'investimento definiti alla fine del 2020 e il 21% ha investito anche più del previsto. Circa il 50%, infine, punta a investire nel 2022 lo stesso ammontare del 2021. Oltre un terzo prevede ancora di incrementarlo.
Ricordiamo, a tal proposito, che “il positivo andamento delle vendite è stato comune a tutte le classi dimensionali e più sostenuto nell'industria in senso stretto, dove le imprese hanno anche beneficiato della ripresa delle esportazioni”, spiega l'istituto guidato da Ignazio Visco. E tale ripresa ha avuto un effetto positivo anche sulla redditività aziendale. Il 74% delle imprese crede infatti di poter chiudere l'esercizio in utile, un valore di 18 punti percentuali più elevato rispetto alla precedente rilevazione e lievemente inferiore rispetto al quadriennio precedente alla crisi pandemica. Ammonta al 16% la quota di quelle che invece prevedono di chiudere in perdita, una percentuale che sale al 20% nel tessile, abbigliamento e calzature, trasporti, magazzinaggio, comunicazione, commercio, alberghi e ristorazione. Inoltre, due terzi delle aziende hanno messo a terra i piani d'investimento definiti alla fine del 2020 e il 21% ha investito anche più del previsto. Circa il 50%, infine, punta a investire nel 2022 lo stesso ammontare del 2021. Oltre un terzo prevede ancora di incrementarlo.