Il gap da colmare? Quello tra Nord e Sud

Fabrizio Galimberti
23.12.2021
Tempo di lettura: 2'
Il gap economico tra Nord e Sud è ancora drammaticamente presente. E va eliminato, se vogliamo veramente uscire dalla crisi perenne del Pil italiano. L'occasione (probabilmente l'ultima) sono i fondi del Pnrr. Ecco come usarli
Il mondo è bello perché è vario, dice un vecchio detto. Ed è vero: le diversità sono un valore. Ma ce ne sono alcune che gridano vendetta, come il divario territoriale fra Nord e Sud d'Italia. Un divario che va colmato, non per fare un favore al Sud, ma per fare un favore a tutti: al Sud, al Nord, all'Italia e all'Europa.
La 'questione meridionale' è cosa antica e sembrava avviata a soluzione mezzo secolo fa, quando, raccontano le cifre dei conti territoriali, la Cassa per il Mezzogiorno, nei suoi (pochi) anni migliori, riuscì ad operare per accorciare il secolare ritardo del Sud rispetto al resto del Paese. Ma finita quella stagione, il divario riprese ad allargarsi. La 'questione meridionale' è lì, irrisolta, dall'Unità d'Italia. Ma oggi c'è la possibilità di avviarla a soluzione, con i fondi del Pnrr. E su questo auspicio, fortunatamente, tutti sono d'accordo: dalla Commissione Ue al Parlamento europeo, dal governo passato a quello presente, tutti sostengono la necessità di dedicare più risorse al Sud d'Italia, approfittando dell'occasione unica che rappresentano i fondi del NextGen-Ue. Certamente, ci sono state e ci saranno delle resistenze. Dopotutto, decenni di ingiustizia nella ripartizione territoriale della spesa pubblica – una ripartizione che ha sistematicamente svantaggiato il Mezzogiorno – hanno creato privilegi in altre Regioni. Fino a far talvolta agitare una 'questione settentrionale' che anch'essa data da lungo tempo nella storia d'Italia («Finis Langobardiae»: un articolo di Cesare Correnti su «La Perseveranza» del gennaio 1860 ne è la prima testimonianza). E abbiamo visto talvolta riemergere quel concetto melmoso che – scrive Alfredo Canavero – vede «un Settentrione attivo, progredito e operoso contrapposto a Roma capitale e a un Meridione parassitario, arretrato e indolente». Preme sottolineare che quando si parla di contrasto al dualismo, si parla di un gioco a somma positiva. Troppo spesso sembra di assistere a una contesa su chi vorrebbe una fetta più grossa della torta del reddito. Mentre l'obiettivo è far crescere la torta a beneficio di tutti. In economia esiste il concetto di 'reddito potenziale', che è il lievito per far crescere la torta. Si tratta del reddito che si potrebbe ottenere in presenza di un pieno utilizzo di tutti i fattori di produzione, dal capitale, al lavoro, in presenza di adeguati elementi - alcuni tangibili come la dotazione infrastrutturale e altri intangibili come il progresso tecnico, la coesione sociale la qualità delle istituzioni. Ebbene, in un Paese dualistico come l'Italia è utile scindere territorialmente anche il reddito potenziale. Questo esercizio fa emergere una non sorprendente verità: la differenza fra reddito potenziale e reddito effettivo è maggiore al Sud rispetto al Nord, proprio perché il Sud è più arretrato.
Il mezzogiorno, insomma, è un giacimento di crescita potenziale per il Paese. E scavando in questo giacimento, si attiverebbe domanda anche a beneficio del Nord, che troverebbe sbocchi di mercato interno per lungo tempo dormienti. E c'è dell'altro. Abbiamo detto sopra che il contrasto al dualismo italiano fa bene anche all'Europa. Il perché è presto detto. Da vent'anni e passa il nostro Paese cresce meno che il resto dell'Eurozona. Sono legati i due divari? Sì, perché l'Italia ha lasciato il Sud languire. Il Sud è stato una palla al piede della crescita italiana e l'Italia è diventata una palla al piede della crescita europea. Non possiamo più aspettare prima di porre la 'questione italiana' al centro dei programmi di ripresa. Allora, quid agendum? Una grande stagione di investimenti infrastrutturali, centrati sul Sud, è oggi una precondizione. Ma c'è una precondizione alla precondizione. Per passare dalle 'prediche inutili' alle 'prediche utili' bisogna superare quegli ostacoli – burocratici, regolamentari, conflitti di competenze – che per molti amari lustri hanno impedito gli investimenti, a cominciare dall'utilizzo dei fondi che il bilancio della Ue ci ha messo a disposizione, nella commovente (e sempre delusa) speranza che li avremmo spesi.

Si potrebbe pensare che, dato che siamo in emergenza, si potrebbe far ricorso a procedure da 'economia di guerra', quando le fabbriche venivano requisite per trasformare “gli aratri in spade”. Ma noi abbiamo bisogno di misure di 'economia di pace', capaci di realizzare gli investimenti seguendo le best practices degli altri Paesi, così che, anche quando saremo tornati alla normalità, potremo contare su una macchina amministrativa efficiente e trasparente. Mario Draghi, che fu per molti anni Direttore generale del Tesoro, la macchina amministrativa la conosce come pochi, e sa che, nella lista delle cose da fare, al primo posto c'è lo snellimento delle procedure di spesa. Investimenti, dunque. Non solo perché è la componente della domanda che fornisce il moltiplicatore più elevato (uno
studio del Fondo monetario mostra che un aumento degli investimenti pubblici pari all'1% del Pil aumenta il Pil del 2,7%), ma anche perché il moltiplicatore è ancora più elevato per gli investimenti nel Mezzogiorno (per non parlare del 'moltiplicatore sociale' che ne deriverebbe). Gli investimenti sono anche investimenti in capitale umano. In effetti, anche qui ritroviamo un doppio dualismo: interno (Nord/Sud) ed esterno (Italia/Europa). È facile documentare che vi sia stata un'amara minorità nelle risorse per la scuola nel Mezzogiorno, in violazione alla Costituzione (articolo 3), e che questo si rifletta nei risultati. Come c'è una minorità Italia/Europa anche nei livelli di istruzione del capitale umano. Guerra ai divari, insomma, per il bene di tutti.
(articolo tratto dal magazine We Wealth di dicembre)

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