Il covid? Un acceleratore demografico. Ecco perché
Nella comprensibile ansia di fare qualcosa di diverso, il nuovo governo Meloni, oltre a proibire i rave, ha affrontato la gestione del Covid. Gestione che – quella del ministro Speranza – è stata un bersaglio preferito del centro-destra nel periodo elettorale.
Qual è la diffusione del Covid-19?
Ma, ora che il nuovo governo sta prendendo in mano quella gestione, come si presenta lo ‘stato dell’arte’ della diffusione del Sars-CoV-19? La diffusione giornaliera dei dati dei contagi è stata improvvidamente fermata dal nuovo ministro della Salute. Dall’inizio di ottobre si nota, comunque, un rallentamento dei contagi ma un aumento dei decessi, che potrebbe però dipendere dal fisiologico ritardo fra i due fenomeni (i contagi erano in precedenza aumentati). Quello che è importante notare, tuttavia, è che i nuovi decessi sono aumentati molto meno rispetto ai nuovi contagi; segno, questo, sia della minore letalità dell’Omicron, sia dell’aumento delle vaccinazioni e della maggior efficacia delle cure sanitarie.
Non abbassare la guardia nei confronti del virus
Naturalmente, non bisogna abbassare la guardia: il virus ha mostrato una forte tendenza alle mutazioni, ed è possibile che emerga un giorno una variante non solo più contagiosa ma anche più letale. In quella che vorremmo chiamare la ‘post-pandemia’ (vorremmo ma non possiamo ancora) cominciano a fiorire le analisi sugli effetti del Covid rispetto a tante variabili: sociali, demografiche, geografiche.
Gli effetti del Covid: focus sul tasso di natalità
Più di un saggio si è esercitato sugli effetti del Covid rispetto al tasso di natalità. A priori, ci possono essere ragioni sia a favore di un aumento che a favore di una riduzione delle nascite. Quando, nel 1965, sulla costa orientale degli Usa, ci fu un blackout che durò quasi un giorno intero (il sottoscritto si trovava a New York, e dovette scendere, da One Wall Street, 32 piani a piedi nel buio), dopo 9 mesi si registrò un netto aumento delle nascite: si vede che, con l’essere costretti a casa, l’oscurità favoriva l’intimità…
Ma nel caso delle chiusure da Covid, è successo il contrario. Un saggio nel «Journal of human reproduction» (Impact of the first wave of the Covid-19 pandemic on birth rates in Europe: a time series analysis in 24 countries, di Léo Pomar, Guillaume Favre, Claire de Labrusse, Agathe Contier, Michel Boulvain, David Baud - Ottobre 2022) conclude che ci fu in Europa un calo del 14% nel tasso di natalità (-28% per la Lituania, -14% in Francia e Spagna, -17% in Italia).
Dopo la data di rilevazione (gennaio 2021) ci fu qualche rimbalzo verso valori normali, ma non abbastanza da compensare la caduta precedente. Il che, per paesi già preoccupati del calo demografico, non è positivo.
Le ragioni addotte da interviste sul campo sono essenzialmente economiche: fare un figlio costa, e, con la recessione da Covid, le coppie tiravano i remi in barca.
Una strana eccezione si trova negli Stati Uniti. Anche lì c’è stato un calo di natalità, ma essenzialmente dovuto al ‘turismo per parto’. Chi nasce negli Usa è automaticamente cittadino americano (sullo jus soli l’America è molto avanti) e sono moltissime le donne che si recano negli Stati Uniti con l’unico scopo di dare alla luce un piccolo Yankee. Per comprensibili ragioni, con le chiusure da Covid, questi viaggi cessarono. Se si guarda alla natalità riferita alle sole donne di nazionalità americana, invece di un calo abbiamo un aumento delle nascite («The Covid-19 baby bump: the unexpected increase in U.S. fertility rates in response to the pandemic», di Martha J. Bailey, Janet Currie, e Hannes Schwandt - Nber Working Paper No. 30569, ottobre 2022). Le ragioni non sono chiare. Forse, dato che i bambini di solito si fanno a casa, il telelavoro dava più opportunità. E in effetti l’aumento della natalità è stato più forte per le donne laureate, per le quali era più frequente la possibilità di lavorare da casa (a patto che anche l’uomo lavorasse da remoto). (Articolo tratto da magazine di dicembre 2022)