Il coraggio di decidere è la chiave per una buona successione

Alfredo De Massis, Vittoria Magrelli
17.8.2022
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Dal latino decaedere, vuol dire “tagliar via”. “Questo comporta, di fronte a ogni scelta, il vissuto della perdita a cui si somma il timore di aver scartato un’opzione migliore”, dice Annalisa Galardi, nel cda della Fondazione Adriano Olivetti e quarta generazione della famiglia. “Solo quando la risolutezza vince la paura, si esce dall’immobilismo e dalla procrastinazione”. E si inizia a garantire un futuro (migliore) all’azienda

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, mettere in campo il coraggio durante il passaggio generazionale nelle imprese familiari non è mai un’azione temeraria, ma piuttosto un passo ponderato verso il futuro che si vuole scrivere.

Un passo che tutti gli attori coinvolti nel passaggio generazionale dovranno fare con mente, cuore e volontà aperti, così da elaborare informazioni e vissuti, necessità e desideri, e arrivare pronti al momento in cui la direzione dell’impresa passerà davvero da una generazione alla successiva.

Di questi temi ne parla Annalisa Galardi, Consigliere di Amministrazione della Fondazione Adriano Olivetti e quarta generazione della famiglia Olivetti, durante i seminari del corso di Family Business Management presso la Libera Università di Bolzano: “È opportuno ricordare che la parola “decidere” deriva pur sempre dal latino “de-caedere”, tagliar via: quando si fa una scelta si rinuncia a tutte le opzioni che non passano il setaccio della decisione e quindi si sperimenta comunque un vissuto di perdita, cui si aggiungono la paura di sbagliare, la paura di una scelta migliore (quella che viene definita “FOBO”, da “fear of a better option”), la paura dell’impopolarità e quindi dell’alterazione del clima relazionale. E solo quando il coraggio ha la meglio sulla paura non rimaniamo bloccati nella paralisi dell’immobilismo e della procrastinazione cedendo alle lusinghe dello status quo.”

Dal punto di vista della generazione presente, è importante valutare bene scopi familiari e finalità aziendali, in modo da non confondere piani che possono avere traiettorie anche molto diverse. Nella fase preparatoria è quindi fondamentale esaminare con distacco, quasi guardando la situazione dall’alto, le opportunità di sostituzione con i componenti della generazione emergente o esterni alla famiglia, in modo da garantire al meglio la continuità dell’impresa nel tempo. È bene riflettere sulle competenze, le motivazioni, le aspettative dei possibili successori e proprie, evidenziando le ragioni, le emozioni, i diversi punti di vista e il contesto in cui l’impresa vive.

Gli stili di guida e l’orientamento temporale di ciascuno permettono di delineare almeno tre modalità successorie. La successione è elusa da chi è abituato a gestire in modo centralizzato il potere, si concentra sul breve periodo e non vive come pressante la spinta all’innovazione; è rimandata da chi, pur accettando la delega, non guarda al lungo periodo, non sente l’esigenza dell’innovazione; è programmata da chi intende esercitare la delega, con lungimiranza e una certa sensibilità all’innovazione. Per quanto riguarda la generazione junior, è interessante indagare con che atteggiamento ci si pone rispetto alla successione: in alcuni casi la successione è quasi pretesa, come se dovesse avvenire a prescindere dalle proprie competenze e dal proprio progetto strategico sull’impresa. La successione diventa conflittuale quando il successore designato fa molta pressione per subentrare rapidamente al senior in forza delle idee innovative che intende apportare nell’impresa, a volte con atteggiamento svalutativo del passato e del presente. In questi casi, è possibile che si trascuri il tempo utile alla generazione del consenso che è necessario per un passaggio generazionale positivo. 

Quando questo c’è, si ha una successione collaborativa, interessante perché capace di introdurre un riorientamento positivo dell’impresa, frutto di un’evoluzione che viene accompagnata. Talvolta il passaggio generazionale è semplicemente fisiologico, cioè non conflittuale e nemmeno collaborativo: soltanto un passaggio che avviene senza frizioni che, per quanto positivo per il clima familiare, può non esserlo del tutto per l’azienda, mantenuta in uno status quo che non aiuta il senior a lasciare davvero il suo posto e nemmeno il nuovo leader a occupare il suo ruolo, lasciando la propria impronta. Perché nelle imprese, come in una staffetta di corsa, una volta che un atleta tiene saldo il testimone nelle proprie mani, deve iniziare a correre al meglio di quello che sa e può fare, lasciandosi alle spalle il corridore precedente che deve a sua volta compiacersi del traguardo raggiunto e guardare la corsa del compagno cui toccherà un po’ più in là il suo stesso destino.


Articolo estratto dal Magazine di luglio - agosto di We Wealth

Alfredo De Massis, Vittoria Magrelli
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