Fondi: Italia indietro per performance, pesano (ancora) le commissioni

31.1.2022
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Lo scorso anno i fondi collocati dalle prime 10 società di gestione del risparmio italiane per attivi hanno garantito ai sottoscrittori un ritorno del 6,4% contro il 12,7% delle prime 30 a livello europeo. Gli oneri ricorrenti pesano per quasi il doppio
L’analisi è stata condotta sui rendimenti e i costi di tutti i prodotti Ucits (long-term fund, attivi e passivi, esclusi gli etf) distribuiti in almeno un paese europeo e gestiti dalle prime 250 società per attivi
Nei portafogli degli italiani il peso delle azioni risulta pari al 21,5%. Una quota in crescita di 3,8 punti percentuali rispetto al 2020 ma che sconta un divario di 27,4 punti rispetto alla media europea
Le società di gestione del risparmio italiane, lo scorso anno, hanno messo a segno una raccolta record da 91,7 miliardi di euro. Se si considerano poi gli strumenti collocati dalle prime 10 società per attivi, il ritorno garantito ai sottoscrittori nello stesso periodo risulta pari al 6,4%. Dati, dunque, positivi. Ma che ben si discostano dalla media europea. E che celano commissioni di gestione (ancora) troppo pesanti.
A rivelarlo è un nuovo studio di Tosetti Value, uno dei primi multi-family office in Europa, fondato da Dario Tosetti nel 1997 e che oggi conta 5 miliardi di patrimonio mobiliare assistito. L'analisi, diffusa da Il Sole 24 Ore, è stata condotta sui rendimenti e i costi di tutti i prodotti Ucits (long-term fund, attivi e passivi, a esclusione degli etf) distribuiti in almeno un paese europeo e gestiti dalle prime 250 società per attivi. Quello che è emerso, come anticipato in apertura, è che i prodotti collocati dalle prime dieci società di gestione del risparmio tricolori hanno consegnato ai clienti un ritorno del 6,4% a fronte del 12,7% garantito dalle prime 30 a livello europeo.
Un dato che non sorprende, se si guarda agli ultimi quattro anni. Considerando di aver investito 100 euro in strumenti proposti dalle sgr italiane nel mese di gennaio 2018 (anno in cui sono partite le rilevazioni dell'ufficio studi) alla fine dello scorso anno avrebbero raggiunto un valore compreso tra i 105,9 e i 116 euro. Nel caso delle principali case europee, invece, il rendimento risulta più elevato: si va dai 135,3 euro di Blackrock ai 138,7 di Vanguard fino ai circa 150 euro di Morgan Stanley. Il che risulterebbe in parte spiegato dalla diversa composizione del portafoglio degli investitori.
Nel caso degli italiani, il peso delle azioni in portafoglio risulta pari infatti al 21,5%. Una quota in crescita di 3,8 punti percentuali rispetto al 2020 ma che sconta un divario di 27,4 punti rispetto alla media europea (in quel caso la componente azionaria raggiunge il 48,5%). In uno scenario come quello attuale, caratterizzato da volatilità, la tradizionale propensione dei risparmiatori italiani per cedole e reddito fisso potrebbe avere i suoi vantaggi. Ma c'è anche un altro fattore che pesa sulla competitività dei prodotti offerta dall'industria del risparmio nazionale. Come rilevato anche in una precedente analisi diffusa a fine 2020 (quando gli oneri ricorrenti gravavano sui prodotti per l'1,44% contro l'1% registrato nel resto d'Europa), anche durante lo scorso anno gli oneri ricorrenti hanno raggiunto l'1,46% (rispetto allo 0,95% a livello continentale). E, guardando all'ultimo quadriennio, alcuni gestori hanno trattenuto commissioni cumulate che sfioravano anche il 10%.
Un dato che non sorprende, se si guarda agli ultimi quattro anni. Considerando di aver investito 100 euro in strumenti proposti dalle sgr italiane nel mese di gennaio 2018 (anno in cui sono partite le rilevazioni dell'ufficio studi) alla fine dello scorso anno avrebbero raggiunto un valore compreso tra i 105,9 e i 116 euro. Nel caso delle principali case europee, invece, il rendimento risulta più elevato: si va dai 135,3 euro di Blackrock ai 138,7 di Vanguard fino ai circa 150 euro di Morgan Stanley. Il che risulterebbe in parte spiegato dalla diversa composizione del portafoglio degli investitori.
Nel caso degli italiani, il peso delle azioni in portafoglio risulta pari infatti al 21,5%. Una quota in crescita di 3,8 punti percentuali rispetto al 2020 ma che sconta un divario di 27,4 punti rispetto alla media europea (in quel caso la componente azionaria raggiunge il 48,5%). In uno scenario come quello attuale, caratterizzato da volatilità, la tradizionale propensione dei risparmiatori italiani per cedole e reddito fisso potrebbe avere i suoi vantaggi. Ma c'è anche un altro fattore che pesa sulla competitività dei prodotti offerta dall'industria del risparmio nazionale. Come rilevato anche in una precedente analisi diffusa a fine 2020 (quando gli oneri ricorrenti gravavano sui prodotti per l'1,44% contro l'1% registrato nel resto d'Europa), anche durante lo scorso anno gli oneri ricorrenti hanno raggiunto l'1,46% (rispetto allo 0,95% a livello continentale). E, guardando all'ultimo quadriennio, alcuni gestori hanno trattenuto commissioni cumulate che sfioravano anche il 10%.