Economie e mercati: le questioni da chiarire post covid
15.7.2021
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Da dove origina il virus? Quali sono i reali numeri su contagi, morti, guarigioni? E soprattutto perché ci sono Paesi che hanno reagito meglio di altri? Ecco alcune delle possibili risposte
Quando il polverone di questa crisi da coronavirus si sarà depositato, cominceranno le analisi e gli studi. Ci possiamo aspettare centinaia di dotte ricerche su innumerevoli temi 'covidologici'. Il primo, ovviamente, sta nell'origine di questo virus. Un interrogativo a cui non si è ancora data una risposta certa (anche se l'evidenza sembra propendere verso i pipistrelli). Ma c'è chi aveva previsto questa pandemia: consiglio un bellissimo libro, che è stato tradotto in italiano, Spillover, di David Quammen.
Fu pubblicato a fine 2012, ed è un racconto affascinante delle malattie zoonotiche (cioè trasmesse dagli animali all'uomo), come altre recenti virulenze dalla Sars in poi. Malattie che devono molto, nel loro emergere, al poco rispetto dell'ambiente, alle nostre invasioni (deforestazione e altro) del mondo animale… E nel capitolo conclusivo, Quammen si interroga con angoscia sul Next Big One, cioè sulla prossima pandemia che ci possiamo aspettare. E che è arrivata non molti anni dopo.
Altri temi di ricerca sono e saranno quelli relativi alle 'vere' grandezze della diffusione del Sars-Cov-19. Ci sono le cifre ufficiali – contagi, decessi, guarigioni – e ci sono quelle 'vere' desumibili da una varietà di fonti che saranno minuziosamente indagate. Per esempio, variabili demografiche come le 'morti in eccesso', quando si confrontano il numero dei decessi ufficiali da covid con il numero dei morti in più nel periodo in questione rispetto alla media degli stessi periodi negli anni trascorsi. O variabili sanitarie, come la rivisitazione dei certificati di morte che possono aver equivocato sulla causa dei decessi. O stime sui contagi 'veri' desumibili da rapporti fra decessi e contagi. Naturalmente, le differenze fra le cifre ufficiali e quelle “vere”, comunque definite, variano da Paese a Paese e le dotte analisi potranno esercitarsi lungo latitudini e longitudini.
Ma forse la materia più interessante per la futura memoria di questa crisi è ancora un'altra. Come hanno reagito le polis dei diversi Paesi a questa crisi? Non parliamo solo delle diverse risposte sanitarie, delle chiusure, delle riaperture, delle restrizioni e degli allentamenti, delle ospedalizzazioni e delle vaccinazioni. Parliamo della risposta delle istituzioni e della società. Perché ci sono Paesi che hanno reagito meglio e altri che hanno reagito peggio? Quali sono i fattori che hanno permesso a una nazione di circoscrivere la crisi e quali sono le cause degli insuccessi di altre nazioni?
Cominciamo da un interessante rapporto uscito nel 2019, appena prima del debordo della crisi. Il “Global Health Security Index” (Ghs) è un Progetto promosso dalla “Nuclear Threat I-nitiative (Nti)” e dal “Johns Hopkins Center for Health Security (Jhu)”, e materialmente redatto dalla “Economist Intelligence Unit (Eiu)”. Il Ghs analizzava (profeticamente, ma, come vedremo, senza il senno di poi) quali Paesi fossero meglio posizionati in caso di pandemia.
Ebbene, un recente studio del Peterson Institute of International economics (Why some experts got pandemic readiness wrong, di Cullen S. Hendrix) confronta le conclusioni di quel rapporto (che stilava, come detto, una Hit Parade dei Paesi meglio preparati ad affrontare gli attentati alla salute dei cittadini) con la realtà post-virus. Ebbene, conclude l'autore, non c'è stata nessuna correlazione fra quei posizionamenti e i risultati nel contrasto al-la Sars-Cov-19. Erano state ignorate le variabili della leadership politica e della coesione sociale, che influenza l'obbedienza alle restrizioni. Due variabili che non sono nuove, ma che non erano state sufficientemente studiate.
Il rapporto sul Ghs si valeva delle opinioni di esperti di sanità, da medici a operatori sanitari, a epidemiologhi, e a questi erano state poste le domande giuste e da questi erano venute risposte sensate. Ma, come ha osservato sul «Scientific American» Naomi Oreskes (insegna Storia della scienza ad Harvard) non erano le domande e le risposte ad essere sbagliate. Lo sbaglio stava nella scelta degli esperti. Non bisognava coinvolgere solo studiosi di sanità, ma anche sociologi, politologi, psicologi. Ecco una sterminata materia di studio, interdisciplinare e affascinante.
Ma forse la materia più interessante per la futura memoria di questa crisi è ancora un'altra. Come hanno reagito le polis dei diversi Paesi a questa crisi? Non parliamo solo delle diverse risposte sanitarie, delle chiusure, delle riaperture, delle restrizioni e degli allentamenti, delle ospedalizzazioni e delle vaccinazioni. Parliamo della risposta delle istituzioni e della società. Perché ci sono Paesi che hanno reagito meglio e altri che hanno reagito peggio? Quali sono i fattori che hanno permesso a una nazione di circoscrivere la crisi e quali sono le cause degli insuccessi di altre nazioni?
Cominciamo da un interessante rapporto uscito nel 2019, appena prima del debordo della crisi. Il “Global Health Security Index” (Ghs) è un Progetto promosso dalla “Nuclear Threat I-nitiative (Nti)” e dal “Johns Hopkins Center for Health Security (Jhu)”, e materialmente redatto dalla “Economist Intelligence Unit (Eiu)”. Il Ghs analizzava (profeticamente, ma, come vedremo, senza il senno di poi) quali Paesi fossero meglio posizionati in caso di pandemia.
Ebbene, un recente studio del Peterson Institute of International economics (Why some experts got pandemic readiness wrong, di Cullen S. Hendrix) confronta le conclusioni di quel rapporto (che stilava, come detto, una Hit Parade dei Paesi meglio preparati ad affrontare gli attentati alla salute dei cittadini) con la realtà post-virus. Ebbene, conclude l'autore, non c'è stata nessuna correlazione fra quei posizionamenti e i risultati nel contrasto al-la Sars-Cov-19. Erano state ignorate le variabili della leadership politica e della coesione sociale, che influenza l'obbedienza alle restrizioni. Due variabili che non sono nuove, ma che non erano state sufficientemente studiate.
Il rapporto sul Ghs si valeva delle opinioni di esperti di sanità, da medici a operatori sanitari, a epidemiologhi, e a questi erano state poste le domande giuste e da questi erano venute risposte sensate. Ma, come ha osservato sul «Scientific American» Naomi Oreskes (insegna Storia della scienza ad Harvard) non erano le domande e le risposte ad essere sbagliate. Lo sbaglio stava nella scelta degli esperti. Non bisognava coinvolgere solo studiosi di sanità, ma anche sociologi, politologi, psicologi. Ecco una sterminata materia di studio, interdisciplinare e affascinante.