Miliardari, nuova tassa sulle plusvalenze in arrivo negli Usa

Il presidente della Commissione Finanze al Senato Usa, Ron Wyden, ha presentato una proposta di legge che colpirebbe i soggetti con un patrimonio di almeno 1 miliardo di dollari o redditi annui da 100 milioni
Le plusvalenze teoriche sarebbero tassate, ogni anni, la stessa aliquota della tassa sul capital gain
Per i miliardari le cui fortune sono strettamente connesse alla crescita del valore delle proprie azioni, come Elon Musk, l'entrata in vigore della legge sarebbe una batosta: nel primo anno di entrata in vigore si applicherebbe a tutta la plusvalenza accumulata dall'inizio dell'investimento
L'attenzione politica sulle ricchezze di una minoranza privilegiata è cresciuta di molto nel periodo della pandemia, durante il quale i super-ricchi hanno potuto accrescere di molto i loro patrimoni. Il mercato azionario, in particolare, sarebbe diventato un veicolo di disuguaglianza: secondo la Fed, il 10% più ricco della popolazione Usa detiene l'89% delle azioni americane. E secondo i dati del Bloomberg billionaire index, i miliardari americani hanno aggiunto alle proprie ricchezze 1.200 miliardi di dollari solo negli ultimi 12 mesi.
Come funziona la Billionaire tax
La tassa in questione sarebbe imposta tutti i soggetti con un patrimonio di almeno un miliardo di dollari o redditi pari ad almeno 100 milioni per tre anni consecutivi. Nell'anno dell'entrata in vigore i miliardari dovrebbero calcolare le plusvalenze teoriche generate dai propri asset pubblicamente scambiati rispetto al momento d'acquisto (incluse, pare, anche le criptovalute) e pagarvi, dunque, l'aliquota massima sul capital gain, pari al 23,8%. A partire dall'anno successivo la tassa andrebbe corrisposta annualmente, sulla base dell'eventuale plusvalenza realizzata. Le minusvalenze andrebbero a configurare, invece, una deduzione per i futuri oneri, così come quelli relativi ai precedenti tre anni.
L'impatto di una tassa di questo genere sarebbe enorme per soggetti la cui ricchezza è cresciuta, per la massima parte, grazie alla crescita nel valore delle rispettive partecipazioni azionarie. Si parla di big come Elon Musk, Jeff Bezos e altri nomi di primo piano, finiti alcune settimane fa nel mirino di un'inchiesta di Pro Publica che aveva evidenziato quanto fosse esigua l'aliquota fiscale versata, in rapporto ai loro ingenti patrimoni. Si potrebbe pensare che per pagare il conto al fisco un soggetto come Elon Musk sarebbe costretto a vendere una quota consistente delle proprie azioni di Tesla. Nei fatti, però, il ricorso al credito a basso costo sarebbe una scelta più saggia, che non metterebbe in discussione la posizione di controllo nell'azienda.
Per evitare che i mercati privati possano diventare il riparo della grande ricchezza americana, la proposta di legge prevede un inasprimento della tassazione sui proventi realizzati successivamente alla vendita di prodotti alternativi come opere d'arte o azioni di società non quotate, fino a un massimo del 49%. I consulenti, comunque, potrebbero decidere di parcheggiare in questi mercati una fetta della ricchezza dei propri clienti, in attesa che la tassa sia eventualmente rimossa in futuro.
Terreno fertile per i servizi di consulenza
Il nuovo sistema introdurrebbe una serie di complessità nei meccanismi di prelievo. A guadagnarci sarebbero, senza dubbio, i consulenti, che da sempre assistono i soggetti facoltosi per alleggerire loro il carico fiscale con tutte le vie legalmente percorribili. Introdurre nuove tasse sui super-ricchi, infatti, è relativamente facile; la parte complicata è fare in modo che non venga elusa.
La strada per l'approvazione della Billionaire tax, comunque, sembra ancora disseminata di difficoltà. A cominciare dai profili di possibile incostituzionalità: non così è scontato, infatti, che un guadagno ancora non realizzato e puramente teorico, come l'aumento del prezzo di mercato di un'azione, possa essere tassato come un reddito.