Il debito pubblico spacca l'Italia: le vie d'uscita, oltre il Next gen

Rita Annunziata
25.1.2022
Tempo di lettura: 5'
Nel suo insieme l'Italia riporta un rapporto debito/pil superiore al 160%. Con punte del 300% nel Meridione. Ma, secondo un nuovo rapporto della Rome business school, l'impulso fiscale dei fondi Next Generation Eu consentirebbe di raggiungere il 140% entro il 2025

Il Meridione sconta un debito/pil del 230% con punte di oltre il 300%. Basti pensare alla Calabria con il 305,3%

Chentouf: “L’Italia si sta rifinanziando all’1%, il che significa che la situazione è confortevole, da questo punto di vista”

Il debito pubblico italiano, guardando al passato, ha subito una crescita progressiva a partire dalla metà degli anni '60. Poi, l'impennata degli anni '80, il calo susseguito agli accordi di Maastricht e all'arrivo dell'euro, e il nuovo sussulto dopo la crisi finanziaria del 2008. A dicembre 2020, in conclusione del primo anno pandemico, il rapporto debito/pil ha sfiorato il 157,5%. E stime più recenti rivelano come oggi superi il 160%. Ma non tutte le regioni italiane si trovano nella stessa situazione, anzi. C'è chi vanta un sistema economico anche migliore di quello tedesco.
Secondo una nuova analisi della Rome business school, infatti, il Meridione sconta un debito/pil del 230% con punte di oltre il 300%. Basti pensare alla Sardegna con il 237,8%, il Molise con il 239,8%, la Basilicata con il 254%, la Sicilia con il 256,3% fino alla Calabria con il 305,3%. Diverso è il caso di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Marche e Piemonte, con un debito/pil intorno all'80%. Un divario, tra l'altro, che secondo i ricercatori è destinato ad aumentare.
“Il debito pubblico in Italia è un debito cosiddetto alto, che si finanzia a un tasso basso”, osserva tuttavia Leila Chentouf, program director del master in international management della Rome Business School e co-autrice della ricerca. “Questa situazione, che a prima vista sembra complessa, porta a mettere in dubbio la sostenibilità stessa del debito”, aggiunge, anche se “è comunque necessario sottolineare che questo debito è stato contratto in un periodo di alti tassi d'interesse”. Si parla di livelli superiori al 5%, mentre l'Italia oggi “si sta rifinanziando all'1%, il che significa che la situazione è confortevole, da questo punto di vista”.

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Un altro aspetto da considerare, aggiungono i ricercatori, è che il debito pubblico detenuto da investitori nazionali è meno rischioso di quello detenuto da investitori stranieri (considerati più imprevedibili). Ma in Italia solo il 30% è detenuto da investitori esteri, un livello “ancora ragionevole” rispetto alla Francia dove questa quota raggiunge il 56%. Certo, non bisogna dimenticare che la Penisola resta uno dei paesi avanzati più indebitati. Il Giappone continua a guidare la classifica, dopo aver raggiunto nel 2019 il 238% del debito pubblico. E non fa da meno Singapore, con un punteggio del 110,9%.

In questo contesto, stando alle stime di Oxford Economics, l'impulso fiscale destinato all'Italia dei fondi provenienti dal Next Generation Eu consentirebbe al rapporto debito/pil di scivolare al di sotto del 140% entro il 2025. Ma, ricordano i ricercatori della Rome business school, si tratta di un programma “ambizioso”. I fondi europei, aggiungono, costituiranno “una parte importante del rilancio dell'economia e dell'abbassamento del debito, ma è necessario uno sforzo a tutti i livelli, istituzioni, pubblico e privato”. Anche perché l'Italia continua a scontare una mancanza strutturale di competitività e produttività (il costo del lavoro, per esempio, è impennato del 15% tra il 2009 e il 2019 secondo l'Eurostat).

“Il debito pubblico dovrebbe essere usato per risolvere molti di questi problemi, per aumentare il potenziale produttivo dell'Italia e per finanziare le infrastrutture pubbliche, il sistema educativo, la ricerca e l'innovazione al fine di sostenere la crescita e ridurre il livello del debito”, dichiara Chentouf, sottolineando come ci si debba concentrare sulla ristrutturazione e razionalizzazione della spesa pubblica e sul bilanciamento dei conti pubblici, al fine di ricercare quel surplus necessario a garantire un margine sufficiente per affrontare le previsioni dell'era post-covid. “È evidente”, conclude Ernst Ekkehard (macroeconomista dell'Organizzazione mondiale del lavoro e co-autore del rapporto), “che la parola chiave oggi, di fronte a una pandemia globale senza precedenti e con un fondo di recupero sostanziale, sia osare: riformare, trasformare e innovare”.

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Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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