Crisi Ucraina: la neutralità può risolvere il conflitto?

30.3.2022
Tempo di lettura: 5'
L'Ucraina si è dichiarata disposta, a certe condizioni, ad accettare di assumere lo status di Paese neutrale
Attorno al tema della neutralità si sta prospettando la possibilità di trovare un accordo sul conflitto in corso
Lo status di paese neutrale comporta l’obbligo di rispettare obblighi e oneri
Interessi in conflitto, valori contrapposti, proposte di negoziati a cui seguono riarmi e nuove tensioni. L'andamento oscillante e instabile della guerra che prende piede in territorio ucraino ma che si estende, almeno negli effetti, anche al di fuori dei suoi confini, rende inattendibile ogni pronostico.
L'apertura e la chiusura dei numerosi negoziati che, ora, paiono condurre verso una svolta e, ora, sembrano incrinare ancor di più i rapporti tra Est e Ovest, riducono a mero esercizio di pensiero illusorio il tentativo di comprendere, anche da piccoli dettagli o perfino dall'andamento dei mercati, il modo in cui si articoleranno nel medio-breve periodo i rapporti politici tra Est e Ovest.
Ebbene, in siffatto scenario, in cui la Pangea artificiale, di stampo economico-sociale, creata dalla globalizzazione si riscopre frastagliata e frammentata, si fa un gran parlare di neutralità. Più in particolare della possibilità che l'Ucraina rinunci all'aspirazione di aderire alla Nato e assuma i connotati di Stato neutrale: al solo fine (o non solo per questo fine) di arginare la brutale escalation di ostilità e interrompere l'aggressione all'integrità territoriale portata avanti dalla Russia.
E invero, da un punto di vista giuridico non è così immediato o scontato per un Paese assumere lo status di Stato neutrale. In prima battuta, l'Ucraina potrebbe dover avviare un percorso legislativo di modifica della Carta costituzionale (dunque, occorrerebbe passare dal parlamento e dalla Corte Costituzionale) o procedere ad un referendum a ciò rivolto. Ma questa prospettiva sembra poco percorribile in un momento di guerra, in cui è in atto un esodo della popolazione fuori dai confini della nazione e in cui il parlamento è immobile e privo, se non addirittura in via di fatto destituito, di ogni capacità politica.
In seconda battuta, la neutralità potrebbe essere raggiunta se venissero riconosciute a Kiev una serie di garanzie da parte dell'Occidente, in forza di un accordo internazionale siglato, sicuramente (e almeno) da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Anche questa prospettiva, tuttavia, non è di poco conto: in un momento di così alta tensione, nessuna garanzia di sicurezza e protezione pare davvero sufficiente a scongiurare altre aggressioni o ritorsioni da parte della Russia. Inoltre, prestare garanzia di sicurezza all'Ucraina, comporta, per gli Stati occidentali che decidono di siglare detto accordo, di assumere delle responsabilità dirette (anche di intervento) sull'andamento del conflitto; che potrebbero andare ben oltre le sanzioni.
Certamente, come messo in evidenza su Der Spiegel dal politologo Ivan Krastev, la neutralità, lungi dal risolvere propriamente il conflitto – che, poggiando su questioni radicate e antiche, è, per certi versi, irrisolvibile – permetterebbe di trasformare questa guerra “calda”, fatta di scontri fisici e militari, in una guerra “fredda”. Misura belligerante che, pur non esente da conseguenze politiche, economiche e sociali, alla comunità internazionale e ai popoli occidentali, appare, in un certo qual modo, meno estranea o più tollerabile.
E invero, da un punto di vista giuridico non è così immediato o scontato per un Paese assumere lo status di Stato neutrale. In prima battuta, l'Ucraina potrebbe dover avviare un percorso legislativo di modifica della Carta costituzionale (dunque, occorrerebbe passare dal parlamento e dalla Corte Costituzionale) o procedere ad un referendum a ciò rivolto. Ma questa prospettiva sembra poco percorribile in un momento di guerra, in cui è in atto un esodo della popolazione fuori dai confini della nazione e in cui il parlamento è immobile e privo, se non addirittura in via di fatto destituito, di ogni capacità politica.
In seconda battuta, la neutralità potrebbe essere raggiunta se venissero riconosciute a Kiev una serie di garanzie da parte dell'Occidente, in forza di un accordo internazionale siglato, sicuramente (e almeno) da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Anche questa prospettiva, tuttavia, non è di poco conto: in un momento di così alta tensione, nessuna garanzia di sicurezza e protezione pare davvero sufficiente a scongiurare altre aggressioni o ritorsioni da parte della Russia. Inoltre, prestare garanzia di sicurezza all'Ucraina, comporta, per gli Stati occidentali che decidono di siglare detto accordo, di assumere delle responsabilità dirette (anche di intervento) sull'andamento del conflitto; che potrebbero andare ben oltre le sanzioni.
Certamente, come messo in evidenza su Der Spiegel dal politologo Ivan Krastev, la neutralità, lungi dal risolvere propriamente il conflitto – che, poggiando su questioni radicate e antiche, è, per certi versi, irrisolvibile – permetterebbe di trasformare questa guerra “calda”, fatta di scontri fisici e militari, in una guerra “fredda”. Misura belligerante che, pur non esente da conseguenze politiche, economiche e sociali, alla comunità internazionale e ai popoli occidentali, appare, in un certo qual modo, meno estranea o più tollerabile.
Essere “neutrali”, inoltre, comporta allo Stato interessato l'assunzione di molti oneri, così come previsto dalla V e dalla XIII Convenzione dell'Aja del 1907. In linea generale, la nozione di neutralità secondo il diritto internazionale, prevede (per lo Stato neutrale) un'astensione, diretta o indiretta, da ogni conflitto, e l'obbligo di non assumere, nei rapporti di politica estera o internazionale, trattamenti preferenziali rispetto agli Stati belligeranti. Agli Stati neutrali, vincolati dalla legge di neutralità e dai suoi obblighi fondamentali di imparzialità, è fatto divieto di consentire a una parte belligerante di utilizzare il proprio territorio come base di operazioni militari o per qualsiasi altro esercizio bellico, come pure fornire equipaggiamenti militari, quindi armi e munizioni.
Questa circostanza, imporrebbe, quindi, all'Ucraina, così ferita dall'invasione russa, di rinunciare ad ogni - eventuale - partecipazione attiva o passiva al conflitto, o ad ogni questione ad esso collegata che dovesse prospettarsi in futuro.
Inoltre, il tema della neutralità, oltre ad essere un obiettivo di non pronta soluzione, è anche un vero e proprio leitmotiv del conflitto in corso. Se per l'Ucraina si parla di assumere la veste di status neutrale per agevolare l'interruzione delle ostilità, per altri Stati, quali ad esempio la Svezia, si parla di interruzione della “storica” neutralità.
Come ha messo in evidenza la premier svedese, Magdalena Andersson, benché la Svezia sia neutrale da più di un secolo, quanto meno dal secondo conflitto mondiale, non può più dirsi davvero “imparziale” per il semplice fatto che la sua qualifica di Stato membro dell'Ue la sottopone ad alcune clausole di solidarietà e difesa. Clausole che, pur non incidendo formalmente sullo status di nazione neutrale, inevitabilmente comportano, a certe condizioni, assunzioni di responsabilità che, per forza di cose, non sono neutrali e che danno vita a conseguenze tutt'altro che neutre.
Quanto alla clausola di difesa, secondo l'articolo 42, paragrafo 7, del Tue, come riformato a Lisbona, i membri dell'Ue (dunque anche la Svezia, dal 1995) si impegnano a prestare assistenza, con tutti i mezzi, in caso di aggressione armata nel territorio dell'Unione. Quanto alla clausola di solidarietà, secondo l'articolo 222 del Tfue, i paesi dell'Ue sono obbligati ad agire congiuntamente qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o di calamità provocate dall'uomo.
Attorno al concetto di neutralità, pertanto, si potrebbero scrivere le sorti di questa guerra. E, senza dubbio, si stanno riscrivendo anche numerosi equilibri politici che involgono gli interessi di quegli Stati che, pur dichiaratisi neutrali, si trovano potenzialmente coinvolti nel conflitto.
Questa circostanza, imporrebbe, quindi, all'Ucraina, così ferita dall'invasione russa, di rinunciare ad ogni - eventuale - partecipazione attiva o passiva al conflitto, o ad ogni questione ad esso collegata che dovesse prospettarsi in futuro.
Inoltre, il tema della neutralità, oltre ad essere un obiettivo di non pronta soluzione, è anche un vero e proprio leitmotiv del conflitto in corso. Se per l'Ucraina si parla di assumere la veste di status neutrale per agevolare l'interruzione delle ostilità, per altri Stati, quali ad esempio la Svezia, si parla di interruzione della “storica” neutralità.
Come ha messo in evidenza la premier svedese, Magdalena Andersson, benché la Svezia sia neutrale da più di un secolo, quanto meno dal secondo conflitto mondiale, non può più dirsi davvero “imparziale” per il semplice fatto che la sua qualifica di Stato membro dell'Ue la sottopone ad alcune clausole di solidarietà e difesa. Clausole che, pur non incidendo formalmente sullo status di nazione neutrale, inevitabilmente comportano, a certe condizioni, assunzioni di responsabilità che, per forza di cose, non sono neutrali e che danno vita a conseguenze tutt'altro che neutre.
Quanto alla clausola di difesa, secondo l'articolo 42, paragrafo 7, del Tue, come riformato a Lisbona, i membri dell'Ue (dunque anche la Svezia, dal 1995) si impegnano a prestare assistenza, con tutti i mezzi, in caso di aggressione armata nel territorio dell'Unione. Quanto alla clausola di solidarietà, secondo l'articolo 222 del Tfue, i paesi dell'Ue sono obbligati ad agire congiuntamente qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o di calamità provocate dall'uomo.
Attorno al concetto di neutralità, pertanto, si potrebbero scrivere le sorti di questa guerra. E, senza dubbio, si stanno riscrivendo anche numerosi equilibri politici che involgono gli interessi di quegli Stati che, pur dichiaratisi neutrali, si trovano potenzialmente coinvolti nel conflitto.