Cina-Usa: tira aria di una nuova guerra fredda

Lorenzo Magnani
Lorenzo Magnani
11.5.2021
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L'ultimo atto della tensione tra Cina e Stati Uniti in stile guerra fredda è la possibilità dell'introduzione da parte di Pechino di un processo di screening sugli investimenti in entrata. Una minaccia, più che una possibilità concreta: la posta in gioco è alta per tutti

Dopo mesi di attriti la Cina ha sospeso sine die ogni attività comune legata al “dialogo economico” con l'Australia, Ma le relazioni sono ai minimi anche Stati Uniti e Europa

I danni economici di un ulteriore inasprimento nefasti per tutti. La Cina è il mercato più grande al mondo per molte categorie merceologiche e determina un terzo della crescita a livello mondiale

"Queste tensioni se protratte potrebbero deteriorare in maniera irreversibile le relazioni tra gli attori in gioco. La Cina è molto diversa dall’Unione Sovietica e il mondo è molto diverso da quello della guerra fredda" ha commentato a We Wealth Giuliano Noci, prorettore del polo territoriale cinese del Politecnico di Milano

Dopo mesi di tira e molla i dialoghi tra Cina e Australia si sono arenati, per non dire naufragati. All'accuse insulari di colpa, se non dolo, da parte di Pechino sulla faccenda coronavirus e al divieto di sbarco di Huawei nella corsa australiana al 5G – per citare due episodi – l'ex impero celeste non è stato silente. Dapprima imponendo sanzioni, poi – giovedì scorso – definendo quello di Canberra un atteggiamento in pieno stile guerra fredda. E in effetti quel tipo di tensione ormai scordata è tornata palpabile. Con la differenza che alla minaccia nucleare ora c'è, almeno per il momento, quella economica. Al delisting americano che colpisce le aziende cinesi quotate negli Stati Uniti, Pechino potrebbe rispondere con uno strumento per ora rimasto in stand by, sempre in nome della sicurezza nazionale: uno screening più severo sugli investimenti in entrata.

Lo screening sugli investimenti


A fare il punto è il Sole 24 ore, che fa luce su questo strumento a disposizione di Pechino: tutti gli investimenti in entrata dovrebbero passare al vaglio di una commissione, che ne valuti l'impatto, anche potenziale, sulla sicurezza nazionale. La verifica una volta conclusasi porta ad un esito definitivo. Se fino a poco tempo erano solo le proposte di m&a relative a target cinesi oggetto di tale controllo, ora tutte le tipologie di investimenti esteri, dagli investimenti greenfield all'acquisto di azioni, sono ricomprese. Secondo Giuliano Noci, prorettore del polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, intervistato da We Wealth, tuttavia l'inasprimento delle relazioni di Pechino con il resto del mondo è un tema negoziale. “La crescita dei controlli sugli investimenti diretti in Cina riflette le azioni che l'Europa e gli Stati Uniti stanno portando avanti nei suoi confronti: nessuno vuole intavolare una trattativa sedendosi al tavolo in una posizione di debolezza” spiega Noci che mette in guardia sugli effetti nefasti che una chiusura della Cina sia da un punto finanziario che commerciale comporterebbe per tutte le parti. “La Cina è il mercato più grande al mondo per molte categorie merceologiche e determina un terzo della crescita a livello mondiale. Non credo che convenga a nessuno la rottura” continua Noci che sottolinea come, ad esempio, nel primo trimestre il settore del lusso italiano sia cresciuto del 175% nella terra del dragone.

La Cina non può fare a meno dell'Occidente


Nonostante vanti il mercato interno più grande al mondo, con 1,5 miliardi di persone, anche la Cina rimarrebbe danneggiata da una chiusura verso l'occidente. Come riporta il Sole 24 ore, oltre la grande Muraglia sono arrivati solo nel 2020 163 miliardi di dollari, più di quanto registrato dagli Stati Uniti. Anche lato commerciale, gli ultimi trimestri sono stati da record in termini di surplus. In altre parole la Cina dipende e beneficia ancora molto dai rapporti con l'estero, sebbene con la politica della dual circulation la dipendenza dall'estero sia destinata a ridursi nel tempo. A riprova di questo molte aziende cinesi stanno migrando all'estero. “Per far fronte ai dazi imposti dall'occidente, molte imprese cinesi si stanno trasferendo in paesi quali la Tailandia, il Vietnam, l'Indonesia, sulle cui merci non gravano i dazi americani” spiega Noci.

Il pericolo di una guerra


La tensione dunque è alta e dazi, delisting e controlli sono schermaglie geopolitiche, ancor prima che economiche, che difficilmente potranno accompagnarsi a una chiusura dei mercati sia dei capitali che delle merci. Lo spettro è infatti quello di una guerra che da commerciale diventi una guerra reale. “Queste tensioni, se protratte, potrebbero deteriorare in maniera irreversibile le relazioni tra gli attori in gioco. La Cina è molto diversa dall'Unione Sovietica e il mondo è molto diverso da quello della guerra fredda: è tutto fortemente interconnesso” osserva Noci che evidenzia come la Cina è un gigante economico e tecnologico a differenza della Russia che allora era un paese di una certa rilevanza militare ma con una economia molto debole. A ciò si aggiunge la situazione molto delicata di Taiwan, che potrebbe essere la goccia che farà traboccare il vaso. “Un eventuale riconoscimento da parte degli Stati Uniti dell'indipendenza di Taiwan potrebbe avere gli stessi effetti che ebbe la pistola di Serajevo il secolo scorso” conclude Noci.
Laureato in Finanza e mercati Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano, nella redazione di We Wealth scrive di mercati, con un occhio anche ai private market. Si occupa anche di pleasure asset, in particolare di orologi, vini e moto d’epoca.

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