Banche centrali alle prese con il virus, in campo 6.500 miliardi

Rita Annunziata
31.3.2020
Tempo di lettura: 3'
Secondo i dati di Morgan Stanley, per fronteggiare la crisi di liquidità le Banche centrali si preparano a dispiegare 6.500 miliardi di dollari. Ma se le misure adottate dalla Fed corrispondono al 21% del Pil, nel caso della Bce si parla del 9%. Gianluca Parenti di Intermonte Sim ci aiuta a capire il perché

La Fed potrebbe espandere il proprio programma di quantitative easing per un totale di 4-5mila miliardi di dollari

La Bank of England ha ampliato il piano di acquisto titoli per circa 200 miliardi di sterline

“In momenti di eccezionalità come questi, le misure di sostegno di politica monetaria per essere efficienti devono essere coordinate con le misure fiscali”, spiega Gianluca Parenti

Circa 6.500 miliardi di dollari. È l'armamentario che, secondo le previsioni del “Policy action tracker - How big is the monetary and fiscal stimulus?” di Morgan Stanley, le principali banche centrali mondiali si preparano a dispiegare per sostenere l'economia dagli effetti della diffusione del covid-19. Ma che peso hanno gli stimoli monetari adottati rispetto al prodotto interno lordo dei singoli paesi? L'Eurozona è davvero indietro come sembra risultare dai dati? Partiamo per gradi.

Fed, misure pari al 21% del Pil


Sull'onda dell'emergenza nelle ultime settimane i tassi sono stati ridotti mediamente dalle diverse banche centrali di 55 punti base dal mese di dicembre 2019 e di 167 punti base dalla fine del 2018. La Federal Reserve ha ampliato il suo programma di quantitative easing preparandosi ad acquistare titoli a oltranza e a inondare il mercato di liquidità. Una politica monetaria ultra-accomodante che, secondo gli esperti di Morgan Stanley, potrebbe condurre la banca centrale americana a espandere il proprio pacchetto di misure per un totale di 4-5 mila miliardi di dollari, pari al 21% del Pil.

Bce, in campo 870 miliardi di euro


Dall'altra parte anche la Banca centrale europea ha rimosso i limiti del 33% per i titoli di Stato e del 50% per i sovranazionali, preparandosi ad andare oltre i 750 miliardi di euro previsti dal Pepp (Pandemic emergency purchase programme), il programma straordinario e temporaneo messo in campo dall'istituto di Francoforte per fronteggiare l'emergenza epidemiologica. Se si aggiunge il piano di acquisti netti aggiuntivi di 120 miliardi di euro fino alla fine dell'anno e il tradizionale programma di acquisto di bond per 20 miliardi di euro al mese, le misure adottate dalla Bce rappresenterebbero il 9% del Pil dell'Eurozona.

BoE, un quantitative easing di 200 miliardi


Un pacchetto di misure quasi pari a quello della Fed in termini di rapporto al Pil è stato messo in campo invece dalla Bank of England. La banca centrale britannica, infatti, dopo aver annunciato il taglio dei tassi sulla scia della Bce, ha ampliato il piano di acquisto titoli per circa 200 miliardi di sterline, al quale si aggiungono ulteriori 200 miliardi del Term Funding Scheme e 20 miliardi (secondo le stime di Morgan Stanley) del Covid corporate financing facility, il piano di finanziamento per le piccole e medie imprese.

Parenti: “Coordinare le misure di politica monetaria con quelle fiscali”


Secondo i dati di Morgan Stanley, le misure adottate dalla Fed e dalla Bank of England corrispondono dunque rispettivamente al 21 e al 20% del Pil, seguite dalla Bce con il 9%. Ma l'Eurozona è davvero indietro da questo punto di vista? “È indubbio che le misure della Bce in termini di Pil siano più contenute rispetto alla Fed e alla BoE, ma bisogna calarsi nelle singole realtà – spiega Gianluca Parenti, partner di Intermonte e responsabile di T.I.E. – Tutto dipende da come procederà lo sviluppo della pandemia e i conseguenti impatti sull'economia e sui cittadini”. Secondo Parenti, se da un lato le famiglie americane sono particolarmente indebitate, dall'altro quelle europee e in particolar modo quelle italiane godono di un livello di indebitamento più contenuto. “È chiaro che nel caso degli Stati Uniti l'intervento doveva essere più vigoroso, per salvaguardare le imprese e le famiglie”, continua Parenti.

Ma, secondo l'esperto, c'è anche un altro aspetto da non sottovalutare. “Mentre la Fed e il governo americano da un lato e la BoE e il governo della Gran Bretagna dall'altro sono più facilmente coordinabili, nel caso dell'Eurozona la Bce fa più fatica, dovendo interagire con 27 governi – aggiunge – In momenti di eccezionalità come questi, le misure di sostegno di politica monetaria per essere efficienti devono essere coordinate con le misure fiscali. E in Europa è molto più complicato”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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