Società di comodo: stretta del Parlamento Ue

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L’intervento normativo si basa, tra le altre cose, sulla trasparenza societaria, garantendo la conoscibilità della titolarità effettiva delle imprese ed evitare che ci possano essere degli schermi societari per nascondere la reale titolarità delle imprese

Occorre introdurre ulteriori ed immediati interventi per contenere l’uso improprio delle società di comodo

La proposta di direttiva avanzata dalla Commissione UE COM(2021)0565 rende più stringente la normatica sulle società di comodo

Il Parlamento Ue, con la comunicazione A9-0293/ 001-064 dell’11 gennaio 2023, ha espresso il proprio parere favorevole alla proposta di direttiva unionale in materia di contrasto alle società di comodo

Sebbene, infatti, siano state adottate nel corso degli ultimi anni importanti misure per contenere l’evasione fiscale, secondo il Parlamento Ue è necessario anche introdurre ulteriori ed immediati interventi per contenere l’uso improprio delle società di comodo

La proposta di direttiva avanzata dalla Commissione UE COM(2021)0565 è stata, dunque, approvata a larga maggioranza, con l’aggiunta anche di alcuni emendamenti che rendono ancora più stringente la normativa.

L’intervento normativo si basa, soprattutto, sulla trasparenza societaria, garantendo la conoscibilità della titolarità effettiva delle imprese ed evitare che ci possano essere degli schermi societari per nascondere la reale titolarità delle imprese.

La proposta di direttiva e gli emendamenti apportati dal Parlamento Ue

Le norme troveranno applicazione nei confronti dei soggetti interessati a seguito di un “substance test” finalizzato a identificare le imprese che sono impegnate in un’attività economica ma che, non avendo una sostanza rilevante, sono da ritenere utilizzate al mero fine di ottenere dei vantaggi fiscali.

La prima fase permetterà di distinguere le imprese in base ad un minimo o ad un elevato rischio; le società che rientreranno in questa ultima categoria si caratterizzeranno per il ricorrere, negli ultimi due esercizi precedenti di una serie di indicatori che sono stati peraltro oggetto di proposte di emendamento da parte del Parlamento:

  • oltre il 65% dei ricavi conseguiti dall’impresa sono rappresentati dai c.d. passive income
  • svolgimento di un’attività transfrontaliera che ricorre quando oltre il 55% del valore degli attivi viene realizzato in uno Stato diverso rispetto a quello di residenza dell’impresa, ovvero quando oltre il 55% dei redditi è generato tramite operazioni transfrontaliere;
  • esternalizzazione della gestione delle operazioni ordinarie e del processo decisionale relativo a funzioni significative a  terze parti.

Le conseguenze per le imprese ad alto rischio

Le imprese ritenute ad alto rischio saranno tenute a dimostrare la propria operatività e, in particolare, a documentare una serie di indicatori di sostanza economica quali: la presenza di locali a propria disposizione nello Stato membro di residenza; il possesso di un conto corrente bancario proprio e attivo nel territorio dell’Unione europea; la presenza in loco di amministratori o dipendenti, con reale potere di amministrazione o di gestione dell’attività svolta.

Le amministrazioni finanziarie dei vari Stati membri dovranno poi valutare queste informazioni: in assenza anche di uno solo degli elementi indicatori della sussistenza di sostanza economica, si potrà presumere che la società sia priva della stessa e, dunque, utilizzata impropriamente per meri fini di evasione o elusione fiscale.

In ogni caso, la società potrà fornire informazioni e documenti atti a superare l’operatività della presunzione e, in particolare, dovranno essere esplicitate le ragioni economiche alla base della scelta di insediarsi in un determinato territorio piuttosto che in un altro.

Laddove la società dovesse risultare essere di comodo, ossia priva di sostanza economica, non troveranno applicazione le convenzioni contro le doppie imposizioni o i benefici derivanti dalle direttive sulle società madre-figlia e sugli interessi e canoni. 

È evidente che la proposta di direttiva sia necessaria al fine di contrastare tutti gli schemi e meccanismi fiscali sempre più innovativi volti unicamente a evadere o eludere l’imposizione degli Stati membri verso territori a fiscalità privilegiata

Lo scopo, dunque, è quello di contrastare efficacemente le pratiche fiscali dannose e aggressive, assicurando la libera competitività tra gli Stati membri e il corretto funzionamento del mercato unico.


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Laureato in giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con tesi sull’armonizzazione fiscale europea, ha conseguito il diploma di Master in diritto tributario a pieni voti presso la medesima Università e il Dottorato di ricerca in diritto tributario – business & law presso l’Università degli studi di Brescia e Bergamo.

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