Riforma dell'Irpef: meglio la diga o l'acquedotto?

30.4.2021
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A giugno parte la legge delega per l'ennesima riforma fiscale. L'auspicio è che dalla pandemia emergano il coraggio e una visione allargata capaci di assumere scelte di politica fiscale
È attualmente in corso – da parte delle commissioni riunite di Camera e Senato competenti in materia di finanze e tesoro – un'indagine conoscitiva sulla riforma dell'Irpef, come pure su altri aspetti del sistema tributario, la cui ultima audizione, risalente al 23 aprile scorso, raccoglie la “testimonianza” del Fondo monetario internazionale.
Entrare nel merito dell'indagine, come nel metodo, sarebbe davvero troppo arduo: di seguito esporrò quindi solo alcune considerazioni di carattere generale.
È senz'altro meritorio che l'organo sovrano (il parlamento, appunto) voglia conoscere lo stato dell'arte e lo faccia con numerose audizioni di tecnici e parti sociali, specie se tutto questo lavoro sfocerà in provvedimenti strutturali e di iniziativa parlamentare, e non, come accade da anni, contingenti e di matrice governativa (se non, addirittura, burocratica).
Il compianto Gianni Marongiu (padre dello statuto del contribuente, e, a detta di molti, una delle poche stelle del firmamento tributario italiano) ammoniva anni fa, dalle colonne di un noto quotidiano economico, che in Italia occorrerebbe ripristinare il ministero delle Finanze (ora assorbito, con il ministero del Tesoro, Mef): la tesi non era passatista, bensì ispirata dalla lucida consapevolezza che prima di mettere in gestazione norme tecniche (che spesso nascono “deformi” per le troppe ostetriche che si sono affannate attorno alla puerpera) occorre assumere scelte di politica fiscale.
L'abdicazione per lunghi anni a tali scelte politiche ha portato al sistema attuale (la definizione, pur trita, di “giungla” rende abbastanza l'idea), dove appare improcrastinabile non solo una (ennesima) riforma della tassazione, in particolare di quella delle persone fisiche, ma anche una revisione strutturale della giustizia tributaria, che versa da anni in stato di abbandono, e al cui capezzale si è da poco riunita una commissione di esperti di fresca nomina (probabilmente, per constatarne lo stato di coma quasi irreversibile).
È senz'altro meritorio che l'organo sovrano (il parlamento, appunto) voglia conoscere lo stato dell'arte e lo faccia con numerose audizioni di tecnici e parti sociali, specie se tutto questo lavoro sfocerà in provvedimenti strutturali e di iniziativa parlamentare, e non, come accade da anni, contingenti e di matrice governativa (se non, addirittura, burocratica).
Il compianto Gianni Marongiu (padre dello statuto del contribuente, e, a detta di molti, una delle poche stelle del firmamento tributario italiano) ammoniva anni fa, dalle colonne di un noto quotidiano economico, che in Italia occorrerebbe ripristinare il ministero delle Finanze (ora assorbito, con il ministero del Tesoro, Mef): la tesi non era passatista, bensì ispirata dalla lucida consapevolezza che prima di mettere in gestazione norme tecniche (che spesso nascono “deformi” per le troppe ostetriche che si sono affannate attorno alla puerpera) occorre assumere scelte di politica fiscale.
L'abdicazione per lunghi anni a tali scelte politiche ha portato al sistema attuale (la definizione, pur trita, di “giungla” rende abbastanza l'idea), dove appare improcrastinabile non solo una (ennesima) riforma della tassazione, in particolare di quella delle persone fisiche, ma anche una revisione strutturale della giustizia tributaria, che versa da anni in stato di abbandono, e al cui capezzale si è da poco riunita una commissione di esperti di fresca nomina (probabilmente, per constatarne lo stato di coma quasi irreversibile).

Ciò premesso, appare meritevole di segnalazione, tra le tante, la testimonianza del professor Giuseppe Melis, resa alle suddette commissioni il 12 marzo scorso, e illustrata in un documento particolarmente articolato. Occorre premettere che una delle tesi più dibattute (anche al di fuori delle commissioni in questione) parte dal constatare il progressivo svuotamento del principio di tassazione personale progressiva (sancita dalla Costituzione), attraverso una stratificazione di regimi particolari e tassazioni sostitutive ad aliquota fissa (si pensi, per tutti, ai redditi di capitale che non concorrono a formare il reddito imponibile esposto in dichiarazione, bensì sono soggetti, in linea di massima, a una tassazione forfettaria del 26%); il passo successivo è quindi quello di indicare la necessità di un ripristino della tassazione progressiva per (almeno parte de) i redditi che oggi ne sono esclusi, pena il fallimento del “welfare” italiano.
Orbene, acutamente il professor Melis fa notare che “il richiamo al welfare State sovente fatto a giustificazione della progressività del tributo mostra limiti sempre più marcati”, dal momento che i contribuenti che più pagano in termini di Irpef “non riescono, in molti casi, ad accedere alla fornitura dei servizi pubblici e tendono a rivolgersi al mercato privato, con la conseguenza che si alimenta l'insofferenza di coloro che non godono servizi pubblici pur finanziandoli, da ultimo finanche escludendo taluni di essi dalle detrazioni fiscali per le spese sostenute”.
Un discorso da ricchi? Probabilmente una visione allargata e non demagogica della realtà. Del resto, in un sistema idrico dove l'acqua scarseggia, vi preoccupereste prima di costruire nuove dighe, o di riparare l'acquedotto bucato dal quale l'acqua viene copiosamente sprecata?
Qualcuno dirà che bisogna fare entrambe le cose: giusto, ma dovremmo smettere di pensare solo alle dighe.
Orbene, acutamente il professor Melis fa notare che “il richiamo al welfare State sovente fatto a giustificazione della progressività del tributo mostra limiti sempre più marcati”, dal momento che i contribuenti che più pagano in termini di Irpef “non riescono, in molti casi, ad accedere alla fornitura dei servizi pubblici e tendono a rivolgersi al mercato privato, con la conseguenza che si alimenta l'insofferenza di coloro che non godono servizi pubblici pur finanziandoli, da ultimo finanche escludendo taluni di essi dalle detrazioni fiscali per le spese sostenute”.
Un discorso da ricchi? Probabilmente una visione allargata e non demagogica della realtà. Del resto, in un sistema idrico dove l'acqua scarseggia, vi preoccupereste prima di costruire nuove dighe, o di riparare l'acquedotto bucato dal quale l'acqua viene copiosamente sprecata?
Qualcuno dirà che bisogna fare entrambe le cose: giusto, ma dovremmo smettere di pensare solo alle dighe.