Oibr, il valore d'impresa non dipende (solo) dal bilancio

Teresa Scarale
Teresa Scarale
23.3.2021
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I temi legati ai fattori Esg e più in generale alla sostenibilità hanno ormai un impatto sulla valutazione delle imprese, al di là dei libri contabili. A che punto è la reportistica non finanziaria? Le sollecitazioni a usare informazioni non solo finanziarie sono crescenti. Se ne è parlato al 4° convegno nazionale dell'Organismo italiano di business reporting
Il vero valore di un'impresa non è solo quello scritto nel bilancio. Contano le relazioni con la comunità in cui opera, oltre che con lavoratori e consumatori, l'ambiente, temi delicati come il riciclaggio, la capacità di restare in vita nel lungo periodo. L'Europa per prima – e finora unica – ha riconosciuto l'importanza delle informazioni non finanziarie con la direttiva n. 2014/95, imponendo uno schema di trasparenza obbligatorio. Come tradurre adesso l'onere di una normativa in un elemento di valore? L'Italia, nel suo ruolo di presidente di turno del G20 (dal 1/12/2020) sta allargando le prospettive e mettendo in campo forze per creare un piano comune per una regolamentazione a livello globale, nel rispetto delle differenze.
Il 23 marzo 2021, al 4° convegno nazionale dell'Organismo italiano di business reporting, Giuliana Birindelli, dell'Università di Chieti-Pescara e parte del comitato scientifico della fondazione Oibr ha comunicato che nel biennio 2019-2020 si è avuta una convergenza nella struttura del processo informativo. E anche nella rendicontazione. I rischi di sostenibilità sono i principali della disclosure (informativa).
Luca Ferraris (Mef) puntualizzando che la reportistica di sostenibilità è uno dei temi portanti della presidenza italiana del G20, afferma che «la trasparenza è funzione di obiettivi diversi, fra cui una più efficiente canalizzazione delle risorse finanziarie verso gli obiettivi Esg». È per questo necessaria la creazione di principi e standard regolamentativi comuni per «favorire una migliore integrazione fra organismi nazionali e regionali e creare un ponte fra approcci e legislazioni diversi».

Il G20 rappresenta una piattaforma di convergenza su principi di alto livello per la reportistica non finanziaria. «L'idea è quella di procedere gradualmente. La gradualità permette il consolidamento di concetti innovativi, come la doppia materialità, ma anche di valorizzare i diversi stadi di consolidamento dei criteri interpretativi». Per esempio, «nell'area del cambiamento climatico abbiamo oggi conoscenze scientifiche molto avanzate, prassi più sofisticate rispetto agli aspetti sociali».
Bisogna puntare sull'alto livello dei principi: la reportistica deve essere volontaria o obbligatoria? «La task force dell'Efsb (European Systemic Risk Board) afferma che il 60% delle 100 maggiori società quotate porta a casa un buon risultato, ma non è abbastanza. Bisogna evitare distorsioni competitive fra piccole, medie e grandi imprese. È importante mettere il tema al centro dell'interesse delle piccole e medie imprese. Solo i principi e gli standard mondiali possono garantire agli investitori la trasparenza per fare delle comparazioni. Serve una governance globale, la maggior coesione possibile per creare un avanzamento apprezzabile».
La coerenza globale rappresenta il minimo comune denominatore per costruire una prospettiva di regole comuni. «Oggi gli investitori non sono più interessati al solo ritorno finanziario, ma anche a ‘internalizzare le esternalità' [gli effetti sul benessere delle persone derivanti da un'attività produttiva, ndr]». In tal senso il reporting non finanziario può essere motore del cambiamento «nel senso più nobile del termine». Approccio ribadito durante la conferenza Oibr anche da Guglielmina Onofri della Consob, relativamente al valore d'impresa.

«I confini tra investimenti sostenibili e investimenti tradizionali stanno scomparendo e presto saranno un'unica cosa», ribadisce Cristina Ungureanu, responsabile corporate governance di Eurizon. «Tuttavia, rimangono un importante ostacolo alla piena integrazione delle prestazioni di sostenibilità di un'azienda nell'analisi degli investimenti, per la mancanza di dati affidabili, pertinenti e comparabili sulle diverse dimensioni delle prestazioni di sostenibilità di un'azienda. Oggi abbiamo una vastità di ong che lavorano per definire standard di misurazione e rendicontazione della sostenibilità, nonché fornitori di dati Esg le cui valutazioni sono scarsamente correlate tra loro».


Il concetto di materialità finanziaria «si concentra sulle informazioni di sostenibilità più rilevanti per gli investitori e altri partecipanti al mercato, che sono materiali per la enterprise valuation creation. In Eurizon sosteniamo questo approccio ma, allo stesso tempo, riconosciamo che esistono questioni di sostenibilità importanti per il mondo, anche se attualmente non hanno un impatto diretto sui rendimenti degli investitori».


Conclude la Ungureanu che la doppia materialità è il futuro della rendicontazione, completando la visione degli investitori sulla sostenibilità dei loro emittenti. Rappresenta la gamma totale di questioni di sostenibilità.

La direttiva europea si fonda sul principio del comply or explain: le imprese possono cioè non applicarne alcune disposizioni, purché ne forniscano le motivazioni. Possono inoltre omettere le informazioni la cui diffusione potrebbe comprometterne gravemente la loro posizione commerciale. L'obbligo di informativa (disclosure) si applica inoltre soltanto alle imprese quotate (ed anche a banche e assicurazioni non quotate) di grandi dimensioni. Ossia quelle che, oltre ad avere più di 500 dipendenti, abbiano patrimonio di 20 milioni di euro oppure abbiano registrato ricavi totali di 40 milioni di euro. Sulla correttezza informativa della reportistica non finanziaria vigila il collegio sindacale con un revisore esterno. Le informazioni da divulgare debbono sottostare al principio di materialità. La società deve cioè fornire soltanto quelle che considera rilevanti.
I temi sono innanzitutto quelli ambientali, sociali e riguardanti il personale, quelli riguardanti il rispetto dei diritti umani e del contrasto della corruzione attiva e passiva. Vanno inoltre indicate le politiche praticate e i risultati conseguiti nei vari ambiti tramite indicatori fondamentali di performance di carattere non finanziario. Sono inoltre richiesti specifici riferimenti all'impiego delle risorse energetiche, distinguendo quelle rinnovabili dalle altre, indicando la quantità di emissioni di gas a effetto serra e le emissioni di inquinanti in atmosfera prodotte dall'impresa. Presi in considerazione sono anche gli aspetti sociali e la gestione del personale e le azioni finalizzate a garantire la parità di genere e l'attuazione delle convenzioni internazionali in materia.

L'omesso deposito nei termini prescritti della relazione genera a carico degli amministratori una sanzione amministrativa pecuniaria da 20 a 100 mila euro. In caso di dichiarazione di carattere non finanziario depositata che contenga fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero oppure ometta fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 150.000 euro per gli amministratori e i componenti dell'organo di controllo.

Molte società danno informazioni che non sono considerate utili dai loro utilizzatori ed evitano di dare informazioni su aspetti che invece interessano gli stakeholder. Non solo. L'attuale incertezza spinge le società a sostenere costi di adeguamento che non sarebbero necessari se il quadro normativo fosse più chiaro. Chiarezza: quello che le istituzioni preposte stanno tentando di fare.
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Dal "capitalismo bruto" alla filantropia
La IFRS Foundation ha appena costituito un gruppo di lavoro chiamando a farvi parte lo Iosco (l'associazione internazionale delle authority sui mercati mobiliari) alcuni standard setter sulla sostenibilità (TCFD, Value Reporting Foundation) ma non il GRI né, tantomeno, l'EFRAG. L'organismo europeo, dal canto suo, ha già presentato 54 proposte operative e intende rilasciare i primi core topical standard già nel 2022, se riceverà l'investitura formale da parte della Commissione Europea. L'urgenza è imposta dal gran numero di regolamentazioni che l'Europa sta implementando sui temi della finanza sostenibile e che richiedono l'utilizzo di specifici standard di rendicontazione. I due progetti presentano significative differenze tra loro: più attento alle esigenze degli investitori globali e con un focus soprattutto sui fattori ambientali, quello della IFRS Foundation; maggiormente rivolto alla comunità degli stakeholder (dipendenti, consumatori, comunità locali) ed anche agli altri fattori ESG, quello di EFRAG.

Entrambi, però, si pongono lo stesso obiettivo, quello di integrare progressivamente le informazioni non finanziarie nei bilanci tradizionali delle imprese. Attualmente le regole di accounting catturano tutti gli elementi finanziari della vita aziendale rilevanti per le scelte degli investitori. La sostenibilità richiede, invece, una diversa “materialità” (significatività) con l'esplicitazione delle informazioni che hanno rilievo anche per le scelte degli stakeholder. Come fare per riunire in un unico set di norme questa “doppia materialità”? “Il punto di contatto tra i due mondi è rappresentato dagli intangibles - ha spiegato al Convegno il prof. Stefano Zambon, Segretario Generale di OIBR - che soprattutto nella digital economy rappresentano buona parte del valore delle imprese (riflesso nei loro prezzi di borsa) ma che attualmente non trovano posto nei bilanci ufficiali.

Proprio negli intangibles, in fondo, si esprime la reputazione dell'azienda anche per i suoi comportamenti nella sfera ambientale e sociale”. Il Convegno di OIBR è stata l'occasione anche per fare il punto sui progressi dell'economia green. Alessandro D'Eri (policy officer dell'Esma, l'authority europea dei mercati) ha detto che il mercato europeo dei green bond ha raggiunto i € 400 miliardi, con emissioni quasi raddoppiate nel corso del 2020. Nello stesso anno gli asset investiti nei fondi ESG hanno raggiunto, nel complesso, gli € 800 miliardi con un incremento del 55% rispetto al 2019. Tutto questo segnala il crescente interesse degli investitori per l'economia sostenibile. Ma non mancano le ombre, soprattutto nella sfera della corporate governance aziendale.

Livia Piermattei (Methodos), che conduce assieme alla Consob una ricerca annuale su come le problematiche della sostenibilità sono vissute all'interno delle imprese, ha lamentato una scarsa proattività dei manager su questi temi. Lo scorso anno soltanto 5 aziende, tra quelle che hanno presentato la dichiarazione sulle informazioni non finanziarie (DNF), hanno pienamente connesso i fattori ESG con il loro piano industriale. E guardando ai compensi dei manager - ha fatto presente Sandro Catani, direttore di Mercer Italia - se cresce il numero delle aziende che inseriscono i fattori ESG nei piani di remunerazione variabile, il peso di questi incentivi è modesto (tra il 10 ed il 15 per cento) e l'attenzione è dedicata al breve termine. A dispetto dell'orizzonte di lungo periodo che caratterizza i piani di sostenibilità.
Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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