Le controversie legali nate in seno al fintech

Nicola Dimitri
16.8.2022
Tempo di lettura: 3'
Nella blockchain, il contenzioso italiano è in uno stato embrionale. Le valutazioni vanno svolte caso per caso, ma dalle prime sentenze emerge che le norme sull’intermediazione finanziaria si applicano all’offerta al pubblico di bitcoin e che l'asset dovrebbe essere aggredibile dai creditori

L’intervista a Mariafrancesca De Leo e Bertone Biscaretti di Ruffìa, dello Studio Greenberg Traurig Santa Maria

In uno scenario in cui la tecnologia è diventata condizione e supporto irrinunciabile di ogni attività umana, non stupisce notare che l’industria del fintech – e con essa il fenomeno dei digital asset – sia entrata nel radar del mondo del diritto, sollevando implicazioni, in particolare, nell’ambito tributario e fiscale, immobiliare e successorio.

E invero, se l’attenzione dedicata è sempre molto alta, soprattutto in relazione all’applicazione della disciplina sovranazionale e domestica applicabile, nonché agli orientamenti delle Authority, non è così per quanto riguarda le ipotesi di controversie legate all’utilizzo di queste nuove tecnologie e nuovi modelli di business.

Ebbene, per fare luce su siffatta questione, We Wealth ha interpellato gli avvocati Mariafrancesca De Leo e Bertone Biscaretti di Ruffìa, rispettivamente partner e associate dello Studio Greenberg Traurig Santa Maria, esperti di contenzioso finanziario e regolatorio nonché energetico e tecnologico, con esperienza nella consulenza e assistenza a società fintech.

Partiamo dalle controversie. Qual è lo stato del contenzioso fintech in Italia oggi?

Dipende da quello a cui ci si riferisca con l’espressione fintech. Se si pensa, per esempio, all’utilizzo di strumenti elettronici e piattaforme online per l’erogazione di servizi bancari e finanziari in generale, si può dire che esiste un’ampia casistica e che si tratta di un settore ormai ben sviluppato.

Se invece ci si riferisce all’utilizzo di tecnologie più recenti, come la blockchain e le cripto attività, il contenzioso italiano è ancora in uno stato embrionale e le pronunce rilevanti sono poche. Un primo esempio è fornito da una sentenza del 2018 della Corte di Appello di Brescia che, pronunciandosi in senso negativo sulla possibilità di effettuare conferimenti societari in cripto-asset, ha tuttavia lasciato intendere che ogni valutazione in merito vada svolta caso per caso, risolvendosi in un accertamento di fatto delle caratteristiche proprie del bene digitale in questione. Anche la Corte di Cassazione Penale ha avuto modo di pronunciarsi in materia, confermando che le norme sull’intermediazione finanziaria si applicano all’offerta al pubblico di bitcoin. Peraltro, in entrambi i casi gli Ermellini hanno ritenuto determinanti le modalità concrete con le quali la vendita di token veniva reclamizzata e le finalità con le quali i bitcoin venivano acquistati, per cui non è escluso che in futuro, con riferimento a casi e asset differenti, la Corte possa giungere a conclusioni opposte. Di particolare interesse è una pronuncia del Tribunale di Firenze in merito a un grave ammanco di cripto asset facilitato da una falla nel sistema di gestione utilizzato da un exchange italiano. I giudici hanno qualificato l’asset in questione come un bene giuridico immateriale e fungibile, e il rapporto tra l’utente e il prestatore di servizi di portafoglio digitale co[1]me deposito irregolare. Queste poche pronunce forniscono soltanto alcune indicazioni su come potranno essere affrontate le numerose questioni giuridiche ancora aperte.


Gli asset digitali possono essere oggetto di esecuzione forzata? I creditori possono soddisfare le loro pretese aggredendoli? E quali sono le implicazioni legate alla tutela cautelare?

Anche su questi aspetti ci sono poche pronunce rilevanti e le incertezze sono molte. Come si è detto, l’orientamento prevalente porta a concludere che cripto-valute ed Nft possono essere considerati beni giuridici immateriali. In quanto tali, essi rientrerebbero nel novero delle cose che possono formare oggetto di diritti, ai sensi dell’art. 810 c.c. Inoltre, in almeno un’occasione la giurisprudenza ha di fatto confermato che le criptovalute possono rientrare tra quei beni con i quali il debitore è tenuto a rispondere delle proprie obbligazioni, cui fa riferimento l’art. 2740 c.c. Tutto ciò porta a ritenere che tali asset dovrebbero senz’altro essere aggredibili dai creditori mediante l’esecuzione forzata. Peraltro, il semplice fatto che si tratti di beni immateriali non dovrebbe, di per sé, essere considerato un ostacolo. Nell’ordinamento italiano, infatti, vi sono diversi esempi di beni immobili immateriali pignorabili. È il caso, ad esempio, delle azioni e delle quote societarie, dei crediti, anche immobiliari, e dei diritti di proprietà industriale. Ciò non toglie che vi siano diverse questioni interpretative e ragioni di ordine pratico che rendono l’esecuzione forzata su criptovalute e Nft, al momento, una strada molto complessa da percorrere, in alcuni casi con poche possibilità di successo. Un primo problema è quello della reperibilità del compendio pignorabile in assenza di collaborazione da parte del debitore. La questione si atteggia diversamente a seconda che gli asset siano custoditi su wallet cosiddetti non-custodial, e quindi siano tipicamente affidati a terzi quali le piattaforme di exchange, o siano, invece, conservati in wallet custodial, o hardware wallet, ossia su strumenti fisici in possesso del debitore che potrebbe facilmente tenerli nascosti. In entrambi i casi, può essere molto difficile scoprire se il proprio debitore detiene un patrimonio in Nft, o in bitcoin.

 

In conclusione, emergono, a vostro avviso, problemi legati alla giurisdizione, dunque sulla legge applicabile alle transazioni su blockchain in ipotesi di controversie internazionali?

La transizione di una parte sempre più rilevante della vita economica e sociale dal mondo fisico al web ha posto da tempo problemi rilevanti in materia di diritto internazionale privato. I temi della giurisdizione e della legge applicabile in un contesto che non conosce confini territoriali, come quello di internet, hanno creato diversi grattacapi a operatori e legislatori. Negli anni, sono state individuate diverse soluzioni e, pur con diversi gradi di certezza e ragionevolezza a seconda delle differenti materie e fattispecie, si può dire che vi siano ormai strumenti idonei per affrontare questi temi, soprattutto nell’ambito dell’Unione europea. L’avvento delle Dlt va calato in questo contesto ma è indubbio che ponga nuove sfide, alcune delle quali di difficile soluzione.

Redattore e coordinatore dell'area Fiscal & Legal di We Wealth. In precedenza ha lavorato nell'ambito del diritto tributario e della fiscalità internazionale presso primari studi legali

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