Ico, un nuovo caso diamanti da investimento?

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Le sempre più diffuse Ico, possono presentare profili di criticità circa il rispetto delle norme a tutela del pubblico risparmio e la mancanza di verifiche sul prodotto offerto, rappresenta per gli investitori un rischio di comprare token “fuffa”. La situazione ricorda il noto caso dei diamanti da investimento
Il continuo sorgere di nuove Ico (initial coin offering) sta assumendo dimensioni sempre più importanti, nel 2017 il totale dei fondi raccolti tramite Ico è stato di circa 7 miliardi di dollari, nel 2018 si sono superati gli 11 miliardi. L'Italia non ha ancora una legislazione in materia, per questo, per le Ico che vengono promosse anche nel Paese, vengono utilizzate società veicolo di paesi che invece lo hanno regolamentato, come Svizzera o Regno Unito e, in ultimo, San Marino che pochi giorni fa ha emanato il Decreto Delegato 27 febbraio 2019 n.37 “Norme sulla tecnologia blockchain per le imprese”.

Al lettore più attento non sarà sfuggita l'assonanza, non solo fonetica, con il più noto acronimo Ipo initial public offering o, in italiano, Opa, offerta di pubblico acquisto. In effetti molte sono le analogie tra l'immissione nel mercato di una nuova criptovaluta e un prodotto finanziario tradizionale soggetto a precisi iter autorizzativi a garanzia del pubblico risparmio. I “security token” conferiscono dei diritti connessi all'andamento del progetto sottostante all'Ico come forma di interessi o dividendi, hanno indiscutibilmente tutte le caratteristiche di un prodotto finanziario (security).

Più complesso è invece stabilire l'eventuale natura finanziaria di un “utility token”, che conferisce diritti di fruizione di un determinato servizio o bene che fa parte del progetto finanziato con i fondi raccolti nella Ico, in ragione del fatto che sempre più spesso vengono lanciate Ico mendiante token chiamati (da chi promuove la Ico) “utility” ma che in realtà nascondono securities e che quindi dovrebbero seguire l'iter autorizzativo previsto dagli artt. 94 e seguenti del D.lgs.24 febbraio1998 n.58 (Tuf).

Offrire al pubblico prodotti di natura finanziaria in violazione delle disposizioni del Tuf, comporta la reclusione fino ad otto anni (art.166). Preziose indicazioni in tal senso vengono fornite dalla Consob con la Delibera n.20207 del 2017, in particolare viene chiarito che un “investimento di natura finanziaria” implichi la compresenza di tre elementi: un impiego di capitale; un'aspettativa di rendimento di natura finanziaria; l'assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all'impiego di capitale.

La differenza che una categorizzazione quale security o utility abbia per un'Ico è cruciale: se dovesse essere considerata security dovrebbe attraversare un iter autorizzativo costoso e dall'esito incerto. Per tale ragione ormai quasi la totalità delle Ico ha ad oggetto l'emissione di “utility token”. Proviamo con un esempio ad inquadrare meglio la fattispecie: pensiamo ad una Ico volta a finanziare un progetto emettendo utility token. I sottoscrittori riceveranno dei token che consentiranno di fruire di determinati diritti (es. una scontistica) relativamente ai beni o servizi che rappresentano il sottostante della Ico.

Tale vestito potrebbe far propendere per la categorizzazione dei token in utilities, tuttavia bisogna valutare un fattore che rappresenta, a parere di chi scrive, il faro che deve illuminare una corretta opera interpretativa circa la natura dello strumento: il token e/o la cryptovaluta emessa è negoziabile in un mercato? E soprattutto, chi lo compra lo fa perchè è convinto di poterlo rivendere realizzando un profitto?

Se le risposte sono affermative poiché i token emessi possono essere venduti e comprati dal proprio wallet (indipendentemente dalla natura del sottostante) potremmo trovarci di fronte ad una security. Tale impostazione è anche in linea con l'orientamento della Finma e della Sec. Come afferma il Presidente della S.E.C. Jay Clayton: “Se funziona come una security allora è una security, indipendentemente dal nome”.

In conclusione appare evidente come molte delle Ico, indirizzate anche ai risparmiatori italiani, possano presentare profili di criticità circa il rispetto delle norme a tutela del pubblico risparmio: promuovere un Ico, sebbene fatta con una società veicolo di un paese terzo, mediante un sito in Italiano, convegni in Italia o altri mezzi comunque idonei, potrebbe configurare un reato se i token fossero da considerarsi securities per le ragioni descritte.

Inoltre, la mancanza di verifiche sul prodotto offerto, rappresenta per gli investitori un rischio di comprare token “fuffa”. La situazione ricorda il noto caso dei diamanti da investimento, anche lì la locuzione “da investimento” faceva presagire all'investitore di acquistare un prodotto finanziario che avesse già superato un vaglio da parte delle autorità di vigilanza, salvo scoprire che così non era e che aveva fatto un pessimo acquisto.

In questa fase di vacatio legis è necessario guardare ai provvedimenti dell'Autorità di Vigilanza e al contesto internazionale, dal momento che, verosimilmente, saranno un riferimento per la giurisprudenza che si formerà domani, quando la magistratura sarà chiamata a valutare le responsabilità civili e penali se qualcuno rimarrà con il cerino in mano.

 

A cura di Daniele Terranova, senior associate Studio Martinez&Novebaci

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