Fondi d’investimento extra-Ue: svolta sul fisco discriminatorio

I fondi di investimento mobiliari “extra-Ue” (diversi da fondi Ue armonizzati alla disciplina Ucits o alla disciplina dei “fondi di investimento alternativi”) sono soggetti in Italia ad un regime fiscale penalizzante e discriminatorio rispetto a quello applicabile ai fondi italiani ed europei.
In base alla normativa oggi in vigore, la penalizzazione opera su due livelli:
i) a livello di investimenti: mentre i fondi italiani ed europei sono esenti da imposta rispetto alla maggior parte dei redditi di fonte italiana, i fondi extra-Ue scontano nella maggior parte dei casi una tassazione in uscita “piena”, generalmente con l’aliquota ordinaria del 26% (salvo la possibilità di applicare la ridotta aliquota convenzionale);
ii) a livello di investitori persone fisiche: mentre i proventi derivanti da fondi italiani ed europei scontano una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26%, i proventi derivanti da fondi extra-Ue rientrano nella base imponibile Irpef (con una tassazione marginale pari a circa il 45% se si considera l’applicazione anche delle relative addizionali). La tassazione dei proventi derivanti dai fondi extra-Ue può inoltre essere aggravata dalla differente qualificazione che tali fondi hanno in base alla normativa estera – per effetto della quale sono spesso trattati come fiscalmente trasparenti – rispetto alla normativa italiana – che in ogni caso considera i fondi esteri come fiscalmente “opachi”. Tale differente qualificazione non consente generalmente di beneficiare dell’applicazione dei trattati sui proventi realizzati dal fondo né del credito d’imposta in Italia per gli investitori.
Il regime discriminatorio appena sintetizzato trova applicazione per qualsiasi fondo estero (mutual fund, hedge fund, fondi di private equity, ecc.), nonché per gli etf il cui investimento per un investitore italiano viene fiscalmente assimilato a quello in un fondo di investimento.
In tale contesto, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 21454 del 5 luglio 2022) potrebbe rappresentare un punto di svolta per i fondi di investimento extra-Ue. Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha infatti riconosciuto che l’applicazione di un regime fiscale discriminatorio nei confronti di fondi extra-Ue è contraria ai principi comunitari e in particolare al principio della libera circolazione dei capitali tutelato dal Trattato Ue. La sentenza ha ad oggetto la tassazione dei dividendi di fonte italiana percepiti da un mutual fund statunitense e fa riferimento al regime impositivo in vigore fino al 30 giugno 2011. I principi affermati dalla Corte hanno però una portata ben più ampia che mette sotto esame ogni discriminazione fiscale applicata nei confronti di fondi extra-Ue.
Occorre infatti ricordare che il principio di libera circolazione dei capitali vieta ai Paesi Ue di adottare norme fiscali che possano discriminare:
- investimenti di capitali in asset situati nel proprio Paese da parte di un investitore residente di un altro Paese, anche extra-Ue, rispetto ad un investitore residente nel proprio Paese;
- investitori del proprio Paese che decidono di effettuare investimenti di capitali in asset situati in altri Paesi, anche extra-Ue, rispetto ad assets comparabili situati nel proprio Paese. Affinché i principi comunitari siano applicabili è sostanzialmente necessaria la presenza di due condizioni.
Innanzitutto, i fondi extra-Ue devono essere comparabili ai fondi italiani (è necessario che le quote siano commercializzate nei confronti di una pluralità di investitori, il fondo abbia una politica di investimento predefinita, gli investitori non abbiano poteri gestori, esista una forma di vigilanza da parte di un’autorità pubblica). In secondo luogo, il fondo deve essere situato in un Paese che garantisce un adeguato scambio di informazioni con l’Italia.
(Articolo tratto dal magazine di settembre 2022)