Eredità. Quali strumenti a tutela dei creditori dell'erede?

5.8.2021
Tempo di lettura: 5'
È importante comprendere in che modo tutelare le ragioni del proprio credito nei confronti di un legittimario pretermesso o la cui quota di legittima sia stata lesa
La pretermissione amica rappresenta l’ipotesi in cui il testatore d’accordo con l’erede indebitato estromette dall’asse ereditario quest’ultimo al fine di preservare il patrimonio da possibili aggressioni di creditori
La pretermissione del legittimario o la lesione della sua quota di legittima, accompagnata all’inerzia di quest’ultimo a far valere i suoi diritti sull’eredità o, perfino, ad acquistare la qualità di erede, frustra inevitabilmente l’aspettativa dei creditori
Sovente accade che il testatore, al fine di proteggere il proprio patrimonio da aggressioni e pretese di terzi, venuto a conoscenza della posizione debitoria di un erede, riservi a quest'ultimo una quota della legittima inferiore rispetto a quella allo stesso spettante; o, addirittura, d'accordo con il legittimario, lo escluda completamente dall'asse ereditario; ponendo in essere la fattispecie che, proprio in ragione dell'accordo che intercorre tra legittimario e testatore, in dottrina è definita “pretermissione amica”.
È evidente che una simile circostanza determina, in linea teorica, dei pregiudizi nei confronti dei creditori. L'erede pretermesso o (appositamente) leso nella sua quota di legittima o, ancora, l'erede che rimane inerte rispetto ai suoi diritti di legittimario, frustra l'aspettativa dei creditori di soddisfare il proprio credito.
Ciò è vero soprattutto se il debitore (erede) è incapiente a livello personale e, quindi, se l'eredità rappresenta l'unico patrimonio aggredibile dal creditore; altrimenti detto, l'unico modo per vedere soddisfatte le pretese creditorie.
È bene chiarire che la situazione prospettata apre la strada a due interessi opposti ma parimenti meritevoli di tutela: da un lato, v'è l'interesse del testatore, il quale non solo è libero (in ragione della libertà testamentaria) di destinare il patrimonio nel modo che più ritiene opportuno, ma ha anche tutto il legittimo interesse a preservare il patrimonio accumulato in vita da potenziali aggressioni esercitate da soggetti terzi (cioè i creditori dell'erede debitore), che non vantano alcuna effettiva pretesa nei suoi confronti. Dall'altro lato, vi sono le ragioni dei creditori. Questi hanno il diritto di vedere soddisfatte le loro esigenze da parte dei debitori e hanno l'interesse a cercare gli strumenti più idonei ad aggirare gli ostacoli che il debitore pone nei loro confronti.
Alla luce di questo scenario, è importante comprendere in che misura e in quali circostanze il creditore del legittimario (leso, pretermesso o inerte), può esperire l'azione di riduzione in via surrogatoria.
Senza dubbio, per approfondire la questione occorre primariamente fare riferimento al corollario di norme (artt. 533 ss. cc.) che individuano lo strumento dell'azione di riduzione.
Si tratta di un'azione esercitabile dai legittimari che siano stati lesi nella loro porzione di quota legittima (vale a dire, quella porzione di eredità destinata necessariamente a determinati soggetti, per lo più strettissimi congiunti), per essere reintegrati nella parte ad essi spettante attraverso la riduzione delle disposizioni testamentarie (o donazioni) che, in quanto eccedenti, l'hanno compromessa.
In buona sostanza, l'azione di riduzione è uno strumento riconosciuto all'erede legittimario (coniuge, figli, ascendenti del de cuius) per rendere, in via di fatto, inefficaci le attribuzioni effettuate dal testatore che hanno compromesso la quota di legittima. Detto strumento, pertanto, permette di ridurre tutte le disposizioni lesive, fino a reintegrare il legittimario nella quota ad esso spettante.
È bene chiarire che la situazione prospettata apre la strada a due interessi opposti ma parimenti meritevoli di tutela: da un lato, v'è l'interesse del testatore, il quale non solo è libero (in ragione della libertà testamentaria) di destinare il patrimonio nel modo che più ritiene opportuno, ma ha anche tutto il legittimo interesse a preservare il patrimonio accumulato in vita da potenziali aggressioni esercitate da soggetti terzi (cioè i creditori dell'erede debitore), che non vantano alcuna effettiva pretesa nei suoi confronti. Dall'altro lato, vi sono le ragioni dei creditori. Questi hanno il diritto di vedere soddisfatte le loro esigenze da parte dei debitori e hanno l'interesse a cercare gli strumenti più idonei ad aggirare gli ostacoli che il debitore pone nei loro confronti.
Alla luce di questo scenario, è importante comprendere in che misura e in quali circostanze il creditore del legittimario (leso, pretermesso o inerte), può esperire l'azione di riduzione in via surrogatoria.
Senza dubbio, per approfondire la questione occorre primariamente fare riferimento al corollario di norme (artt. 533 ss. cc.) che individuano lo strumento dell'azione di riduzione.
Si tratta di un'azione esercitabile dai legittimari che siano stati lesi nella loro porzione di quota legittima (vale a dire, quella porzione di eredità destinata necessariamente a determinati soggetti, per lo più strettissimi congiunti), per essere reintegrati nella parte ad essi spettante attraverso la riduzione delle disposizioni testamentarie (o donazioni) che, in quanto eccedenti, l'hanno compromessa.
In buona sostanza, l'azione di riduzione è uno strumento riconosciuto all'erede legittimario (coniuge, figli, ascendenti del de cuius) per rendere, in via di fatto, inefficaci le attribuzioni effettuate dal testatore che hanno compromesso la quota di legittima. Detto strumento, pertanto, permette di ridurre tutte le disposizioni lesive, fino a reintegrare il legittimario nella quota ad esso spettante.
I soggetti che possono legittimamente esperire l'azione di riduzione, stando alla lettura della norma di cui all'art. 577 cc. sono i legittimari stessi, i loro eredi e gli aventi causa.
Ebbene, è necessario comprendere se i creditori dell'erede indebitato (e quindi scientemente pretermesso dal testatore per evitare l'aggressione dei beni) possono dirsi autorizzati - in quanto aventi causa dei legittimari - ad esercitare l'azione di riduzione in via surrogatoria. Dunque, in luogo del legittimario.
Il panorama giurisprudenziale sul punto è piuttosto confuso. In linea generale, però, si tende ad escludere il diritto dei creditori a surrogarsi all'erede per esercitare l'azione di riduzione, laddove la quota di legittima sia lesa e questo, ad esempio, non si attivi (rimane inerte) per reintegrarla, rinunciando ad esercitare l'azione di riduzione.
E invero, un importante arresto giurisprudenziale reso dalle Sezione Unite (con la sentenza 16623 del 2019) ha però recentemente riconosciuto al creditore del legittimario la possibilità di esercitare l'azione di riduzione (al posto del legittimario inerte) nei limiti di quanto necessario per soddisfare le proprie ragioni creditorie: dunque, è consentito ai creditori di recuperare, mediante l'azione di riduzione, la pars bonorum sufficiente a soddisfare le proprie ragioni.
In questi termini, la Cassazione - ragionando per analogia rispetto all'art. 524 c.c. - riconosce una efficacia forma di tutela a favore dei creditori del legittimario pretermesso, i quali potranno soddisfarsi sui beni del de cuius fino alla concorrenza del proprio credito.
In conclusione, si può affermare che il creditore può sostituirsi al proprio debitore nell'esercizio dell'azione di riduzione, al fine di salvaguardare il proprio credito e nei limiti di quanto gli spetta.
Ebbene, è necessario comprendere se i creditori dell'erede indebitato (e quindi scientemente pretermesso dal testatore per evitare l'aggressione dei beni) possono dirsi autorizzati - in quanto aventi causa dei legittimari - ad esercitare l'azione di riduzione in via surrogatoria. Dunque, in luogo del legittimario.
Il panorama giurisprudenziale sul punto è piuttosto confuso. In linea generale, però, si tende ad escludere il diritto dei creditori a surrogarsi all'erede per esercitare l'azione di riduzione, laddove la quota di legittima sia lesa e questo, ad esempio, non si attivi (rimane inerte) per reintegrarla, rinunciando ad esercitare l'azione di riduzione.
E invero, un importante arresto giurisprudenziale reso dalle Sezione Unite (con la sentenza 16623 del 2019) ha però recentemente riconosciuto al creditore del legittimario la possibilità di esercitare l'azione di riduzione (al posto del legittimario inerte) nei limiti di quanto necessario per soddisfare le proprie ragioni creditorie: dunque, è consentito ai creditori di recuperare, mediante l'azione di riduzione, la pars bonorum sufficiente a soddisfare le proprie ragioni.
In questi termini, la Cassazione - ragionando per analogia rispetto all'art. 524 c.c. - riconosce una efficacia forma di tutela a favore dei creditori del legittimario pretermesso, i quali potranno soddisfarsi sui beni del de cuius fino alla concorrenza del proprio credito.
In conclusione, si può affermare che il creditore può sostituirsi al proprio debitore nell'esercizio dell'azione di riduzione, al fine di salvaguardare il proprio credito e nei limiti di quanto gli spetta.