Crisi e imposizioni nel settore energetico

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Il sistema delle accise è al centro di un confronto, in quanto sempre più orientato a criteri di tassazione “ambientale” al fine di incentivare la transazione energetica e tecnologica verso prodotti meno inquinanti
Ne sentiamo parlare da tempo, tanto con riguardo all'imposizione sui prodotti energetici quanto quelli petroliferi.

Tale settore impositivo si caratterizza per una tassazione indiretta che colpisce la fabbricazione e la vendita di particolari categorie di beni di consumo, nonché la loro importazione nel territorio dello Stato, in base alla quantità e non al valore.

Le accise sono, dunque, un tributo ad elevato gettito e di facile incasso, che ha trovato applicazione sin dal medioevo: inizialmente le accise servivano per finanziare le guerre dei regnanti europei, colpendo soprattutto i generi alimentari.

A seguito del processo di industrializzazione, le accise hanno continuato a gravare su molti prodotti con lo scopo di finanziare perlopiù esigenze dello Stato, anche improvvise o di crisi (come calamità naturali, etc.), nonché, oggi, anche di tutela ambientale, fino a diventare un elemento strutturale e fondante del gettito erariale.

Non si tratta di un tributo presente solo nel nostro Stato: l'accisa è una imposta armonizzata a livello europeo, in quanto l'avvento del mercato unico ha comportato l'introduzione di una disciplina unitaria tra i vari Paesi Ue al fine di evitare delle differenziazioni eccessive che potessero distorcere e alterare il libero commercio.

Ad oggi, il sistema delle accise è al centro di un confronto, in quanto sempre più orientato a criteri di tassazione “ambientale” al fine di incentivare la transazione energetica e tecnologica verso prodotti meno inquinanti.

Per comprendere la rilevanza del fenomeno in termini di gettito per lo Stato, le accise sui prodotti energetici e petroliferi hanno portato nello Stato italiano nel periodo dal 2014 al 2019, circa 30 miliardi di Euro all'anno, importo sceso nel 2020 a circa 27 miliardi di Euro a causa della pandemia e in crescita nel corso del 2021.

Considerata l'attuale situazione di crisi economica, dovuta certamente al perdurare della pandemia e delle tensioni geopolitiche, il legislatore è intervenuto cercando di calmierare gli aumenti della materia prima.

Se inizialmente detto intervento era limitato al gas metano, mediante una riduzione dell'Iva al 5% e degli oneri di sistema incidenti sul consumo, con il d.l. n. 38/2022, il Governo ha dettato delle “Disposizioni in materia di accisa e di Iva sui carburanti”, confermando la riduzione dell'aliquota d'accisa per i prodotti petroliferi (benzina, diesel e gas naturale per autotrazione) e prevedendo ulteriori riduzioni anche con riferimento all'Iva incidente sul gpl.

Con riferimento a detti ultimi prodotti, la problematica principale è dovuta non solo all'incremento eccezionale dei prezzi delle materie prima, ma anche il fatto che l'imposizione su detti prodotti risulta essere del tutto sproporzionata.

L'accisa che grava unitariamente sul prodotto finale è l'insieme di una sommatoria di “singole” voci che sono state introdotte nei vari anni: ad esempio, le accise sono state man mano incrementate per finanziare la spesa pubblica, tra cui si ricorda l'accisa per supportare il c.d. Decreto salva Italia e quella per il c.d. Decreto del fare.
Il peso dell'imposizione è molto rilevante: il totale dell'accisa, unita all'Iva, sui carburanti arriva a circa il 60% del prezzo finale. Non si tratta, comunque, di un caso isolato a livello italiano: l'imposizione dei prodotti energetici e dei petroli, proprio per via della natura armonizzata dell'accisa, è pressoché simile in tutta Europa. Si pensi che i Paesi Bassi hanno un'accisa di Euro 0,79 centesimi/litro per la benzina, mentre la Francia prevede un tributo di Euro 0,68 centesimi/litro.

La problematica principale è l'incidenza, tanto delle accise, quanto dell'Iva sul medesimo prodotto: l'Iva trova applicazione anche sulle accise, determinando un effetto esponenziale del prezzo finale del carburante.

L'attuale situazione economica e geopolitica, però, può essere uno spunto per una riforma organica (anche a livello europeo) del settore posto che le misure attuali adottate dal Governo appaiono essere del tutto temporanee e, dunque, limitate e in contrasto con gli obiettivi climatici unionali da realizzare entro il 2030 e il 2050.

Ed invero, il Green Deal europeo impone una importante trasformazione per gli Stati membri che dovranno, entro il 2030, ridurre le emissioni di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, ed entro il 2050, realizzare l'impatto climatico zero.

Insomma, detti obiettivi potranno essere raggiunti solo tramite una riforma compiuta e organica della tassazione energetica, che dovrà portare tanto alla riduzione delle emissioni, quanto al superamento della povertà energetica europea che impone l'approvvigionamento estero di materie prime.

Il momento, dunque, è più che mai opportuno per adottare non tanto delle misure limitate nel tempo che appaiono essere inefficaci in un'ottica di lungo periodo, quanto per costruire un'economia più competitiva ed efficiente sotto il profilo delle risorse utilizzando la leva fiscale in maniera strutturale per agevolare la transizione energetica e per superare l'attuale crisi.
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Laureato in giurisprudenza presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con tesi sull’armonizzazione fiscale europea, ha conseguito il diploma di Master in diritto tributario a pieni voti presso la medesima Università e il Dottorato di ricerca in diritto tributario – business & law presso l’Università degli studi di Brescia e Bergamo.

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