Convivenza, quali regimi patrimoniali applicare?

30.10.2018
Tempo di lettura: 3'
Solo in caso di convivenza registrata si può scegliere la comunione dei beni; altrimenti valgono le regole di diritto comune. La scelta della separazione dei beni è opinabile e, comunque, inopponibile ai terzi
La tanto attesa Legge sulle unioni civili ha anche regolamentato le convivenze che nel percepito collettivo venivano, e vengono tuttora, identificate con le ormai note e sempre più numerose famiglie di fatto.
Per l'art. 29 della nostra Costituzione, tuttavia, esiste ancora un'unica famiglia, ossia quella legittima fondata sul matrimonio, ragion per cui, ogni altro nucleo trova una tutela residuale nelle formazioni sociali di cui all'art.2 della Costituzione, tant'è che nel recente dettato normativo non si trova espressamente il termine "famiglia” ma si trovano le parole "nucleo familiare" (cfr.comma 45).
Ciò spiega perché al convivente non sono stati riconosciuti tutti quei diritti che, viceversa, ci si attendeva e che, per contro, rimangono solo riservati al matrimonio o alle unioni civili. E dire che sono stati diversi i provvedimenti che, nel corso del secolo scorso, hanno cercato di riconoscere comunque una tutela a queste situazioni di fatto, anche perché, in realtà, negli ultimi anni le famiglie di fatto sono cresciute sempre di più e stanno diventando sempre più numerose: si parla di oltre 1.500.000, a partire dalle nuove coppie che decidono di non sposarsi, passando per quelle che si formano a seguito dello scioglimento del matrimonio, fino ad arrivare a quelle che si formano nella fase di coesistenza di entrambe le "famiglie" legittime e di fatto, o allargate, perché non è ancora intervenuto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale (queste ultime, peraltro, non possono trovare tutela nella recente legge per l'esistenza ancora del matrimonio o dell'unione civile).
Ebbene, anche sul regime patrimoniale fra conviventi, si è persa sicuramente un'occasione di tutela verso l'auspicata equiparazione allo status di coniuge, in quanto la legge sembra accordare un unico regime, quello della comunione dei beni, come unica convenzione adottabile, escludendo, almeno nelle prime interpretazioni, la scelta di un regime diverso, come quello della separazione dei beni. Questo vale comunque solo per le convivenze registrate che abbiano anche sottoscritto un contratto di convivenza: solo in questo caso, infatti, si può scegliere il regime della comunione dei beni (non invece quello della separazione come avviene invece nel vincolo matrimoniale, dove se non si opta per la separazione dei beni, vige il regime legale della comunione).
Diversamente, in caso di convivenza registrata, se non viene scelto il regime della comunione dei beni, si applicheranno le normali regole di diritto comune oppure eventualmente la comunione ordinaria attraverso l'intestazione del bene a più persone. Un esempio: se il convivente acquista personalmente un bene, nel caso in cui abbia scelto il regime della comunione il bene è da considerarsi in comproprietà per legge (come nel matrimonio), altrimenti il bene è da considerarsi solo suo (proprietà esclusiva).
A prescindere da ciò, è stato osservato che il contratto di convivenza tipico potrà avere anche un contenuto più ampio, ma tutto ciò che uscirebbe dall'alveo dell'art 1 comma 53 lettera c della legge 76/2016, rientrerebbe nei contratti atipici da assoggettare al giudizio di meritevolezza degli interessi da tutelare, nonché all'efficacia meramente interna del contratto stesso, ossia soltanto fra conviventi e non rispetto ai terzi.
In conclusione, da parte del consulente sarà importante far capire ai propri clienti che la convivenza registrata può consentire di redigere un contratto di convivenza con facoltà di scegliere, o meno, il regime della sola comunione dei beni, restando ogni altro accordo di natura patrimoniale valido soltanto se meritevole di tutela, con effetti meramente interni (ossia tra conviventi), perché non opponibile ai terzi.
In ultimo, sarà necessario che tale regime della comunione dei beni, analogamente a come avviene espresso nel certificato di matrimonio, venga menzionato anche nel certificato di convivenza di fatto, perché se da un lato appare pacifico che da questo documento risulti la registrazione della convivenza e l'eventuale sottoscrizione di un contratto di convivenza, dall'altro lato non risulta ancora pacifica la menzione del regime patrimoniale scelto dai conviventi, il che renderebbe incerta, per esempio, agli eventuali creditori o contraenti di uno dei conviventi, la comproprietà dell'altro per i beni acquistati successivamente alla conclusione del contratto di convivenza.
A cura di Francesco Frigieri, avvocato dello studio Frigieri&Partners
Per l'art. 29 della nostra Costituzione, tuttavia, esiste ancora un'unica famiglia, ossia quella legittima fondata sul matrimonio, ragion per cui, ogni altro nucleo trova una tutela residuale nelle formazioni sociali di cui all'art.2 della Costituzione, tant'è che nel recente dettato normativo non si trova espressamente il termine "famiglia” ma si trovano le parole "nucleo familiare" (cfr.comma 45).
Ciò spiega perché al convivente non sono stati riconosciuti tutti quei diritti che, viceversa, ci si attendeva e che, per contro, rimangono solo riservati al matrimonio o alle unioni civili. E dire che sono stati diversi i provvedimenti che, nel corso del secolo scorso, hanno cercato di riconoscere comunque una tutela a queste situazioni di fatto, anche perché, in realtà, negli ultimi anni le famiglie di fatto sono cresciute sempre di più e stanno diventando sempre più numerose: si parla di oltre 1.500.000, a partire dalle nuove coppie che decidono di non sposarsi, passando per quelle che si formano a seguito dello scioglimento del matrimonio, fino ad arrivare a quelle che si formano nella fase di coesistenza di entrambe le "famiglie" legittime e di fatto, o allargate, perché non è ancora intervenuto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale (queste ultime, peraltro, non possono trovare tutela nella recente legge per l'esistenza ancora del matrimonio o dell'unione civile).
Ebbene, anche sul regime patrimoniale fra conviventi, si è persa sicuramente un'occasione di tutela verso l'auspicata equiparazione allo status di coniuge, in quanto la legge sembra accordare un unico regime, quello della comunione dei beni, come unica convenzione adottabile, escludendo, almeno nelle prime interpretazioni, la scelta di un regime diverso, come quello della separazione dei beni. Questo vale comunque solo per le convivenze registrate che abbiano anche sottoscritto un contratto di convivenza: solo in questo caso, infatti, si può scegliere il regime della comunione dei beni (non invece quello della separazione come avviene invece nel vincolo matrimoniale, dove se non si opta per la separazione dei beni, vige il regime legale della comunione).
Diversamente, in caso di convivenza registrata, se non viene scelto il regime della comunione dei beni, si applicheranno le normali regole di diritto comune oppure eventualmente la comunione ordinaria attraverso l'intestazione del bene a più persone. Un esempio: se il convivente acquista personalmente un bene, nel caso in cui abbia scelto il regime della comunione il bene è da considerarsi in comproprietà per legge (come nel matrimonio), altrimenti il bene è da considerarsi solo suo (proprietà esclusiva).
A prescindere da ciò, è stato osservato che il contratto di convivenza tipico potrà avere anche un contenuto più ampio, ma tutto ciò che uscirebbe dall'alveo dell'art 1 comma 53 lettera c della legge 76/2016, rientrerebbe nei contratti atipici da assoggettare al giudizio di meritevolezza degli interessi da tutelare, nonché all'efficacia meramente interna del contratto stesso, ossia soltanto fra conviventi e non rispetto ai terzi.
In conclusione, da parte del consulente sarà importante far capire ai propri clienti che la convivenza registrata può consentire di redigere un contratto di convivenza con facoltà di scegliere, o meno, il regime della sola comunione dei beni, restando ogni altro accordo di natura patrimoniale valido soltanto se meritevole di tutela, con effetti meramente interni (ossia tra conviventi), perché non opponibile ai terzi.
In ultimo, sarà necessario che tale regime della comunione dei beni, analogamente a come avviene espresso nel certificato di matrimonio, venga menzionato anche nel certificato di convivenza di fatto, perché se da un lato appare pacifico che da questo documento risulti la registrazione della convivenza e l'eventuale sottoscrizione di un contratto di convivenza, dall'altro lato non risulta ancora pacifica la menzione del regime patrimoniale scelto dai conviventi, il che renderebbe incerta, per esempio, agli eventuali creditori o contraenti di uno dei conviventi, la comproprietà dell'altro per i beni acquistati successivamente alla conclusione del contratto di convivenza.
A cura di Francesco Frigieri, avvocato dello studio Frigieri&Partners