Contratti d'investimento finanziario: quando la causa è illecita

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La causa è uno dei requisiti dei contratti ed è quindi una componente dell'esplicazione dell'autonomia delle parti. Nei contratti di investimento finanziario essa assicura che l'intermediario assolva in modo completo al proprio ruolo a tutela del cliente
Negli investimenti finanziari, la determinazione dei rischi e delle categorie di investimento, da un lato, e dall'altro dell'entità delle commissioni a favore dell'intermediario, è rimessa all'autonomia delle parti. Non vi è differenza rispetto ai contratti in generale, con intervento tale da rendere effettiva l'autonomia anche del risparmiatore, proprio sul profilo di rischio e sulla sua attuazione pratica.
Ma così si coglie solo una metà del cielo: si rinunzia a comprendere che l'effettività dell'autonomia del risparmiatore porta necessariamente a un'incisione profonda sulla causa contrattuale.

È pertanto erronea l'impostazione, fatta propria dalla Cassazione da oltre 15 anni, di circoscrivere la nullità contrattuale ai casi ordinari dei contratti in generale.
Si è visto nei precedenti scritti, che la nullità del contratto per illiceità della causa, si verifica in due casi, di ordine potenzialmente generale:

a) quando le possibilità reddituali previste in contratto sono impossibili perché i rendimenti attesi sono non in linea con gli andamenti dei mercati – investimenti obbligazionari e monetari in fasi, pressoché costanti, di tassi in discesa; ci si riferisce alle possibilità reddituali attese e non a quelle nel concreto ottenute, in quanto queste ultime dipendono dalle alee dei mercati, mentre le prime attengono all'idoneità del servizio prestato a far conseguire al risparmiatore il risultato divisato in contratto;
b) quando il nesso rischi-rendimenti è sperequato in modo abnorme a danno del risparmiatore, o comunque è proprio di uno speculatore, mentre invece il contratto è presentato come da risparmio.

I contratti sono in questi casi nulli ed è inammissibile l'offerta pubblica ai risparmiatori con essi attuata.
Non vi è intervento sulla congruità dello scambio, rimessa alle sole parti, in quanto si tratta all'esatto contrario di assicurare che i contenuti dello scambio siano conformi all'offerta pubblica rivolta ai risparmiatori, la quale trasforma l'essenza dei contratti.

Si può così trarre la regola generale: i contratti di investimento finanziario richiedono necessariamente l'imperatività della causa, intesa come funzione economico-sociale obiettiva – non solo astratta, ma anche - concreta, resa imperativa e non disponibile dalle parti: l'imperatività della causa è normale nei contratti ordinari, ma solo in termini negativi – vale a dire di sua nullità quale improduttività di effetti (artt. 1343 e 1418, c.c.).

Qui l'imperatività di traduce - in termini non solo negativi - nella realizzazione necessaria della funzione economico-sociale oggettiva concreta del contratto, vale a dire dell'operazione di investimento a partire da come è stata proposta, ma emendata degli aspetti illeciti.

In termini tecnico-giuridici, vi è una nullità parziale della causa, con sostituzione imperativa della parte nulla con clausole ricavabili dalla normativa (art. 1339 c.c., art. 1419 c.c.).
In termini di teoria generale del diritto, poiché la nullità parziale con sostituzione imperativa di clausole non è certamente esclusa dal codice civile nemmeno in relazione alla causa, ma è certamente innovativa e atipica, in quanto la funzione economico-sociale concreta assume in sé il contratto nella sua totalità, con scarsa propensione alla scomposizione, è evidente che con essa si realizza una rivoluzione copernicana dell'autonomia privata, con l'ordinamento che seleziona gli interessi non solo inibendo quelli illeciti ma realizzando un'ortopedia sugli interessi iniziali che hanno spinto le parti a stipulare il contratto, con innesto di altri interessi e conformando e modificando quelli iniziali.

Con tale ortopedia, l'ordinamento seleziona con grande accuratezza e con grande opera di valutazione e di verifica gli interessi delle parti, ma non si ferma qui, vale a dire a respingere gli interessi inibiti, bensì va (molto) oltre, effettuando tale selezione in modo creativo, in modo da modificarli anche in via radicale, vale a dire fino ad alterarli.

Le parti sono libere esclusivamente nell'individuare gli interessi che azionano il loro operato, inducendoli alla conclusione del contratto, ma la determinazione del contenuto viene rimessa alla loro autonomia solo parzialmente, con un'ortopedia vera e propria sugli interessi relativi al contenuto (del contratto).
Il vero è che il risparmio, quando non consiste in depositi, è destinato agli investimenti, con l'intermediario che è vincolato, una volta che pone in essere un'offerta pubblica di servizio di investimento, a portarla a compimento.
L'intervento sui contenuti non lede l'autonomia dei privati, ma la esalta ponendola in condizione di essere effettiva, eliminando gli ostacoli a una sua compiuta realizzazione.

L'intermediario di investimento non è penalizzato nella propria imprenditorialità, che al contrario è valorizzata al massimo in termini di natura ottimale della selezione degli investimenti finanziari da proporre al cliente e di emersione delle scelte di investimento del cliente stesso.

Non si incide sulle valutazioni di convenienza imprenditoriale dell'intermediario (si rispetta così il principio fondamentale che sono rimesse all'autonomia delle parti “la determinazione dell'oggetto del contratto”, e “l'adeguatezza dei corrispettivi dei beni e dei servizi”, art. 34, I comma, d.lgs. n. 206/2005, “Codice del consumo”), ma si finalizza e così si funzionalizza l'attività imprenditoriale a tale selezione ed emersione, inibendo profili incompatibili o anche autonomi, i quali la farebbero deviare dai binari retti e renderebbero il risparmio rimesso all'arbitrio degli operatori professionali.

In conclusione, la causa è uno dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.) ed è quindi una componente dell'esplicazione dell'autonomia delle parti: con l'intervento ortopedico su di essa, come enucleato nelle presenti note, non si corre il rischio di trasferirla dal piano dell'autonomia a quello dell'ordinamento e così dell'azione dello Stato nell'economia.

E infatti, la funzione economico sociale concreta è la quintessenza dell'autonomia delle parti, nel rispetto del loro ruolo e della loro funzione. E l'ortopedia sopra vista attiene proprio a tale rispetto. Non si vincola l'attività di impresa a ragioni sociali estranee a essa, ma si impone il rispetto del suo ruolo nel meccanismo produttivo.

Il contratto è visto quale momento essenziale dello statuto dell'impresa e della sua attività e deve rivelarsi con essi compatibile.
La causa, quale ragion d'essere dell'autonomia contrattuale, assicura la rispondenza dei singoli contratti al ruolo imprenditoriale dell'intermediario e al suo statuto.

Il passaggio da un intervento solo in negativo sugli interessi delle parti e sull'assetto divisato in contratto a uno in positivo e così ortopedico scatta, evidentemente, ogniqualvolta l'attività imprenditoriale presenta l'autonomia solo nei mezzi e non nei fini, propri - in via esclusiva - della controparte. La linea di demarcazione è rappresentata non tanto dall'esistenza di un rapporto di cooperazione, proprio del mandato e più in generale degli atti gestori “tout court”, il quale obbligherebbe l'intermediario/gestore a perseguire l'interesse della controparte, non ponendosi solo in termini contrapposti: si tratta, infatti, di un criterio generico che non investe il grado e il livello di cooperazione.

La vera linea di discrimine è rappresentata dal vincolo di strumentalità dell'attività d'impresa alle esigenze proprie del settore economico della controparte, in questo caso il risparmio, per cui l'intermediazione finanziaria ha ragion d'essere solo se alimenta in termini ottimali il risparmio.
Il risparmio è come visto il caso tipico e anzi per eccellenza di tale situazione, ma assolutamente non esaustivo.
Non si può escludere l'applicazione - anche se in maniera meno accentuata - del principio anche ad altri settori, da individuare con gli stessi criteri.
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Laureato in Giurisprudenza presso l’università degli Studi di Roma, dal 2010 è professore a contratto di diritto degli Intermediari finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma. Da maggio 2000 svolge la professione di avvocato a Milano ed è fondatore dello studio
legale Bochicchio&Partners, con un’ampia specializzazione che contempla, tra gli alti, il settore bancario, finanziario e dell’intermediazione mobiliare, i profili societari e giuslavoristici, contemplando anche i profili penalistici del diritto dei mercati finanziari e del diritto societario.

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