Con Mifid2 la reverse solicitation trova la prima disciplina positiva

Luca Zitiello
Luca Zitiello
28.4.2019
Tempo di lettura: 5'
La direttiva europea per la prima volta stabilisce cosa non rappresenta prestazione di servizi all'estero. Nel recepirla in Italia, il legislatore ha obbligato gli intermediari non europei a dotarsi di una stabile organizzazione per prestare servizi di investimento nel nostro paese
La Mifid2 conferma la valenza del principio portante del c.d. passaporto europeo secondo cui un intermediario autorizzato nel proprio Paese di origine può prestare servizi di investimento negli altri Stati membri senza bisogno di ulteriore autorizzazione, ma con un semplice regime di comunicazione preventiva. Come noto, un intermediario può svolgere attività in un Paese terzo secondo due modalità: in libera prestazione di servizi oppure con una stabile organizzazione.

La Direttiva innova invece con riferimento agli intermediari extracomunitari dettando per la prima volta una disciplina europea sulle modalità di svolgimento delle attività e sulle autorizzazioni richieste. La Mifid2 in linea generale consente agli intermediari non europei di prestare servizi di investimento a favore di clienti al dettaglio o professionali su richiesta residenti negli Stati membri sia in regime di stabile organizzazione che in libera prestazione di servizi, lasciando agli Stati la facoltà di richiedere il requisito obbligatorio della branch. Il legislatore italiano ha recepito sul punto la Mifid2 in modo restrittivo e, se vogliamo, in qualche modo protezionistico. Nel decreto di recepimento, infatti, si è disposto che gli intermediari non europei, che intendano prestare servizi di investimento sul territorio italiano a clientela al dettaglio o professionali su richiesta, debbano necessariamente farlo in stabile organizzazione, istituendo una branch così che rimane loro preclusa in questo caso l'attività transfrontaliera in libera prestazione di servizi.

L'ulteriore rilevante novità è che la Direttiva, a fianco delle regole di esercizio transfrontaliero delle attività, si è preoccupata per la prima volta di disciplinare cosa non rappresenti prestazione di servizi all'estero.

Al considerando 111 prevede che resta impregiudicata la possibilitĂ  che persone residenti nell'Unione europea, su loro esclusiva iniziativa, ricevano servizi di investimento da parte di imprese di paesi terzi. In tal caso i servizi non dovrebbero essere considerati prestati nel territorio dell'Unione. Di converso, se un'impresa di un paese terzo cerca di procurarsi clienti o potenziali clienti nell'Unione o promuove o pubblicizza nell'Unione servizi di investimento, gli stessi non dovrebbero essere considerati come prestati su iniziativa . esclusiva del cliente.

Si norma così per la prima volta il principio della c.d. reverse inquiry o reverse solicitation che fino ad ora risiedeva esclusivamente nelle interpretazioni delle Autorità di Vigilanza, della dottrina o nelle pronunce giurisprudenziali. In particolare, l'art. 42 della Mifid2 prevede che, quando un cliente al dettaglio o professionale su richiesta residente in uno Stato membro avvia di propria iniziativa esclusiva la prestazione di un servizio di investimento da parte di un intermediario non comunitario, tale servizio non è soggetto al regime di autorizzazione previsto nel Paese di residenza del cliente. Allo stesso tempo di chiarisce che l'iniziativa di tali clienti non dà diritto all'intermediario non comunitario di commercializzare nuove categorie di prodotti o servizi di investimento ai clienti in questione se non previo stabilimento di una propria succursale che riceva previa autorizzazione dallo Stato ospitante.

Ne deriva che la valenza del principio della reverse solicitation è basata sull'inversione dei flussi ed è subordinata all'esistenza di una volontà genuina del cliente di avvalersi di un intermediario terzo, all'assenza di ogni attività promozionale o comunque di ricerca dei clienti sul territorio dello Stato membro da parte di quest'ultimo, fermo restando che, anche in caso di sua corretta attuazione, la stessa non consente di offrire al cliente acquisito nuovi prodotti o servizi sul territorio del Paese ospitante. La nuova disciplina positiva, introducendo imprescindibili elementi di chiarezza in ambito definitorio, ha il pregio di definire l'ambito operativo di questa pratica consolidatasi nel tempo. Naturale conseguenza sarà la necessità di una rivisitazione dei modelli operativi.

Ciò è ancora più importante se si considera che la prestazione di servizi di investimento senza autorizzazione su un territorio di un Paese membro integra il reato di abusivismo, punito severamente dal Tuf con la pena della reclusione sino a otto anni. La questione poi acquista ancora maggiore rilevanza con Brexit nello scenario dove intermediari residenti nel Regno Unito verranno plausibilmente trattati al pari di quelli non comunitari con applicazione quindi della medesima disciplina e degli stessi limiti operativi.
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Si è laureato con lode in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze. Nel 2006, ha fondato Zitiello Associati, studio specializzato nel diritto del mercato finanziario, bancario ed assicurativo.
Membro del Collegio dei Probiviri in AIPB, Assosim, Assofiduciaria ed Assilea, Luca Zitiello è iscritto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del Foro di Milano e ammesso a patrocinare di fronte alla Suprema Corte di Cassazione.

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