Bollo su rendicontazioni: applicabile alla clientela estera?

19.7.2019
Tempo di lettura: 3'
L'imposta di bollo si applica se le comunicazioni sono “formate nello Stato”. Ma cosa succede se i clienti non risiedono in Italia?
Per gli operatori bancari, finanziari e assicurativi operanti in Italia tra le tematiche fiscali di concreto interesse meritevoli di approfondimento vi è l'imposta di bollo prevista sulle comunicazioni periodiche relative a prodotti finanziari inviate alla clientela. Nonostante si tratti di adempimenti teoricamente di “ordinaria amministrazione”, la disciplina tributaria in oggetto presenta profili applicativi non chiari, specie quando ci si trova a operare con una clientela internazionale. Diviene quindi importante, in questo caso tutt'altro che infrequente, delimitare con precisione gli obblighi fiscali degli operatori nonostante l'incertezza delle disposizioni normative.
Come noto, l'imposta in oggetto (2 per mille, con il limite di 14mila euro annui per i soggetti diversi dalle persone fisiche) si applica se le comunicazioni sono “formate nello Stato”. Inoltre, a seguito delle ultime modifiche normative intervenute sul Dpr n. 642/1972 (con i decreti legge n. 201/2011 e 16/2012), le comunicazioni si considerano in ogni caso inviate, per presunzione legale, almeno una volta all'anno. La disciplina presenta quindi evidenti criticità nell'individuazione del presupposto di localizzazione del tributo: la formazione del documento in Italia non è pacificamente configurabile quando uno dei soggetti del rapporto finanziario sia estero e, per di più, la comunicazione sia solo virtuale.
Tuttavia, ritenere che le comunicazioni siano “formate nello Stato” solo in quanto inviate da un operatore italiano, anche quando esse siano indirizzate a clienti non residenti in Italia, pare contrastare con il fatto che il bollo nelle riforme stia progressivamente acquisendo le caratteristiche di imposta patrimoniale, commisurata al valore dei prodotti finanziari detenuti dai clienti, proprio perché prescinde da ogni profilo documentale ed è oggi applicata anche a comunicazioni virtuali o presunte. A ben vedere, infatti, l'imposta appare oggi rivolta alla tassazione, più che di atti e documenti “formati” in Italia, della ricchezza finanziaria detenuta in Italia da parte di soggetti residenti. Detta interpretazione sembrerebbe avvalorata dalla complementarietà sussistente tra l'imposta di bollo e l'Ivafe, che ha acclaratamente natura patrimoniale e incide solo su soggetti residenti in Italia: sui prodotti detenuti in Italia da soggetti residenti si applica il bollo, sui prodotti esteri detenuti all'estero da soggetti residenti, che “sfuggirebbero” al bollo, si applica l'Ivafe.
Tenuto conto della tendente natura patrimoniale del bollo parrebbe più ragionevole individuare il luogo di formazione delle comunicazioni in quello di residenza dei clienti, ritenendo tassabili solo le comunicazioni alla clientela residente in Italia relative a prodotti finanziari emessi da soggetti residenti o, se emessi all'estero, detenuti presso intermediari residenti, ossia in fattispecie nelle quali la residenza del cliente è un collegamento con l'Italia sufficiente a giustificare un prelievo patrimoniale.
Tale soluzione interpretativa, ragionevole sul piano sistematico (e coerente con la logica di attrarre investimenti esteri) non è ad oggi stata oggetto di pronunce dell'Amministrazione finanziaria, nonostante già da tempo sia stata sollecitata una presa di posizione ufficiale. Il tema è ben noto alle banche italiane che, tenuto conto dell'incertezza normativa, per prassi applicano prudenzialmente il bollo anche alla clientela estera. Il dubbio dunque è tuttora irrisolto, ha un impatto concreto sugli operatori del settore e, dunque, merita chiarimenti definitivi da parte dell'Agenzia.
Peraltro, se l'imposta fosse applicabile anche ai clienti non residenti, dovrebbero comunque osservarsi le disposizioni dei trattati: a tale riguardo, nel presupposto che il bollo sia un'imposta patrimoniale, le convenzioni basate sul Modello Ocse ratificate dall'Italia potrebbero prevedere che gli elementi del patrimonio di una persona debbano essere tassati solo nello Stato in cui questi è fiscalmente residente (cfr. art. 22 del Modello Ocse).
Come noto, l'imposta in oggetto (2 per mille, con il limite di 14mila euro annui per i soggetti diversi dalle persone fisiche) si applica se le comunicazioni sono “formate nello Stato”. Inoltre, a seguito delle ultime modifiche normative intervenute sul Dpr n. 642/1972 (con i decreti legge n. 201/2011 e 16/2012), le comunicazioni si considerano in ogni caso inviate, per presunzione legale, almeno una volta all'anno. La disciplina presenta quindi evidenti criticità nell'individuazione del presupposto di localizzazione del tributo: la formazione del documento in Italia non è pacificamente configurabile quando uno dei soggetti del rapporto finanziario sia estero e, per di più, la comunicazione sia solo virtuale.
Tuttavia, ritenere che le comunicazioni siano “formate nello Stato” solo in quanto inviate da un operatore italiano, anche quando esse siano indirizzate a clienti non residenti in Italia, pare contrastare con il fatto che il bollo nelle riforme stia progressivamente acquisendo le caratteristiche di imposta patrimoniale, commisurata al valore dei prodotti finanziari detenuti dai clienti, proprio perché prescinde da ogni profilo documentale ed è oggi applicata anche a comunicazioni virtuali o presunte. A ben vedere, infatti, l'imposta appare oggi rivolta alla tassazione, più che di atti e documenti “formati” in Italia, della ricchezza finanziaria detenuta in Italia da parte di soggetti residenti. Detta interpretazione sembrerebbe avvalorata dalla complementarietà sussistente tra l'imposta di bollo e l'Ivafe, che ha acclaratamente natura patrimoniale e incide solo su soggetti residenti in Italia: sui prodotti detenuti in Italia da soggetti residenti si applica il bollo, sui prodotti esteri detenuti all'estero da soggetti residenti, che “sfuggirebbero” al bollo, si applica l'Ivafe.
Tenuto conto della tendente natura patrimoniale del bollo parrebbe più ragionevole individuare il luogo di formazione delle comunicazioni in quello di residenza dei clienti, ritenendo tassabili solo le comunicazioni alla clientela residente in Italia relative a prodotti finanziari emessi da soggetti residenti o, se emessi all'estero, detenuti presso intermediari residenti, ossia in fattispecie nelle quali la residenza del cliente è un collegamento con l'Italia sufficiente a giustificare un prelievo patrimoniale.
Tale soluzione interpretativa, ragionevole sul piano sistematico (e coerente con la logica di attrarre investimenti esteri) non è ad oggi stata oggetto di pronunce dell'Amministrazione finanziaria, nonostante già da tempo sia stata sollecitata una presa di posizione ufficiale. Il tema è ben noto alle banche italiane che, tenuto conto dell'incertezza normativa, per prassi applicano prudenzialmente il bollo anche alla clientela estera. Il dubbio dunque è tuttora irrisolto, ha un impatto concreto sugli operatori del settore e, dunque, merita chiarimenti definitivi da parte dell'Agenzia.
Peraltro, se l'imposta fosse applicabile anche ai clienti non residenti, dovrebbero comunque osservarsi le disposizioni dei trattati: a tale riguardo, nel presupposto che il bollo sia un'imposta patrimoniale, le convenzioni basate sul Modello Ocse ratificate dall'Italia potrebbero prevedere che gli elementi del patrimonio di una persona debbano essere tassati solo nello Stato in cui questi è fiscalmente residente (cfr. art. 22 del Modello Ocse).