Il fintech non è (ancora) pink

Rita Annunziata
7.3.2022
Tempo di lettura: 5'
Solo l'1,5% delle fintech risulta fondata esclusivamente da donne. Ma una democratizzazione della finanza (e del suo rapporto con la clientela), secondo Barbara Alemanni della Sda Bocconi school of management, è ancora possibile. Partendo dai millennial

Il fintech ha rivoluzionato negli ultimi anni il modo in cui l’industria finanziaria si interfaccia con la clientela. Ma restano ampi margini di miglioramento. Specie quando si guarda a un pubblico femminile

Secondo una recente indagine globale prodotta da Fintexable, solo l’1,5% delle aziende fintech è fondata esclusivamente da donne

La maggior parte degli imprenditori tech sono millennial. Un cluster che oggettivamente rivela una maggiore sensibilità alle tematiche di genere

Negli ultimi anni il fintech ha rivoluzionato il modo in cui l'industria finanziaria interagisce con la clientela: semplificando interfacce e processi di acquisto, profilando i big data e personalizzando non solo i servizi ma anche la relazione banca-utente. Quando si tratta di donne, tuttavia, parlare di una coniugazione al femminile della tecnologia finanziaria resta una chimera. Tralasciando alcuni esempi di gamification in “rosa”.
“Il fintech sta mettendo in atto una forte semplificazione dell'interfaccia con cui i clienti interagiscono con qualsiasi tipologia di servizio intermediario sottostante, utilizzando in modo molto professionale quelli che sono gli insegnamenti degli studi comportamentali”, racconta a We Wealth Barbara Alemanni, affiliate professor of banking and insurance della Sda Bocconi school of management. “E la semplificazione offre anche un grande vantaggio sul fronte della riduzione del rischio di un'information overload (sovraccarico cognitivo, ndr) che spinge gli utenti, specie quelli con un grado di educazione finanziaria più ridotto o esigenze meno impellenti, a sospendere il processo di acquisto”. Senza dimenticare il fatto che il fintech è capace di “rendere salienti” le informazioni rilevanti, creando le condizioni per attirare l'attenzione della clientela. E aumentando anche il commitment dell'utente costruendo una serie di condizioni di feedback. “C'è poi la personalizzazione della relazione, capace di far sentire l'utente parte di un cluster o una comunità cui desidera appartenere”, continua Alemanni. Il che rappresenta una diretta conseguenza della possibilità di macinare una grande quantità di dati che riguardano la sua attività e restituire un profilo che consenta di posizionarlo all'interno di specifici segmenti “in modo più accurato rispetto alla segmentazione di una banca tradizionale”.
In questo processo, un ruolo centrale lo giocano le logiche del nudging, quei sistemi di architettura delle scelte che aiutano a indirizzare le decisioni verso comportamenti più virtuosi. Aiutando a soddisfare le esigenze della clientela e a incrementarne la fidelizzazione. “Alcuni degli esempi sopracitati rappresentano tipologie di nudging. Ma ci sono anche altre tipologie che, nella digitalizzazione, possono essere applicate in modo molto efficace ed efficiente”, ricorda l'esperta. È il caso per esempio del legame tra fintech e social network. “Siccome gli individui spesso tendono a essere conformisti, suggerire che stanno facendo quello che stanno facendo gli altri facilita il processo decisionale, per esempio. Oppure i suggerimenti smart: attraverso una profilazione con big data e smart data diventa più semplice creare delle condizioni per inviare consigli ad hoc agli utenti”.

Guardando invece alla clientela femminile, continua Alemanni, la duttilità del fintech può consentirgli di creare e impostare delle interfacce personalizzate per un pubblico di donne piuttosto che per un pubblico di soli uomini. “Molto più facilmente di una campagna tradizionale fatta di comunicazione con la clientela”, spiega. Ma se si incontrano agevolmente esempi di realtà che desiderano “dialogare con le donne”, non è altrettanto agevole trovare “esempi virtuosi di una vera e propria coniugazione al femminile del fintech”. Quello che bisogna chiarire, osserva l'esperta, è che non esiste in realtà una finanza pink o blue. “I bisogni finanziari sono tendenzialmente neutri. Ce ne sono alcuni maggiormente concentrati sulle donne o sugli uomini, ma più per ragioni socio-demografiche che di genere: se le donne vivono più a lungo, evidentemente la pianificazione finanziaria deve essere tale da consentire che il capitale duri più a lungo; se posseggono in media un reddito più basso rispetto agli uomini, apparterranno a una categoria con una fragilità più elevata davanti a potenziali situazioni di shock finanziario. Quindi, chi si rivolge a questa tipologia di clientela, dovrà tenere conto di questi fattori”.

“Tornando al tema del fintech, ci sono degli esempi di esperienze di gamification rivolte alle donne. È il caso di Axa che circa 10 anni fa lanciò sul mercato americano un gioco per avvicinare il pubblico femminile al tema delle polizze vita, aumentando la sensibilizzazione sui rischi e i bisogni di protezione”, racconta Alemanni. Ma, intanto, le donne continuano a rappresentare una minoranza nel settore. Secondo una recente indagine globale prodotta da Fintexable e presentata al Palazzo delle Stelline di Milano nell'ambito del Fintech Future 2021 di AssoFintech (i cui dati sono stati diffusi da Claudia Segre, presidente della Global thinking foundation, su FIRSTonline a inizio dicembre) solo l'1,5% delle aziende fintech è fondata esclusivamente da donne. Il che non stupisce, secondo Alemanni, se si considera che gli imprenditori del mondo tech provengono in larga parte dal mondo Stem (Science, technology, engineering and mathematics) in cui le donne risultano tradizionalmente sottorappresentate. Ma c'è un tema generazionale da non sottovalutare. E che potrebbe rappresentare un'ancora alla quale aggrapparsi. “Molti di questi imprenditori sono millennial, un cluster che oggettivamente rivela una maggiore sensibilità alle tematiche di genere. Questo potrebbe favorire una focalizzazione sulle figure femminili, nell'ottica di un superamento delle loro fragilità e di un rafforzamento anche della loro inclusione finanziaria”.

 

(Articolo tratto dal magazine We Wealth di febbraio 2022)
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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